Ho preso Byron, il famoso poeta, Luigi Adrianapoli, il fedele Monsignore del Cardinale Siri e Mario Tronti, il filosofo marxista. Li ho infilati in un barattolo e l’ho agitato. Un miscuglio molto eterogeneo: cosa ne uscirà? Confesso, sono davvero curioso. Il Tronti ha insistito per partecipare, forte della parentela con Renato Zero e la sua canzone: “Il Triangolo”.
Il libertino Lord Byron, dalla vita dissoluta, malvagio secondo alcuni testimoni, nel 1812 interviene alla Camera contro la frame breaking bill. È la legge che introduce la pena capitale per chi danneggia o distrugge i telai meccanici. I nuovi telai che provocano disoccupati e bassi salari a fronte di una maggiore produttività. Il poeta afferma, o meglio inveisce, che questa legge violenta è degna di una giuria di becchini, e definisce i giudici che l’applicheranno “dodici macellai”.
Il poeta si schiera a fianco degli operai luddisti che prendono il nome da Ned Ludd, king Ludd nelle ballate, il primo a rivoltarsi e sabotare le macchine del diavolo. La cavalleria ussara con le sciabole sguainate carica i rivoltosi non solo nelle stampe popolari e la forca fa il resto. Byron poi deve fuggire svelto per un’accusa di sodomia ma a noi questo basta.
Nel 1962 a Ovada partecipo a una riunione, una specie di convegno. Si percepisce un’aria da congiurati, di cospirazione. Ci sono il padrone della fabbrica di gru, il titolare della filatura, il boss della banca privata e un gruppetto di invitati, accuratamente selezionati. Oratore è Monsignor Adrianopoli direttore de “Il Cittadino” quotidiano della curia genovese. Con sicurezza raccoglie nel pugno quelle creature rese tremanti e spaventate dagli scioperi, dalle lotte sindacali. Li rassicura: “Sono appena tornato dall’America e ho visto i robot. Ci sarà una grande rivoluzione ma non quella agognata dalla marmaglia sobillata dalla Russia apostata.” Offre al pubblico incantato operai meccanici docili agli ordini, che non chiedono continuamente aumenti. Il sorriso riemerge sui volti degli imprenditori.
Nel tempo il sogno si è avverato, gli operai non ci sono più. Addio Lugano bella, non solo dalla città elvetica i lavoratori sono andati via ma da ogni dove. Ops! Il proletariato è scomparso! Non per l’auspicata invasione dei robot ma perché circuito e traviato dalla società dei consumi è diventato quella borghesia che combatteva. Il Monsignore adesso, sulle nuvole, catechizza generazioni di operai sfruttati e miscredenti.
Mario Tronti strappa le pagine del libro di Marx, si fa una barchetta e si avventura nel mare infido del capitalismo. Ai remi, al lavoro di fatica, mette gli operai e assurge a operaista. Subito la fama con i Quaderni Rossi e Classe operaia, riviste lette dagli studenti che non lavorano. Boh! Il vento del ’68 gonfia le vele. Basta romanticismo e misticismo, solo positivismo e materialismo. Agli operai lo scettro, il re è nudo! Ma il capitalismo è come l’araba fenice, appare morto e poi risorge. Sembra cedere e invece innalza le dighe.
Le avvisaglie della tempesta? La marcia dei quarantamila quadri Fiat, i colletti bianchi, che protestano contro i picchetti che impediscono l’accesso alla fabbrica. Ancora: la sconfitta al referendum abrogativo contingenza di Craxi. E in seguito con gli ammortizzatori sociali elargiti a iosa come si può continuare a invocare la dittatura del proletariato?
Tronti elabora la strategia del rifiuto: la classe operaia per abbattere il capitale deve lottare contro se stessa in quanto capitale. Una sorta di suicidio felice. La forza lavoro invitata da lui a farsi stato, ai sacrifici, al rigore, sceglie invece il ballo, la partita di pallone. E gli studenti non vogliono indossare la tuta.
Il neocapitalismo riesce a commercializzare tutto perfino chi gli si rivolta contro. Assurdo nell’assurdo vende agli operai quello che producono. E vorace ingoia tutto e tutti: un formichiere per l’appunto. Si insinua e si insedia perfino negli Stati Socialisti.
Tronti tira Marx per la giacca, aggiorna il suo vangelo: “Operai e capitale”. Infine, amareggiato e sconfortato, teorizza: “Il popolo perduto.”
Il verdetto del barattolo: il Monsignore e l’Operaista squalificati per estinzione della controparte. L’alloro a Byron, perché la tecnologia continua ad esistere e svilupparsi.
Tecnologia madre o matrigna? I figli si adeguano ben felici delle agevolazioni, sembrano l’immagine di vitelloni mantenuti dai tecnici.
Da non trascurare il matrimonio indissolubile che esiste tra la tecnologia e la finanza, sposi fedeli. Finanza che sarà costretta, in una società completamente automatizzata, ad aprire la borsa e concedere una mercede. Come un reddito di cittadinanza scevro della promessa di un presunto lavoro. In un futuro, con gli umani senza il lavoro eseguito dalle macchine, verrà probabilmente dato un sussidio per coprire i loro consumi e far girare l’economia.
Tecnologia sì, tecnologia no? La non risposta è nei lavavetri e nei paraplegici. In America gli operai occupati a lavare i grattacieli rischiavano di cadere. Il lavaggio è stato robotizzato. Gli operai non cadono più ma non hanno più il lavoro. Le vittime di incidenti, costretti sulle carrozzelle, indossano le protesi robotiche, riprendono a camminare come Lazzaro. E insorgono: “L’automazione? Ma quale pericolo!”
Il proletariato è finito perchè si è arricchito (forse non proprio, ma dispone di un benessere superiore a quello di qualche generazione fa). Del resto lo disse anche Benito: ‘Non ci sono in giro proletari, solo aspiranti borghesi’. Come dargli torto…
Certo che il capitalismo vende agli operai. Già lo faceva Henry Ford. O questi dovrebbero quasi morire di fame sognando ancora la Rivoluzione?