Il giorno del Ricordo, celebrato qualche giorno fa, rimanda a episodi tragici dell’ultima guerra mondiale, allo sterminio e alla “pulizia etnica” che i partigiani comunisti jugoslavi effettuarono nel confine orientale italiano, in Istria, Dalmazia, Carnaro. Un Olocausto che fece almeno trentamila vittime; oltre 300mila esuli dovettero fuggire da un territorio nel quale i comunisti stavano compiendo, per volere del dittatore Tito, una “pulizia etnica” per conquistare i territori italiani. Una pagina di storia davvero dolente se si pensa che il Pci dette indicazioni ai partigiani italiani di appoggiare le iniziative dei partigiani jugoslavi con la conseguenza che alcuni comunisti italiani furono collaborazionisti dei comunisti titini. Già dal 1942, Palmiro Togliatti, da Radio Mosca, invitava i comunisti italiani a unirsi ai partigiani titini.
Roberto Menia, triestino e studioso delle vicende delle foibe, ha dato alle stampe un libro (10 Febbraio dalle foibe all’esodo, Pagine ed., pagg. 247, euro 18,00; ordini: info@pagine.net) nel quale ha raccolto le storie di tante famiglie dalmate, istriane, triestine. Vicende che, nella loro drammaticità, rimandano a quei momenti bui della fine della seconda guerra mondiale, quando gli italiani, in quella zona geografica, come detto, furono perseguitati e, dopo torture e violenze, venivano gettati vivi nelle foibe (cavità carsiche), con le mani legate con fil di ferro dietro la schiena. Spesso prima erano torturati e violentati. Gli italiani nelle loro terre dovettero vivere in paesi e città occupate da bande di titini comunisti. Un clima – e conseguenti stragi – che durarono fino al 1947. Seguì l’esodo: gli italiani superstiti furono costretti a scegliere se divenire jugoslavi e restare in quelle terre o restare italiani ma andare via: quasi tutti scelsero l’esodo. Poi, il 10 febbraio del 1947, fu firmato a Parigi il diktat di pace con il quale le potenze alleate, vincitrici della seconda guerra mondiale, tolsero all’Italia Pola, gran parte dell’Istria, Fiume, Zara, le isole adriatiche, per assegnarle alla Jugoslavia. Una decisione dei vincitori finalizzata a colpire pesantemente l’Italia e, nello stesso tempo, a ricreare periodicamente problemi in quell’area come i fatti degli anni ’80 e ’90 del secolo scorso hanno ben dimostrato. Gli alleati preferirono aiutare e agevolare gli jugoslavi titini nonostante i loro crimini di guerra e crimini comuni.
Roberto Menia è stato per cinque legislature deputato di Trieste al parlamento italiano, proveniente da quelle sfortunate terre e conosce bene le vicende accadute. Nello spazio di anni ha raccolto le storie di gente che proveniva da queste zone bellissime, rese tali dall’architettura veneziana, dalla civiltà romana e da quella italiana. Il merito di Menia è di aver raccontato nei dettagli storie note o poco note ma anche storie inedite che sono un deposito di memoria per quanti, in Italia e nel mondo, sanno poco o niente di questa triste pagina di storia.
Di recente la polemica è scoppiata per le tesi negazioniste e giustificazioniste contenute in un libro appena pubblicato da Laterza. L’Associazione nazionale dalmata, associazione fondata nel 1919, che dispone delle testimonianze di chi era lì in quei giorni dell’Olocausto degli italiani, ha diffuso un comunicato nel quale spiega l’infondatezza delle tesi esposte nel libro e come i filoni negazionisti e/o giustificazionisti ci sono ancora, nonostante le prove evidenti delle stragi perpetrate contro gli italiani. L’And sta avviando studi e iniziative culturali con lo scopo di far conoscere a tutti la verità delle vicende del confine orientale italiano.
“A quasi vent’anni dall’istituzione della Legge per il Giorno del Ricordo – ha detto Carla Isabella Elena Cace, presidente dell’Associazione nazionale dalmata – è venuto il momento di fare il punto sullo stato delle cose in Italia e non soltanto di celebrare, per quanto importante. Perché, nonostante le graditissime dichiarazioni del presidente Mattarella, che ha parlato chiaramente di ‘pulizia etnica’, assistiamo purtroppo a rigurgiti di giustificazionismo e riduzionismo che animano una minoranza chiassosa e, purtroppo, ascoltata da una parte dei mass media. Ma, soprattutto, volevamo capire quale fosse la strada da intraprendere per far arrivare la nostra storia a una società multimediale e globale. Credo siano emersi molti spunti interessanti”. Il riferimento è al recente convegno organizzato dall’And, al quale hanno partecipato storici italiani e stranieri di spessore.
“Il genocidio messo in atto con le foibe – è scritto in un comunicato congiunto diffuso dall’Associazione nazionale dalmata e dal Comitato 10 Febbraio – come qualche storico negazionista o riduzionista ha voluto insinuare, non è una “ritorsione contro i torti del fascismo. Perché tra le vittime italiane di un odio, comunque intollerabile, che era insieme ideologico, etnico e sociale, vi furono molte persone che nulla avevano a che fare con i fascisti e le loro persecuzioni”.
Lo sterminio di italiani nelle terre del confine orientale italiano è solo un capitolo dei vari olocausti che il comunismo ha commesso nel mondo che, secondo gli storici, fra i quali il francese Stephane Courtois, coordinatore del volume Il libro nero del comunismo (Mondadori ed.) e direttore della rivista Communisme, ammonterebbe a un totale di almeno cento milioni di esseri umani assassinati. Un’ideologia che ha fatto dei crimini contro l’umanità e della prassi di sterminio una metodologia.