Paolo Isotta rimane nelle pagine e nei pensieri di chi lo ha apprezzato. Ha tolto il disturbo da gran signore quale era. E non ha scomodato neppure il più umile dei musicisti per farsi accompagnare al di là del fiume dell’oblio. Signore anche nella morte
Figlio di un avvocato civilista, fin da adolescente frequentò la cultura europea e le radici che essa mise nel suo animo furono profonde al punto da determinare la scelta degli studi: la giurisprudenza, le lettere, la musica. Non fece né il giurista, né il professore di liceo, ma dopo aver studiato pianoforte con Vincenzo Vitale e composizione con Renato Parodi e Renato Dionisi, fu la musica che lo attrasse e divenne il maggior musicologo del nostro tempo, ma anche musicista “segreto”, non da palcoscenico. Nel 1971, ottenne una cattedra come professore straordinario al conservatorio di Reggio Calabria poi divenne ordinario a Torino e quindi a Napoli.
Nel 1994 detestando la volgarità, lasciò, coraggiosamente, l’insegnamento «per progressiva intolleranza verso gli allievi attuali». Nel gennaio 2019 il Conservatorio di Musica “San Pietro a Majella” di Napoli lo decretò Professore Emerito. Nel 1974, venne assunto, su segnalazione di Mario Praz e di Piero Buscaroli cui fu legato da un lunghissimo sodalizio poi spezzatosi per motivi caratteriali, diciamo così, come critico musicale al Giornale appena fondato di Indro Montanelli. Sei anni dopo, 1980, passò al Corriere della sera dove, per le sue idee controcorrenti, in opposizione al pensiero unico di sinistra ingaggiò una dura battaglia con il si da ago e l’ala più estremista del giornale: la spuntò lui, pagando in amarezze anni durissimi coronati tuttavia dalla stima che guadagnava tra 8 lettori del il pubblico colto. La sua attività di critico cessò nel 2015.
Negli anni Ottanta diresse con Piero Buscaroli le collane Musica e Storia per Mondadori e La Musica per Rusconi.
Nella sua vasta vita da studioso troviamo innumerevoli saggi di storia della musica e musicologia, tra i quali I diamanti della corona (1974), primo libro in assoluto dedicato alle opere serie di Gioacchino Rossini, Il ventriloquo di Dio (1983), sull’influenza della musica in Thomas Mann, e poi numerosi volumi dedicati a musicisti ma anche alla letteratura in connessione con la musica e la vita artistica. Tra l’altro ha pubblicato nuove opere saggistiche su Verdi, Paisiello, Wagner (ricordo anche la memorabile introduzione, vero e proprio saggio, a Wagner Nietzsche e il mito sovrumanista di Giorgio Locchi nel 1982) la storia dei Conservatori napoletani (De Parthenopes musices disciplina. L’educazione musicale a Napoli dal Medio Evo ai giorni nostri, Napoli, 2018), Rocco Pagliara, Donizetti, Rossini, ancora Verdi, e I sentimenti degli animali in musica e letteratura; Il canto degli animali. I nostri fratelli e i loro sentimenti in musica e in poesia; La dotta lira. Ovidio e la musica, senza dimenticare il più originale dei suoi scritti: La virtù dell’elefante. La musica, i libri, gli amici e San Gennaro. (da Formiche)