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CoviDiario. Verità, commercializzazione della salute e medicalizzazione dell’esistenza

Ad avere la peggio è la condizione umana ed i modi di essere, alle prese con una trasparenza che è artificiale e con la razionalizzazione della vita umana, con una logica igienista imposta da uno Stato chioccia che in nome della salvaguardia della vita, agisce esclusivamente in funzione terapeutica, condizionando l'esistenza delle persone

by Francesco Marotta
23 Gennaio 2021
in Cultura
0
1984-2020m

La Verità nell’epoca della pandemia, lo vediamo, viene avvolta dal lacrimevole e dal compassionevole. Questo fa sì che ogni catastrofe di forte impatto mediatico, inneschi il meccanismo della sfera privata che sommerge quella pubblica, della soggettivizzazione meta-personalistica della verità. La commercializzazione della salute segue di pari passo l’assurdità della medicalizzazione dell’esistenza, dell’igienismo dogmatico associato ad una sorveglianza sempre più grande sugli stili di vita.

Ad avere la peggio è la condizione umana ed i modi di essere, alle prese con una trasparenza che è artificiale e con la razionalizzazione della vita umana, con una logica igienista imposta da uno Stato chioccia che in nome della salvaguardia della vita, agisce esclusivamente in funzione terapeutica, condizionando l’esistenza delle persone. Qui però entriamo nel campo del vivere altrimenti, nonostante le difficoltà che ci presenta la vita, del non vivere pur di avere salva la propria vita.

Ora, quando parliamo di “Grande Reset”, non diciamo altro se non un ripetere come lo definiva Orwell una terminologia della “neo-lingua” e di un linguaggio che ha bisogno di stupire, in base ad una sproporzione delle cose piuttosto che ad una proporzione che concerne anche la linguistica. Possiamo dire che tutto questo si avvicina al vero? Personalmente, lungi dal credere a delle teorie del complotto o della cospirazione. Altra cosa è avere una prospettiva sullo stato di salute della democrazia liberale e le sue disfunzioni che sono alla base della nascita dei movimenti populisti. Una di queste disfunzioni è la scollatura tra la classe dirigente ed il popolo che sfocia in un discredito verso i “partiti di governo”.

Ma questo è un altro discorso, come lo sono le distrazioni del consumo e dei divertissement di massa che non riescono più a sopperire all’amara realtà della crescente disoccupazione, della precarietà generalizzata, alla crisi della politica che va di pari passo con la crisi sociale e finanziaria e con la crisi culturale dovuta all’immigrazione. Va da sé che ridurre il tutto a chissà quale piano ordito contro il genere umano, è già di suo risibile se non si tenesse conto che solo negli Stati Uniti il Covid-19 ha fatto più vittime in rapporto ai caduti della Seconda Guerra Mondiale. Le contraddizioni presenti della più grande società liberale del mondo, tra le quali, non dimentichiamolo, l’obbligo e/o l’abominio della privatizzazione della sanità pubblica che non risparmiano nessuno, continuano a dare il peggio di sé in un momento critico come questo.

Ma quello che colpisce è indubbiamente la sproporzione, come dicevamo prima, delle misure in atto su scala planetaria per via di un virus che non supera il tasso di mortalità dello 0,5% della popolazione. Altra cosa che bisogna pur dire, è quanto le élites abbiano tratto dei vantaggi da una situazione simile che a detta di molti pare essere un qualcosa che si avvicina molto ad una “dittatura sanitaria”. La percezione della popolazione, perlomeno delle categorie che più hanno patito i piani di emergenza, le restrizioni anche alla libertà personale, è proprio questa.

Chi dice il contrario, sono coloro che zittiscono il loro interlocutore perché ipoteticamente propugna il relativismo culturale che dovrebbe essere ben evidente nelle disamine che esprime. Per questi catalogatori delle opinioni altrui, l’interlocutore mente sapendo di mentire. Questo è uno dei vizi di una certa intellighenzia di sinistra che è sempre pronta ad affibbiare etichette verso chiunque abbia una visione d’insieme che si discosta dagli assunti del Progresso e non comprende cosa siano le specificità delle culture particolari.

Ma tornando all’oggetto del discorso, la Verità, quando potremo visionare a pieno i danni economici e sociali della crisi sanitaria, i fallimenti e le bancarotte, la quasi estinzione del commercio tradizionale avvicendato da quello delle Rete, quello ad appannaggio dei grandi centri commerciali, dopo aver constatato la scomparsa di parecchie professioni che operano nel settore dei servizi e delle consulenze – il fiore all’occhiello della professionalità neo-liberale – , dovremmo giustappunto fare un distinguo tra proporzione e sproporzione.

Sempre a proposito del “Grande Reset”, per dirla in altra maniera e riprendendo Aristotele, la Verità è una qualità del discorso (logos), cioè della proposizione, non dei suoi componenti, cioè i nomi e i verbi. I quali, presi da soli, non sono né veri né falsi. Insomma, c’è una bella differenza tra i discorsi enunciativi e discorsi soltanto significativi.

Perciò, secondo lo stagirita che non sbagliava, «il vero e il falso non sono nelle cose, ma nel pensiero», sono «un’affezione del pensiero» – Metafisica VI 2 -. Dunque, il vero e il falso sono delle qualità del pensiero che dipendono ineluttabilmente dal reale. Cosa molto diversa è la propensione ed il successivo innalzamento a totem di alcuni aspetti del reale, del concetto di reale, scadendo in un realismo a metà tra il fantastico e l’immaginario. Chi decide la verità o la falsità di un discorso è la realtà ma non solo. Ci sono altri fattori e tra tutti, spicca l’essenza delle cose. Un piccolo esempio: se noi pensiamo ad un mostro a cinque teste che potrebbe corrispondere nel nostro immaginario a un Bill Gates o a un Soros, come fossero dei cospiratori contro il genere umano, ma non pensiamo che non sono altro che l’espressione di una certa mentalità capitalistica e neo-liberale, noi che pensiamo l’opposto, siamo nel falso. Una monade è una monade.

Cogliere l’essenza delle cose, nell’esempio che ho appena fatto, delle cose semplici che non sono il frutto di congetture, significa coglierne l’autenticità perché di esse possiamo dare una definizione. Intendo, un’autentica definizione che coglie veramente l’essenza della cosa in quanto tale, in quanto è vera e non può essere falsa. Ancora più semplicemente: quando parliamo di “vero” o falso”, di “Grande Reset” o no, e lo facciamo col significato di “autentico”, ovvero cioè che appare quale realmente è, o “inautentico”, cioè che appare diverso da quale realmente è, riusciamo a cogliere in esattezza il senso delle cose.

Lo stesso interrogativo se l’è posto Heidegger, nello scritto intitolato “Sull’essenza della verità” – testo di una conferenza tenutasi nel 1930, successivamente pubblicata e infine inclusa nella raccolta di scritti “Segnavia” (1967), a cura di F. Volpi e F. von Herrmann, Adelphi, Milano 1987 -. Per Heidegger, la questione della Verità dell’essenza è racchiusa nella essenza della verità. La Verità, intesa come la personalità caratterizzante dell’essenza, della quiddità, – Washeit – e della coralità – Sachheit, realitas -. Dunque, la verità significa quel velarsi diradante – lichtendes Bergen -, il tratto distintivo del Seyn, dell’essere. Dobbiamo tener presente che questo tratto distintivo della metafisica di Heidegger fa sue le elaborazioni aristoteliche che abbiamo appena discusso, homoíōsis del lógos al prâgma, coincidenti con le cose del mondo, con l’ordine del mondo ed il fine ultimo, il Telos, che è intrinseco nell’essenza della verità.

Quando il soggetto capovolge quest’ordine del mondo e delle cose, conferendo solo al singolo la libertà dell’agire e dando il là al compimento dell’individualismo della dottrina etica, sociale o politica che pone a suo fondamento i diritti dell’individuo, inserita a pieno titolo nel panegirico dei diritti umani, il passo è breve. Tutto questo con il carico ideologico della pretesa di ognuno del diritto di rivendicare ciò che vuole, purché sia a mero titolo individuale e che nulla abbia a che fare con il senso del comune. Un ulteriore esempio di come la Verità nella civiltà in cui viviamo, non sia nient’altro che un orpello dello spazio dedicato al riduzionismo epistemologico, del concetto dell’apriorismo kantiano o dell’ontologia pregna di idealismo. Questo tipo di Verità riscritta e a priori, è destinata a cadere nello psicologismo.

Alla stessa maniera dello psicologismo presente nel linguaggio e nella comunicazione di un’era votata ad un realismo razionalista, cui non basta più affidarsi alla sola conoscenza scientifica, attribuendo alle scienze fisiche e sperimentali, ai loro metodi, la capacità di soddisfare tutti i problemi e i bisogni dell’uomo. L’idolatria della scienza e lo specialismo dogmatico che amministra l’uomo, quale fosse una semplice congiunzione o frammezzo del processo di sperimentazione, della medicalizzazione dell’esistenza e dell’igienismo dogmatico, hanno superato i limiti del peggior riduzionismo psicologista che non pone un argine al livellamento tra l’oggetto ed il soggetto. Nel nostro caso tra l’uomo, la pandemia e la speranza nei vaccini.

La scienza non è più utile per aiutare l’uomo ma ne governa un immaginario collettivo, dove tutto finisce bene ma nessuno sa in realtà come andrà a finire. Non conta più l’essenza della Verità ma, è il caso di dire, la somministrazione di una Verità: il pensiero spesso viene confuso dalle immagini e dalla tipologia di rappresentazioni e dal linguaggio attuale, l’attualismo dei buoni sentimenti che proprio tali non sono, distorcono il ricordo, la percezione ed elevano all’ennesima potenza la rievocazione degli accadimenti in atto. Un fatto, un insieme di fattori che costituiscono l’essenza della Verità, i quali vengono così moltiplicati in una rappresentazione in scena di una realtà spettacolarizzata all’infinito. Un immaginario che supera sia la Verità e sia la realtà: la Verità per dirlo con Heidegger, perde le sue attestazioni di “di-svelamento” e “velamento”, la realtà invece, assume i tratti distintivi e le peculiarità dell’indeterminatezza dell’etere e del realismo della connettività.

Forse è il caso di pensare più a questa variante dell’egualitarismo liberale che concerne il senso della Verità e non ad altro. Come ha scritto giustamente Jean-Claude Michéa, anche la Verità è soggetta alla crescente «subordinazione di tutti i rapporti umani all’unica logica astratta, procedurale, unificante». Diversamente da quello che pensava Engels riferendosi al diritto liberale «indifferente al resto del mondo», l’estensione universale di un intendere la Verità che deve essere valida e riconosciuta da tutti gli uomini, non fa certo minor danni. La matassa da sbrogliare è proprio questa ed esula, quando parliamo di Verità, dalla sublimazione di un nemico che risulta non essere il nemico autentico ma un pezzo infinitesimale del concatenamento di un problema a monte, questo sì molto più grande.

Francesco Marotta

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Tags: Barbadillomarottaverità

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