Le dinamiche delle società contemporanee riflettono ormai da tempo le difficoltà della diade destra/sinistra sia nella rappresentazione che nella spiegazione dei fenomeni politici, economici e sociali. Esiste un’appropriata ed univoca definizione di queste due categorie? Quali caratteristiche ne hanno favorito il successo, nonostante il loro elevato tasso di genericità ed astrattezza? E’ ancora necessario uno spartiacque affermatosi più di due secoli fa in Francia, capace di diffondersi e radicarsi ovunque assumendo i crismi dell’universalità?
La casa editrice Diana propone la ristampa di un saggio di Marcel Gauchet “Destra/sinistra – storia di una dicotomia”, arricchito da un’introduzione di Marco Tarchi e da una postfazione dell’autore, appendice necessaria di una pubblicazione risalente al lontano 1992.
E’ il politologo toscano ad evidenziare da un lato come il dibattito senza fine sul tema, foriero di inevitabili discussioni e strascichi polemici, non conduca ad un accordo unanime la comunità scientifica sia perché le categorie in esame non esistono nella realtà, sia perché denominare significa giudicare e comparare allontanandosi dalla sfera avalutativa; dall’altro a sostenere che destra e sinistra siano “due concetti sospesi tra essenze, tipi ideali e convenzioni relative” in grado di individuare un rapporto di continuità tra credenze ed atteggiamenti politici, ma che non trovano applicazioni automatiche nel mondo delle esperienze concrete e costretti per forza di cose – non presentando caratteri di definitiva esclusione reciproca – a mescolare componenti separate.
L’autore ripercorre le tappe di un processo – iniziato all’epoca della Restaurazione in Francia – che si caratterizza per l’utilizzo crescente della coppia nella prassi parlamentare; significative differenze, certificate dalla comparsa delle estreme e dalle “sfumature” di centrodestra e centrosinistra, costringono da subito gli attori a scegliere alleanze gravitanti verso il centro per consentire al sistema di auto-perpetuarsi.
Non utilizzata da Marx, Engels né dal primo Lenin, la contrapposizione si consolida grazie ad alcuni fattori determinanti: l’allargamento del suffragio e la progressione verso una democrazia rappresentativa intesa nell’accezione contemporanea del termine riflettono bisogni crescenti d’identificazione degli elettori, fino a quel momento abituati ad altre “fratture” (bianchi/rossi, conservatori/repubblicani) in un contesto che gradualmente registra – negli anni a cavallo del caso Dreyfus – la comparsa dei partiti socialisti e l’accentuazione delle discordie sociali e civili.
L’appropriazione da parte del pubblico delle nuove etichette avviene parallelamente alla diffusione di una disaffezione nell’utilizzo assembleare dei due termini, tra aggiustamenti e “reinvenzioni” più che semplici trasferimenti o passaggi da un registro all’altro. Esse si configurano come nozioni indefinitamente aperte, suscettibili di arricchimenti o rinnovamenti semantici, strumenti di unificazione simbolica di famiglie politiche diverse, capaci di veicolare nella parte che le ha coniate (la sinistra) speranze di un futuro di concordia e di alimentare in quella che le ha subite (la destra) negazioni, riserve e sospetti, in quanto elementi dannosi per la coesione e l’armonia collettiva.
Scopi, contenuti e programmi cambiano ma “l’ordine di battaglia” della politica francese rimane formalmente invariato: in una miscela di conflittualità e frammentazione, moderati e alternanze di centro continuano a governare lasciando “libero sfogo” ai dottrinari delle estreme e ad un dualismo elementare quanto manicheo, virulento ed implacabile.
Nell’epoca dell’ideologizzazione della lotta di classe e dello scontro tra fascismo e comunismo, l’attrazione militante viene alimentata ancora di più: se i disegni totalitari ambiscono a restaurare l’unità sociale come corpo – come osservato da Claude Lafont – l’ingresso nella modernità individualista, storica e democratica muove in direzione diametralmente opposta infrangendo l’ordine simbolico, l’attaccamento al sacro e la dipendenza da una fonte divina.
L’autore individua un problema strutturale – sostanzialmente uguale nei propri tratti principali anche dopo l’avvento del gollismo e della riforma istituzionale costitutiva della Repubblica semi-presidenziale – nella combinazione tra una divisione esasperata dell’opinione pubblica ed un gioco bipolare che moltiplica i partiti anziché ridurli, perpetuando la prassi degli accomodamenti della politica effettiva. Destra e sinistra si schierano dalla parte del governo o dell’opposizione in virtù del meccanismo del principio di maggioranza; allo stesso tempo, il campo ideologico delle “famiglie principali” è suddiviso in tre parti: conservatorismo, liberalismo e socialismo.
Il processo di universalizzazione della diade, facilitato da bisogni cognitivi di semplificazione delle scelte e da un’effettiva aderenza alla competizione politica, si inserisce in quello più ampio della creazione di un sistema di riferimenti che ha reso più chiaro l’ordine profondo della società e individuato nel principio del conflitto un suo carattere costitutivo fondamentale, racchiudendo – nota Gauchet – “l’anima e la memoria di un modo di essere in politica”. Nel momento in cui destra e sinistra iniziano a raffigurare l’integrazione organica di una dualità, il loro contenuto originario in parte si trasforma di nuovo perché non comprende più solo uno spietato antagonismo, ma viene incaricato di spiegare “l’ordinaria e inevitabile coesistenza dei contrari”.
L’autore appartiene a pieno titolo ad un filone interpretativo “funzionalista” che evidenzia l’importanza degli archetipi mentali nella capacità di orientamento degli individui, nell’organizzazione dei pensieri e nella generazione delle idee, nonché i caratteri di un concetto definito nello spazio e in grado di stabilizzare i conflitti, immediatamente comprensibile e trasferibile da una cultura all’altra.
Tale approccio si contrappone a quello “essenzialista” (identificabile, in buona parte, negli scritti di Norberto Bobbio), che sfugge alla prova empirica di una discriminazione netta tra le due categorie e non spiega le trasformazioni che il decorso del tempo ed il mutare delle circostanze hanno imposto alle prassi di partiti e movimenti politici tradizionalmente collocati nell’uno o nell’altro campo.
La successione degli eventi storici costringe, infatti, le forze politiche ad un continuo moto di attraversamento reciproco che giustifica le perplessità di coloro i quali – come Alain De Benoist – hanno recentemente confutato la validità di alcune opposizioni binarie, tra le quali: libertà/uguaglianza, ordine/giustizia, conservatorismo/progressismo. Le stesse identità sociali, peraltro, sono il frutto di una sedimentazione culturale in continua trasformazione e, pur essendo ancora centrali ai fini dell’integrazione politica, non coincidono più con blocchi valoriali monolitici.
Gauchet evidenzia come tre fenomeni principali abbiano destabilizzato i punti di riferimento prevalenti nello scacchiere europeo dopo il 1945: la penetrazione dello spirito democratico e l’accettazione del pluralismo, con la conseguente evaporazione della coppia antifascismo/anticomunismo e l’allentamento per molti cittadini di un’appartenenza politica incondizionata; la dissociazione dei blocchi ed il ritorno in auge dell’idea liberale, associata alla globalizzazione economico-finanziaria e al processo di individualizzazione della società; la delegittimazione del progetto di controllo pubblico dell’economia.
Sebbene la frattura destra/sinistra sia caduta in discredito, appare condivisibile – a modesto parere di chi scrive – la posizione di chi ritiene che non sia possibile ipotizzarne la disgregazione o la ricomposizione, almeno nel breve termine. La redistribuzione delle vecchie identità riscontrabile nelle nuove polarizzazioni – l’autore dedica spazio ai populismi e agli ecologismi dei due campi – indica che essa conserva un ruolo organizzatore, seppur nettamente ridotto rispetto al passato.
Favorita dalla volontà dei politici di professione di ridurre la molteplicità dei conflitti a due campi e a due schematiche concezioni del mondo, la sua persistenza residuale non trova solo sostegno nei ceti superiori più che in quelli subalterni, sempre più “mobili” dal punto di vista elettorale; depurata di improbabili significati metafisici, continua in parte a funzionare da tramite tra l’individuo e la comunità politica, mantenendo la potenza evocativa di un “totem estremamente espressivo di una società in cui l’aver combinato una politicizzazione tradizionalmente forte con organizzazioni politiche cronicamente deboli non è l’ultima delle stranezze”.