Ci lascia in buona compagnia questa estate Diorama letterario con l’uscita del numero 315, per salutare fedeli abbonati e lettori curiosi fino al prossimo settembre.
“Democrazia?” Il titolo, corredato dalla foto ricordo di Barak Obama, il detentore attuale delle redini della propaganda democratica. Una democrazia liberale made in USA, attenta ad ogni movimento di ipotetici avversari come degli alleati, nel clima di “paranoia da nuova Guerra fredda”, sostenuta da un manipolo di “operatori della comunicazione”, stimolatori del conformismo derivante da un progetto di controllo dell’opinione pubblica. “a democrazia dell’audience” battezzata dal politologo Manin, influenza la percezione degli utenti e detta l’agenda politica, perdendo nel bisogno di “popolarità” la necessità di discutere su quelle “regole del gioco” democratico, definite da Bobbio, l’antidoto principale rispetto alle possibili ricadute autoritarie.
Seguono l’editoriale di Marco Tarchi le rubriche cui Diorama ci ha da tempo abituati, che sviscerano gli accenni dell’editoriale e raccontano l’Europa, il capitalismo, la bugia pacifista e tanto altro. In “Osservatorio” protagonista è il male d’Europa, politico prima che economico; un continente istintivamente diretto verso la riappropriazione di un sostrato culturale comune, pur nelle differenze, ma infine inconsapevole dello stesso senso di quel sentire e dell’eventuale suo utilizzo. Un’ Europa dimentica di sé, per la quale si è sacrificato Dominique Venner, non sopportando di vederne ancora l’accumulo di macerie. Non è bastato un gesto tanto coraggioso a spezzare il giogo che lega l’Europa all’America, della cui dipendenza invece un ultimo esempio è il Trattato di libero scambio, che potrebbe legare Unione Europea e Stati Uniti, cui plaudono i fedelissimi dei princìpi economici per l’assicurazione di una diminuzione irrisoria della percentuale del PIL. Taciuto dagli organi di informazione “libera” il Trattato di libero scambio ha già avuto il consenso favorevole del Parlamento Europeo e del Congresso Usa e si avvia alla realizzazione di quel mercato unico con liberalizzazione di investimenti, accesso agli appalti pubblici, cancellazione dei dazi rimanenti; l’America ancora più vicina all’Europa per mezzo di una nuova istituzione giuridica ed economica. Ed allora l’agonia dell’Europa è inevitabile e le lacune decisionali difficilmente aggirabili né risolvibili per mezzo dell’astrattezza dei trattati, “posti alla base del fondamento giuridico della Unione Europea” Ed onde evitare che l’idea di Europa diventi una fatica di Sisifo si può solo guardare alla Russia; integrare la Russia nel progetto politico europeo consoliderebbe l’attuale fluido tentativo di Unione e le darebbe il giusto peso nei rapporti esteri.
Nella rubrica “Confronto” due articoli sulla questione della Pace e del pacifismo, integrale o guerriero. Alain de Benoist chiarisce e conclude le tesi esposte mirabilmente nell’articolo analisi di Flora Montcorbier e Robin Turgis, rivelatore della “geometria variabile”del pacifismo nella storia. Scrive de Benoist: “immaginare un mondo senza conflitti significherebbe nutrire grandi illusioni sulla natura umana…eppure aggiunge successivamente – proprio per questo è nato ciò che poteva mettere fine al conflitto – ovvero la pace. L’orrore per la guerra, quel “mettere i piedi nelle budella del nemico” ha la sua ragione di manifestarsi, senza perdere di vista la necessità di un distinguo tra pacifismo e pace.
In “Opinioni” Lamberto Sacchetti approfondisce i legami tra finanza e politica alle spalle della crisi nell’ambito di una società complessa quanto quella attuale. La politica è in bambolo, vicina al k.o. sociale, proprio a causa del rapportarsi alla società della finanza, fedele alle mutevolezze del mercato e all’adattarsi del capitalismo. La politica non è solo prassi, sta tra realismo e idealismo ed opera per il bene. Ma trovare da che parte sta il bene è arduo, come trovare da che parte investire i capitali. Il buon senso, invocato da Gramsci, avverte che la finanza non può sfuggire ai limiti dello sviluppo, come non può evitare l’infelicità. E allora non rimane che adattarsi e dirsi sconfitti o cercare nel dubbioso e imprevedibile divenire le indicazioni culturali, etiche e politiche l’alternativa di civiltà opponibile alla crisi. Non minori per interesse le recensioni dei libri scelti: “Mediterraneo in guerra” di Fabio Mini, scritta da Marco de Troia, e “Diario di un Teppista” di Ottone Rosai, scritta da Archimede Callaioli.
Appassionata e precisa la recensione curata dallo stesso direttore Marco Tarchi del libro di Milanesi “Ribelli e Borghesi”. Tarchi e Milanesi condividono una convinzione e una speranza, di non vedere il destino prefigurato necessariamente dalla “fine della storia” a cui ci ha abituati Fukuyama e che nuovi fermenti eterodossi entrino nella storia, demolendo vecchie forme e plasmando un ordine insperato. Quali siano i soggetti predisposti a tale tendenza plasmatrice non è dato al momento sapere, rimane la consapevolezza degli errori e dei limiti commessi da chi ci ha preceduti e la convinzione di doversi dirigere verso un’epoca di “nuove sintesi” postliberali.
@barbadilloit