Dopo il voto compatto a favore dello scostamento di bilancio, il centrodestra ha perlomeno l’obbligo di continuare su questa strada. Un obbligo morale prima ancora che politico. Perché allestire un tavolo di lavoro congiunto con le forze dell’attuale maggioranza serve in primo luogo all’Italia. In tal senso, le aperture di FI non andrebbero censurate a priori, ma condotte verso una strategia di più vasta portata, libera da bisticci da comari. In gioco non c’è soltanto la possibilità di avvicinarsi il più possibile alla stanza dei bottoni o banchettare sul presente, ma ricostruire quel minimo di credibilità interna e internazionale venuta meno con la pazza fine del governo gioalloverde. Una responsabilità addebitabile, ovviamente, al solo Matteo Salvini. I cui effetti, però, hanno messo in zona d’ombra anche i compagni di viaggio, a Roma come a Bruxelles.
La totale chiusura a qualsiasi forma di dialogo o la melina se sia il parlamento o no il luogo più consono per incontrarsi, non aiutano quel cambio di passo che gioverebbe tantissimo al Paese. L’Italia subisce l’incrocio peggiore: la crisi più grande dal dopoguerra con al governo però la compagine meno assertiva di sempre. Il colpi di tosse del premier Giuseppe Conte intervistato da Lilli Gruber riconsegnano ai telespettatori l’immagine di un uomo che si è ritrovato a fare il capo dell’Esecutivo senza avere i crediti e la preparazione necessari. Una stortura denunciata da più tempo, rimasta però irrisolta per l’assenza di valide alternative sul piatto.
C’è un dato su cui partire. In Italia i governi si fanno in Parlamento. Pd e M5s, seppur tra le reciproche debolezze, ne esprimono uno. L’unico attualmente disponibile. Se ci fossero però altre formule politiche in panchina, il blocco dell’attuale scenario sarebbe disattivato.
È chiaro che l’appoggio acritico al Conte 2 non farebbe bene alle attuali forze del centrodestra. Tuttavia, l’asse che regge l’attuale esecutivo non è destinato a durare senza traumi fino a fine legislatura. L’assottigliarsi dei numeri al Senato ci dicono che anche la prospettiva di gestire in solitaria i fondi della Next generation Eu, potrebbe risultare nociva a tutto il sistema Paese. Per questo serve una fase totalmente nuova.
Rendersi disponibili a un cambio di strategia darebbe una boccata d’ossigeno alle istituzioni, un dettaglio che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella non avrebbe difficoltà a considerare come potabile. In fondo, da marzo a oggi, i sondaggi lo dicono con chiarezza: con il Covid non ci sta guadagnando politicamente nessuno, né a destra né a sinistra. L’erosione della Lega è di fatto compensata dalla crescita di FdI. Ma un’opposizione così, benché forte nelle percentuali, non serve a nessuno. Neanche a se stessa (con o senza federazioni in vista). Anche l’alto indice di gradimento su Conte, che giustificava la sopravvivenza del governo giallorosso, ha subìto un brusco arretramento.
Gli italiani attualmente non cercano scontri muscolari. La doppia sicurezza economica e sanitaria è l’obiettivo da raggiungere quanto prima. Il dato inquietante è che ci vorrà del tempo prima che si arrivi alla cosiddetta normalità. La domanda è quindi Mario Draghi sì, Mario Draghi no? Intanto, però, è forse meglio ragionare sul perché no. Non fosse altro che una soluzione di tal portata, un giorno, potrebbe risultare comunque necessaria. I governi di unità nazionale stanno di buon diritto nell’enciclopedia della storia politica di ogni nazione. Ragionare in tal senso (o non escluderlo a prescindere) potrebbe far la differenza tra una classe politica e un’altra.
@fernandomadonia