Il concetto di controcultura viene comunemente associato all’immaginario sessantottino ma ad una lettura più approfondita non risulta più così evidente. È la tesi che propone Luciano Lanna, a lungo direttore del Secolo d’Italia con un agile testo dal titolo Il Fascista Libertario (edito da
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Sperling&Kupfer, per la collana “Le radici del presente”). Dopo gli anni di piombo pare esserci stata una cesura, su più fronti. Non solo a sinistra. Il magma scaturito dalla vertigine del sessantotto ha investito e non poco quanti si posizionavano a destra, per usare un termine semplicistico, oppure, altrettanto semplicemente, non ritenevano che il conformismo dettato dal mondo liberal e politicamente corretto fosse sufficiente per incastrarne ed incasellarne anche l’orientamento di pensiero.
Il ruolo dell’immaginario
L’appartenenza politica di una comunità è composta necessariamente da un immaginario, una serie di idee e spunti che ispirano e direzionano la suddetta comunità. Alain de Benoist ne parlava già da tempo quando teorizzava la nouvelle droit mentre nel panorama nostrano Giampiero Mughini ha avuto modo di sdoganare l’argomento con un documentario trasmesso a puntate sulla Rai dal titolo (provocatorio anche per i tempi) “Nero è bello”, in cui dava voce ed immagine al magma che si agitava sul fronte culturale adombrato da una sorta di contestazione “ufficiale” relegando ciò che era situato a sinistra del Msi come minoritario.
Da tempo, infatti, quando si parla di immaginario politico di destra si incappa facilmente in un certo quantitativo di confusione. Quando si parla di immaginario politico, il libro di Lanna può fornire un’efficace fonte di orientamento. Un’indagine, storicamente profonda, sulle radici dell’immaginario che ha caratterizzato la destra italiana. Si tratta di un’opposizione ferma a qualsiasi forma di autoritarismo e, per viverla, si sdogana dunque un immaginario culturale in grado di dare linfa alla comunità non solo politico, in nome della libertà di pensiero.
Si crea, così, uno spazio ampio di ricerca in cui c’è posto per i Campi Hobbit, nuove letture e nuovi gusti musicali come Lou Reed. Il Fascista Libertario è una figura che prende le mosse all’interno di un magma anche fertile in cui il termine “controcultura” costringe a catalogare la nozione ad un periodo antecedente a quello in cui la controcultura ha ufficialmente preso piede. Si cita D’Annunzio e il dannunzianesimo, Fiume, il concetto di patria di mazziniana memoria, la lotta contro l’autoritarismo voluta dal Partito d’Azione ma anche i Vitelloni (“perennemente fuori posto, i vitelloni, perennemente inquieti (…)” come li definisce Ludovico Incisa di Camerana). Un pantheon culturale che trae origine anche da riviste quali Il Borghese di Leo Longanesi e L’Europeo di Arrigo Benedetti in cui Gualtiero Jacopetti ed Ennio Flaiano riescono ad essere a pieno titolo inseriti anche per via della loro componente irregolare.
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Accanto ad un nostalgico senso comune che accomuna alla parola “destra” tutto ciò che suona come autoritario (il regime, le caserme e i colonnelli, tanto per rimanere nella medesima area semantica), vi è un immaginario, convertito poi in prassi, che da tempo immemore vuole superare gli steccati di area per unirsi nel comune intento trasversale, compattato dalla comune avversione per tutto ciò che atrofizza l’esistenza dell’essere umano al di sotto di un’unica dimensione, sia essa del profitto, del lavoro o del denaro. Il fascista libertario, del titolo, diviene qui un archetipo di trascendenza culturale. Celine e Junger trovano spazio accanto alla cinematografia di Clint Eastwood, ai fumetti di Hugo Pratt, grazie al quale Corto Maltese è assurto a categoria esistenziale. Tutto ciò che è vitalità, energia, con Nietzsche ma oltre Nietzsche, il pacifismo, le battaglie di Giuliano Compagno per Amnesty International e gli studi su Jean Baudrillard.
Il libertario è colui che ben conosce le regole del vivere civile, al punto di proclamarsi autonomo nel perseguirle, rifuggendo, intimamente e convintamente, qualsiasi traccia di spettro autoritario. Perché, come diceva Hugo Pratt, proprio tramite il gentiluomo di ventura:
“Non sono nessuno per giudicare, so soltanto che ho un’innata antipatia per i censori”.
Mi pare molto interessante. Me lo procurerò!