Se oggi le scienze sociali non fossero ridotte ad oscure arti biochimiche fatte di ormoni sessuali e microchip, molto probabilmente garantirebbero ancora qualche rinnovato schema intellettuale su cui dibattere del futuro della società umana, aldilà dei meri algoritmi da social network.
In passato uno degli ideal-tipi più utilizzati e fortunati era quello legato alla classe media: democrazia e classe media erano da sempre considerati elementi inscindibili, l’una garanzia dell’esistenza dell’altra. Sia da un punto di vista economico (è nella classe media che si concretizza l’ascensore sociale) sia da un punto di vista sociologico (è nella classe media istruita che avvengono i cambiamenti culturali e politici attraverso i quali il sistema si rigenera appianando il conflitto).
In buona sostanza sin dai tempi della classicità greca e romana, ogni forma di partecipazione organica al potere, e dunque antioligarchica od antitirannica, prevede tipicamente una classe media istituzionalizzata capace di moderare e temperare le esigenze estreme delle elites, da una parte e del popolo dall’altra.
Controprova empirica e grande balzo temporale: è un fatto che il crollo dell’Unione Sovietica sia avvenuto più per ragioni sociologiche che squisitamente economiche, laddove una classe media (esistente ed importante) di tecnici, professori, intellettuali, artisti, scienziati, quadri e militari, una volta preso il potere e avendo la possibilità di riformare il sistema socialista, pur di vendicarsi di decenni di prevaricazione ideologicamente proletaria, preferì buttare via il bambino con l’acqua sporca e svendere al nemico l’intero paese. Causando una catastrofe sociale ed economica cui seppe porre rimedio soltanto lo Zar Putin attraverso una nuova forma di autocrazia.
Seconda plausibile controprova: l’ossessione fascista di questi anni, che il mainstream non smette di alimentare con una sovrapproduzione di materiale intellettuale, nasconde probabilmente l’interesse per un modello organicistico di un certo successo. Fu, in effetti, il bieco cinismo e machiavellismo mussoliniano, a garantire quel pluralismo di vedute e di partecipazione politico- corporativa che formarono l’idea stessa di Italia moderna: furono quelle classi dirigenti formatesi sotto il Fascismo, dentro i Guf, a portare l’Italia democratica del Lavoro ad essere la quinta potenza mondiale. Un dato di fatto che evidentemente conta ancora.
Venendo all’oggi, dopo trent’anni di neoliberismo la sintesi democrazia-classe media sembra essersi spezzata in tutto l’occidente: lo dicono i freddi numeri della propensione al risparmio, del pil pro capite, della soglia di povertà relativa, dell’indebitamente privato; ma anche il numero di laureati, di ricercatori, di infrastrutture della conoscenza, di partecipazione. Il grande declino dell’Occidente passa per la sistematica eliminazione della classe media, e per la fredda sostituzione della democrazia consociativa con il più pratico modello funzionalista.
Un tema centrale, dunque, che continua a passare inosservato nel dibattito pubblico. Si va così consolidando quella visione tradizionalista che unificava economicismo marxista e liberismo quali volti della stessa medaglia. Le Big Corporation, in fondo, con i loro modelli di profitto e controllo ed i rituali di cooptazione accademico-culturale altro non sarebbero che una ristretta nomenclatura in salsa monopolistica.
Il sovranismo degli ultimi anni, pur avendo compreso parte del problema e offerto un’opposizione per lo meno retorica al declino, resta tuttavia ancorato ai vecchi schemi della destra e della sinistra, ragionando tatticamente come se i nodi della liberal-democrazia non fossero finalmente venuti al pettine. La globalizzazione come modello di ingegneria sociale ha palesato ogni sua finalità, raggiungendo obiettivi concreti assai più radicali e profondi di quel che si possa credere: chi pensa di poterne ostacolare il cammino “abbassando le tasse” si pone necessariamente fuori dalla storia del conflitto fra elites e nuove masse non politicizzate.
Ciò vale più che mai se si parla apertamente di “pericolo cinese”. Chi dà fiato al mainstream senza una chiara conoscenza del modello del “sogno di tutto ciò che è sotto il cielo” rischia di non comprendere un fatto essenziale: al contrario di quanto accaduto per noi, l’autocrazia asiatica ha nell’ultimo decennio sviluppato una fortissima classe media, istituzionalizzata nel Partito, in costante ascesa e che, a differenza di quella occidentale, può permettersi una visione di lungo periodo scevra da qualsiasi eudemonia economica.
Il confucianesimo di regime è qualcosa di ben diverso sia dal grigio burocratismo sovietico degli anni ’80, sia dalla nichilistica volontà di potenza dell’establishment occidentale. Da questo punto di vista prima si abbandonano vecchi nostalgismi anticomunisti, prima si potrà osservare un modello sociale e politico che, per quanto distante dalla nostra tradizione culturale, si rivela da anni potenzialmente assai più democratico e plurale della distopica ed orwelliana dominazione monopolistica dei Grandi Gruppi.
E basta nostalgie comuniste! Andate nella Russia di Putin, se vi prende, e rifondate con lui l’URSS…
In Occidente a causa del liberismo viviamo in una plutocrazia.
…sempre meno peggio che una cleptocrazia….