Gli abitanti del grande villaggio creato dalla globalizzazione si sono, improvvisamente, sentiti schiacciati dal peso della paura.
L’angoscia ha viaggiato di pari passo con il coronavirus. Uomini e donne, soprattutto in Occidente, hanno, dall’oggi al domani, preso coscienza della loro impotenza.
Sono bastate poche settimane, a volte una manciata di giorni, per far crollare i miti che hanno cullato un’intera generazione: ovvero la libertà senza limite e l’onnipotenza della scienza.
La clausura coatta e la balbuzie degli scienziati hanno lasciato lo ”homus occidentalis” nudo, disorientato, improvvisamente privo di certezze.
Così, giorno dopo giorno, sono riaffiorate vecchie paure che si pensava appartenessero ai secoli in cui l’essere umano non conosceva le semplificazioni offerte della tecnica e la vita era una scommessa quotidiana con l’imponderabile.
Secoli in cui le malattie falcidiavano bambini e vecchi con inesorabile puntualità.
Si sono quindi rifatti vivi spettri che si pensava relegati nei polverosi scaffali delle biblioteche. Fantasmi che ricordano che, in diverse occasioni, le epidemie hanno fatto temere al genere umano di non poter più perpetuare sé stesso.
Tra gli episodi più nefasti, gli storici hanno spesso ricordato il flagello della peste nera, la catastrofe che, tra il 1347 e il 1353, spazzò via tra un terzo e la metà della popolazione europea.
Ieri, come oggi, la morte fu, in parte, il risultato dei progressi che avevano permesso al mondo di allora di essere connesso attraverso i traffici e le reti disegnate dai mercanti, soprattutto, Genovesi e Veneziani.
Anche in quell’incipiente crepuscolo del Medioevo, il nemico invisibile arrivò dall’Oriente e in pochissimo tempo si diffuse grazie alle rotte marittime, ai mercanti, ai pellegrini ed a quella caotica e irrequieta umanità che solcava le strade del Vecchio Continente.
Partita dalle steppe asiatiche, dove era comparsa negli anni Venti del XIV secolo, la peste giunse in Crimea.
Da qui, nel 1347, gli abitanti della colonia genovese di Caffa, la portarono a Messina, in Calabria e nei porti in cui le navi scaricavano uomini e mercanzie.
Da quel momento, il contagio si diffuse con sconcertante rapidità nel resto d’Italia, quindi in Francia, Spagna e Balcani.
In poco meno di due anni, l’epidemia raggiunge Polonia, Scandinavia, Inghilterra e Irlanda per proseguire il suo cammino, tra il 1350 ed il 1353, in Germania e Russia.
La società dell’epoca si trovò alle prese con un nemico spietato che mieteva vittime senza distinzione d’età o classe sociale.
Quando i morti iniziarono ad accatastarsi, nelle città come nella campagna – così com’è accaduto ai nostri giorni – si cercò di limitare i movimenti di uomini e merci e di migliorare le condizioni igieniche.
Le città medievali, affollate e sporche, avevano infatti contribuito non poco ad agevolare la diffusione del contagio.
Le conseguenze della malattia furono aggravate da un eccesso di popolazione e dalla limitatezza delle risorse disponibili, soprattutto alimentari.
In molti casi, la malnutrizione si rivelò una formidabile alleata dello Yersinia pestis*.
L’epidemia, portata dai topi e veicolata attraverso le pulci presenti nella loro pelliccia, fu causa di lutti, ma non solo.
Il contagio contribuì, infatti, a dare i natali al Decameron di Giovanni Boccaccio e a condizionare, per i secoli a venire, la storia economica dell’Europa.
I vuoti lasciati dalla peste crearono, infatti, le condizioni per una polarizzazione della ricchezza, con il risultato che la proprietà terriera si concentrò nelle mani dei pochi superstiti.
La situazione si rivelò favorevole anche per le classi subalterne che beneficiarono di un aumento dei salari.
La grande quantità di terreni abbandonati, consentì ai contadini sopravvissuti di disporre di nuovi campi, molti dei quali gravati da meno obblighi feudali rispetto al passato.
Gli effetti della pestilenza si manifestarono anche sul paesaggio. Molti villaggi, ormai spopolati, caddero in rovina ed i campi, rimasti incolti, furono sopraffatti dalla natura.
Niente fu più come prima.
Non a caso, per alcuni storici, le conseguenze prodotte dalla peste furono tali da scuotere e scardinare definitivamente il mondo medievale, dando l’abbrivio ai fasti del Rinascimento.
*La peste come malattia specifica viene identificata solo nel 1894, quando Alexander Yersin scopre il bacillo che la provoca (Yersinia pestis), ospitato dai topi e veicolato all’uomo dalle pulci che vivono nella loro pelliccia.