L’Asse era in ginocchio, lo sbarco in Normandia aveva avuto successo, l’ultima controffensiva del Terzo Reich nelle Ardenne, dopo il successo iniziale, era stata ricacciata al di là delle linee tedesche. La fine della guerra era solo questione di tempo, gli eserciti del Terzo Reich resistevano ma una vera e propria offensiva non erano più in grado di sferrarla. A mo’ di tenaglia, a Occidente avanzavano gli Alleati, a Oriente i sovietici.
In una realtà così, nella notte fra il 13 e il 14 febbraio del 1945, tre mesi prima della fine della guerra, Dresda, capitale della Sassonia, bella città definita “la Firenze del Nord” per l’architettura e le opere d’arte, intatta nonostante l’infuriare della guerra perché non aveva rilevanza militare né industriale, fu distrutta dai bombardamenti della Raf (due) e dell’Usaaf (uno) che si susseguirono in tre ondate.
Secondo alcuni storici si trattò di una vendetta per i pesanti bombardamenti del 1940 sulla britannica Coventry, centro siderurgico con industrie belliche, e dell’olandese Rotterdam. I bombardamenti tedeschi centrarono le zone industriali, le fabbriche, gli snodi ferroviari, le strade di comunicazione. Il bilancio fu pesante: circa 900 morti a Rotterdam e 80mila senza tetto mentre a Coventry i morti furono 1.236 e rimasero senza tetto ben 40mila persone. Tutto sommato poco rispetto ai numeri di Dresda, ancora non definiti esattamente. La propaganda tedesca parlò, all’indomani delle incursioni aeree, di 300mila morti; nel dopoguerra, una commissione comunale con alcuni storici minimizzò i numeri valutando solo 25-30mila vittime. Bisogna calcolare che Dresda aveva 642mila abitanti e circa 200mila profughi tedeschi provenienti dall’Est, in fuga dall’Armata rossa. Di certo 25mila furono in seguito quelli morti e riconosciuti ma molti altri furono considerati dispersi. La cifra più reale, fra 135mila e 200mila circa, a causa della distruzione di tutto il centro storico e dei quartieri periferici. Era pressoché impossibile reperire i corpi della maggior parte delle vittime poiché sfruttando particolari condizioni atmosferiche (clima secco e assenza di vento) le bombe sganciate e gli spezzoni incendiari insieme creavano correnti ascensionali che scatenavano i Feuersturm (Tempeste di fuoco) veri e propri tornado di fiamme con venti che spiravano a 240 chilometri l’ora, con vampate che raggiungevano i 300 metri di altezza sprigionando temperature di 800 gradi centigradi. Il Bomber Command auspicava quelle condizioni atmosferiche e, a volte, aspettava quelle condizioni favorevoli per sfruttare l’effetto moltiplicatore. I rifugi antiaerei erano inutili: si moriva per le temperature e, spesso, se i corpi erano esposti direttamente al fuoco, questi venivano disintegrati, dissolti. Ecco perché è impossibile definire il numero esatto delle vittime. La seconda ondata di bombardamenti fu disposta a tre ore di distanza dalla prima perché il comando britannico calcolò che nel frattempo dai paesi e città vicini sarebbero accorsi a Dresda ambulanze e pompieri. Nel mezzo dei soccorsi un altro pesante attacco avrebbe ottenuto un esito ancor più disastroso.
Furono impegnati nel bombardamento ben 729 Avro Lancaster e con il supporto di 9 Mosquito e 527 B 17 scortati da 784 caccia Mustang. Secondo molti testimoni i caccia eseguirono anche mitragliamenti a bassa quota di civili tedeschi in fuga, scampati al rogo e alle bombe. Un pesantissmo bombardamento su un obiettivo che non aveva valenza strategica, pochissimo difeso. Un’azione di guerra contro i civili, visto che gli snodi ferroviari e l’aeroporto a nord di Dresda furono solo marginalmente coinvolti nella distruzione. Era evidente: lo scopo era di fiaccare il morale della popolazione, come Churchill aveva detto qualche anno prima, nel 1942; la storia e i fatti si sono incaricati di smentirla.
Ora è stato pubblicato un libro nel quale ricercatori esperti (Andrea Lombardi, Jacques R. Pauwels e Enrico Petrucci) spiegano nei dettagli la storia del bombardamento e le motivazioni. Sono riprodotti documenti di fonte tedesca e di fonte britannica, testimonianze oculari e, soprattutto, 150 fotografie, scattate, a partire dai giorni immediatamente successivi fino al 1949, da un fotografo di Dresda, Richard Peter senior (1895-1977). Le foto sono particolarmente eloquenti e narrano con spaventosa forza il crimine di guerra compiuto dagli Alleati e mostrano l’annichilimento di un’intera città, i cadaveri carbnizzati, i corpi accartocciati, vestiti e uniformi irrigidite e bruciate senza più un corpo dentro. Angoli irriconoscibili della città, interi quartieri devastati dalle bombe, ridotti a macerie. Il bianco e nero rende ancor più drammatica l’inquadratura, ciò che rimane di bambini, anziani e donne, poveri pezzi di carbone ridotti a nulla.
Immagini che scuotono per l’orrore, che mostrano il volto della guerra, operazioni militari che virano verso il crimine vero e proprio, che spiegano più di tante narrazioni, tante spiegazioni. Ma anche le foto della ricostruzione, della città che in pochi anni rinacque, con gli abitanti di Dresda si impegnati nella ricostruzione.
Le responsabilità
Resta da ricordare la responsabilità per questo crimine. Dal 1944 l’Alto comando britannico aveva studiato la possibilità di effettuare operazioni con pesanti attacchi aerei definiti “Area bombing”, cioè con bombardamento massiccio di un’area cittadina senza distinguere gli obiettivi militari e i quartieri cittadini. Ovviamente una modalità altamente distruttiva, per fiaccare il morale della popolazione tedesca sperando in una rapida resa. Alla fine del 1944 era evidente che la guerra era finita e l’Asse non aveva più speranze. Ma gli Alleati avevano avuto una battuta d’arresto, lo smacco nelle Ardenne, alcune difficoltà nel procedere mentre i sovietici stavano mietendo un successo dietro l’altro ed erano a 200 chilometri da Dresda quando Churchill affidò al comandante Arthur Harris (definito “il macellaio” per l’assenza di scrupoli e per l’entusiastica adesione al bombardamento stragista) la decisione di scegliere l’obiettivo e di coordinare la missione. Fra le varie città fu scelta Dresda perché era quella, fra le città più importanti, più vicina alla linea di avanzamento dei sovietici. Una volta entrati a Dresda, i sovietici avrebbero portuto vedere come era stata ridotta la città dagli Alleati. Di lì a poco era previsto l’incontro di Yalta per la divisione dell’Europa fra Urss e Alleati e quel panorama sotto gli occhi dei comandanti comunisti avrebbe spinto Stalin a essere più conciliante e disponibile con inglesi e statunitensi.
Un duro colpo al morale dei tedeschi
Dresda non era stata mai bombardata mentre erano state pesantemente bombardate almeno una quindicina di città tedesche grandi e medie. Il bombardamento di Dresda non aveva a che fare con la lotta contro il nazionalsocialismo o contro l’esercito tedesco, era in realtà una strategia per fiaccare il morale dei tedeschi e contemoraneamente intimidire i sovietici e rendere Stalin più disponibile nelle trattative per la spartizione dell’Europa.
Nel dopoguerra, parte dell’opinione pubblica inglese non approvò quei bombardamenti indiscriminati e il generale Harris non si pentì mai. Per la verità, l’iniziativa rientrava nel Piano Thunderclap (Colpo di tuono), messo a punto nell’agosto 1944 da Sir Charles Portal, capo di stato maggiore della Raf, per infliggere alla Germania il colpo decisivo. Harris affermò di aver soltanto obbedito alle decisioni prese dal governo britannico, stessa giustificazione espressa al processo di Norimberga dei vertici del Terzo Reich e Harris osservò anche che grazie a quella strategia la guerra sarebbe terminata prima. La stessa motivazione usata qualche mese dopo dagli Usa per giustificare il bombardamento a tappeto di Tokyo e di altre città giapponesi e l’uso delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki.
*Dresda. Sguardi dall’apocalisse, di Richard Peter senior, Italia storica ed., pagg. 193 – euro 29,00 (Ordini: italiastorica.com, italiastorica@hotmail.com)
Fu un orrendo crimine inglese. Ma Hitler doveva immaginarsi, nell’agosto 1939, che non poteva mettere un tetto alla Germania e che l’esempio di Guernica, durante la Guerra Civile spagnola, sarebbe stato usato contro la Germania ed i civili.
D’accordo ma Guernica fu importante sul piano della propaganda (specie per il quadro di Picasso) non certo dei crimini di guerra: le vittime del bombardamento del paese spagnolo furono 250 (duecentocinquanta). Semmai fu il bombardamento di Londra a incarognire gli inglesi (alcuni aerei della Luftwaffe sbagliarono rotta e obiettivi da colpire e distrussero palazzi dove vivevano solo civili, distrussero Trafalgar square ecc). E comunque bombardare la popolazione civile fino a 200mila vittime (Dresda) e radere al suolo una città senza importanza politica e strategica è un crimine.
Certo, i numeri di Guernica (lasciamo stare il quadro di Picasso preparato senza pensare a Guernica e poi ‘adattato’) sono ben diversi, ma la Guerra di Spagna fornì alla Luftwaffe (e pure a noi, visto il nostro bombardamento di Barcellona) la prova della grande efficacia sul morale del nemico derivante da attacchi aerei su obiettivi civili. Verissimo che Hitler non avrebbe voluto attacchi su obiettivi civili (per la verità neppure il proseguimento della guerra con la Gran Bretagna), ma ormai l’errore di entrare in guerra era stato commesso e c’era pure il precedente di Varsavia… Però il morale degli inglesi non ne uscì spezzato, così come quello dei tedeschi. Sull’Italia, invece, l’effetto fu micidiale ed il bombardamento terroristico di Roma del luglio ’43 (più che quelli sulle grandi città industriali) fece comprendere a tutti che la sorte dell’Italia era segnata e che bisognava venirne fuori….
L’errore fu anche pensare di piegare la Gran Bretagna solo con la guerra aerea