Tra i tanti prodigi della rete ve ne è uno molto particolare: trasformare delle storie, nate magari come un semplice gioco creativo da parte dei loro (improvvisati) autori, in veri e propri fenomeni di culto. Come un vorticoso domino, l’eco si diffonde passando di parola in parola, di monitor in monitor, raggiungendo i vari meandri di questa sconfinata realtà virtuale nel giro di pochissimo tempo. Talvolta, il progetto sfocia in una consacrazione cartacea. Poco importa che spesso si tratti di opere senza arte né parte e dalla più che dubbia qualità: al pubblico non si comanda e lo stesso agli editori.
Fare di tutta l’erba un fascio, tuttavia, sarebbe un grossolano errore, in mezzo a tante pietre grezze si nascondono anche innumerevoli gemme che sarebbe un peccato lasciarsi sfuggire. Warm Bodies, scritto da Isaac Marion nel 2012 ed edito in Italia dalla Fazi Editore, è proprio una di queste: nato dapprima come short story e poi convertito in un libro, può fregiarsi non solo di essere il quinto best seller più venduto in quell’anno, secondo un’indagine del Times, ma di aver anche un’omonima trasposizione cinematografica.
La trama
La trama, riportata in calce, è la seguente: R è uno zombie in piena crisi esistenziale. Cammina per un’America distrutta dalla guerra, segnata dal caos e dalla fame dissennata dei morti viventi. R, però, è ancora capace di desiderare, non gli bastano solo cervelli da mangiare e sangue da bere. Non ha ricordi né identità, non gli batte più il cuore e non sente il sapore dei cibi, la sua capacità di comunicare col mondo è ridotta a poche, stentate sillabe, eppure dentro di lui sopravvive un intero universo di emozioni. Un universo pieno di meraviglia e nostalgia. Un giorno, dopo aver divorato il cervello di un ragazzo, R compie una scelta inaspettata: intreccia una strana relazione con la ragazza della sua vittima, Julie. Il destino delle loro esistenze inevitabilmente cambia. A dispetto della sua apparente semplicità, quella che potrebbe sembrare come una delle tante narrazioni post apocalittiche, si rivela un’opera ben più profonda e complessa, in grado di suscitare disarmanti riflessioni su temi ancestrali come la vita e la morte. Queste le due costanti del romanzo, incarnate alla perfezione dalla doppia natura del protagonista, Bifrost tra l’una e l’altra. Eppure R tutto sembra tranne che una creatura senza volontà, sin dalle prime pagine infatti si pone ai nostri occhi come un anticonformista, una sorta di moderno Prometeo, provato nel corpo e nell’anima da una società collassata su se stessa. Il dubbio è il motore di tutto: incapace di accettare la propria condizione per quella che è, R sceglie di interrogarsi a riguardo, di non smettere di porsi domande su se stesso e sullo scopo di questa pseudo-esistenza, in un mondo dove la coscienza sembra essere stata ormai dimenticata. È facile individuare nello sciancato protagonista e nella sua realtà in decomposizione un contatto con quella non rilegata: quasi come un funereo auspicio, Marion tratteggia con il suo amaro senso dell’umorismo, e con una scrittura vivida e cinematografica, un mondo alienato da se stesso, soggiogato dai propri ritmi, lacerato dalle proprie scelte e da possibilità ormai perdute. « Zombie potrebbe essere uno stato dell’essere che non comprendiamo» suggerisce Julie, la coprotagonista femminile, una possibile definizione tanto del demone quanto dell’uomo moderno, la quinta essenza di quell’alienazione frommiana che tanto ha affascinato gli intellettuali del secondo Novecento.
Gli zombie
All’interno della storia ci vengono presentati due tipologie di zombie: quelli classici e gli “ossuti”, privati completamente delle loro fattezze originarie e ridotti ormai a scheletri vacui. Restii al cambiamento, essi si ostinano con tutte le loro forze a far restare tutto immutato, specchi di una logica necrotica tristemente nota ai vivi sempre più nolenti a schiodarsi dal loro pensiero unico.
Ad ogni modo, l’opera potrebbe essere accostata anche ad un altro capolavoro della letteratura contemporanea: Cecità di José Saramago, incentrato sull’apparizione di una improvvisa e dilagante malattia che priva della vista, e gradualmente della sua umanità, il mondo. Una sorta di lucida profezia dei tempi odierni che mette in luce il lato più oscuro e primordiale della nostra specie, senza filtri e ipocrisie. Esattamente lo scenario descritto da Warm Bodies tranne che qui la catastrofe si è già compiuta completamente, il peggio si è avverato, non si può tornare indietro, ma solo lavorare, per quanto sembri difficile, su ciò che resta. Saranno proprio i dubbi, l’amore e le decisioni, tutto quanto ci rende vivi insomma, a ridar luce ad un’umanità naufraga di sé.
Un’opera livellare, dunque, che presenta molteplici livelli d’interpretazione e una natura poliedrica: romanzo distopico, fantasy per ragazzi, saggio antropologico.
«Non credo che arrivi da una maledizione, né da un virus, né da raggi nucleari. Credo che venga da un posto più profondo. Credo che siamo stati noi a portarla qui…credo che nei secoli ci siamo annientati da soli. Ci siamo seppelliti sotto l’avidità e l’odio e qualsiasi altro siamo riusciti a trovare fino a che le nostre anime, alla fine, si sono schiantate sul fondo roccioso dell’universo. E poi hanno scavato un buco, in un qualche… posto oscuro».
Parole che racchiudono tutta l’emblematicità di una storia di riscatto e (ri) scoperta di sé.