E’ morto, a 96 anni, Vittorio Mathieu, filosofo piemontese di formazione kantiana, docente universitario già a trent’anni di età, prolifico autore di oltre 400 pubblicazioni, traduttore della Critica della Ragion pura kantiana su cui abbiamo studiato noi universitari degli anni Ottanta, accademico dei Lincei, per anni membro e anche vicepresidente del Consiglio esecutivo dell’Unesco, membro del Comitato nazionale di Bioetica. Un pozzo di cultura, un dotto di quelli che non se me vedono più.
Tra i punti di riferimento di Ideazione
Dal 1996 alla fine del 2003 l’ho conosciuto e frequentato quotidianamente a Ideazione, la rivista bimestrale dove ho lavorato come caporedattore e membro del comitato scientifico della omonima fondazione. In quella sede romana di piazza Sant’Andrea della Valle, chiamato dal compianto Domenico Mennitti, uno dei miei pochissimi maestri, il Professore, così lo chiamavamo, aveva spostato la sua biblioteca e aveva un suo studio personale. Gran signore, elegante, silenzioso, riusciva a interloquire e intervenire appropriatamente su qualsiasi tema in discussione.
Il numero sulla Fiat e la violenza dei partigiani
Nel 2002, realizzammo un numero monografico sulla Fiat e in un suo articolo Mathieu tirò fuori un episodio personale che poi venne approfondito dal Corriere della Sera. Venne infatti a intervistarlo Goffredo Buccini. Il professor Mathieu raccontò che suo padre, Pietro Mathieu, e Clara, sua madre, vennero giustiziati da una brigata partigiana perché accusati di essere spie dei tedeschi. I due coniugi erano infatti stati prelevati nella loro casa di Procaria (frazione di Ceres, a 40 chilometri da Torino) nell’agosto del ‘ 44, portati al cimitero, trucidati contro il muro e sepolti senza una lapide o una croce. E i loro corpi vennero trovati solo dopo la fine della guerra. La famiglia, i due genitori e Vittorio ventenne, era sfollata da Torino tre anni prima: aveva da poco cominciato le ferie, un tentativo di normalità impossibile in quell’agosto italiano del 1944. Era proprio Pietro che cercavano – rovinato dalla lettera di un delatore che voleva prenderne il posto alla Fiat – ma si portarono via anche la moglie. «Dovete seguirci», disse il comandante della brigata garibaldina, senza spiegazioni né emozioni, benché i Mathieu fossero benvoluti da molti nella valle. Li misero contro il muro del cimitero; dopo, li sotterrarono senza una croce. «Per due mesi non ho saputo niente», ha raccontato il filosofo: «A lungo sono rimasto convinto nell’inconscio che mio padre potesse tornare da un momento all’altro». Lo aiutò la fede cattolica, per tutta la vita il vero baricentro della sua esistenza.
Tra Fondazione Volpe e Il Giornale di Montanelli
Comunque, dopo la guerra Vittorio si iscrive a Giurisprudenza a Torino e poi seconda laurea in Filosofia. E via con una carriera rapida e densa di pubblicazioni e cattedre. Negli anni Settanta Mathieu non esitò a partecipare agli Incontri Romani della Fondazione Volpe e a collaborare alle pagine culturale del Giornale di Indro Montanelli. Nel 1994 fu tra i fondatori di Forza Italia. Tra i suoi pamphlet politico-filosofici Cancro in Occidente, pubblicato nel 1983 con la montanelliana Editoriale Nuova, La speranza nella rivoluzione del 1992 e Le radici classiche dell’Europa del 2002. Il suo ultimo libro, Goethe e il suo diavolo custode, gli venne richiesto nel 2002 da Roberto Calasso, che lo sollecitò molto per avere un suo testo nel catalogo dell’Adelphi.
Grazie, Luciano, per questo umanissimo ed eloquente ricordo di un grande della cultura italiana, che Forza Italia non seppe o non volle adeguatamente valorizzare. Non ebbi il privilegio di conoscere di persona il professor Mathieu, ma lo seguii a lungo, alla Fondazione Volpe, sulle colonne del “Giornale” di Montanelli e poi sulle riviste cui collaborò e ne conservo due piacevoli ricordi. Il primo risale al 1988, credo al mese di giugno, effervescente per il rinnovo del contratto di lavoro dei docenti, che aveva portato a una minaccia di blocco degli scrutini. Mathieu pubblicò sul “Giornale” un memorabile intervento, uscito, se non vado errato, come editoriale, intitolato “La vera riforma della scuola: raddoppiare lo stipendio ai professori”. L’insigne studioso ricordava la figura del suo docente di tedesco al liceo, severissimo, cultore di un nicciano “pathos della distanza” nei confronti degli allievi. Durante le gite scolastiche non mangiava mai (forse ingurgitava qualche panino di nascosto, nella sua camera d’albergo), perché pranzando con i discepoli temeva di stabilire con loro un rapporto di eccessiva confidenza. Però era bravissimo e fu per loro un maestro non solo di tedesco, ma di vita. Tutto il contrario di tanti professori di oggi, che vanno a scuola in bermuda e si fanno dare del tu da dei mocciosi.
Il secondo ricordo risale invece al tardo febbraio del 2003 (ricostruisco la data perché era da poco morto Alberto Sordi, che l’allora ministra Moratti commemorò per l’occasione). Ero stato invitato a una sorta di stati generali della Scuola organizzati a Fiuggi dal Miur, in vista della riforma; si parlava fra l’altro di programmi e di discipline d’insegnamento nella scuola da riformare; io facevo parte della commissione per il liceo scientifico e per un ipotetico liceo tecnologico, che poi non fu realizzato, per fortuna, almeno durante il secondo governo Berlusconi. Ovviamente difesi strenuamente la permanenza del latino in tutti i licei e un insegnamento storico, non tematico, della filosofia, secondo la lezione genti liana.
Nel dibattito finale l’ormai ottuagenario Mathieu tenne un bellissimo discorso in difesa della tradizione umanistica nel sistema educativo; peccato che, per un ameno lapsus linguae (che qualcuno probabilmente avrà definito freudiano), invece di dire liceo classico gli scappò detto museo classico. Sorridemmo tutti della gaffe, ma debbo ammettere che questo ricordo me lo rende più simpatico e più umano.
e, Luciano, per questo bel ricordo del professor Mathieu.
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Grazie, Luciano, per questo umanissimo ed eloquente ricordo di un grande della cultura italiana, che Forza Italia non seppe o non volle adeguatamente valorizzare. Non ebbi il privilegio di conoscere di persona il professor Mathieu, ma lo seguii a lungo, alla Fondazione Volpe, sulle colonne del “Giornale” di Montanelli e poi sulle riviste cui collaborò e ne conservo due piacevoli ricordi. Il primo risale al 1988, credo al mese di giugno, effervescente per il rinnovo del contratto di lavoro dei docenti, che aveva portato a una minaccia di blocco degli scrutini. Mathieu pubblicò sul “Giornale” un memorabile intervento, uscito, se non vado errato, come editoriale, intitolato “La vera riforma della scuola: raddoppiare lo stipendio ai professori”. L’insigne studioso ricordava la figura del suo docente di tedesco al liceo, severissimo, cultore di un nicciano “pathos della distanza” nei confronti degli allievi. Durante le gite scolastiche non mangiava mai (forse ingurgitava qualche panino di nascosto, nella sua camera d’albergo), perché pranzando con i discepoli temeva di stabilire con loro un rapporto di eccessiva confidenza. Però era bravissimo e fu per loro un maestro non solo di tedesco, ma di vita. Tutto il contrario di tanti professori di oggi, che vanno a scuola in bermuda e si fanno dare del tu da dei mocciosi.
Il secondo ricordo risale invece al tardo febbraio del 2003 (ricostruisco la data perché era da poco morto Alberto Sordi, che l’allora ministra Moratti commemorò per l’occasione). Ero stato invitato a una sorta di stati generali della Scuola organizzati a Fiuggi dal Miur, in vista della riforma; si parlava fra l’altro di programmi e di discipline d’insegnamento nella scuola da riformare; io facevo parte della commissione per il liceo scientifico e per un ipotetico liceo tecnologico, che poi non fu realizzato, per fortuna, almeno durante il secondo governo Berlusconi. Ovviamente difesi strenuamente la permanenza del latino in tutti i licei e un insegnamento storico, non tematico, della filosofia, secondo la lezione genti liana.
Nel dibattito finale l’ormai ottuagenario Mathieu tenne un bellissimo discorso in difesa della tradizione umanistica nel sistema educativo; peccato che, per un ameno lapsus linguae (che qualcuno probabilmente avrà definito freudiano), invece di dire liceo classico gli scappò detto museo classico. Sorridemmo tutti della gaffe, ma debbo ammettere che questo ricordo me lo rende più simpatico e più umano.
e, Luciano, per questo bel ricordo del professor Mathieu.