![Giorgia Meloni con Matteo Salvini ad Atreju](https://www.barbadillo.it/wp-content/uploads/2019/08/CYMERA_20190521_193952-310x206.jpg)
Quando ci si presenta in campo annunciando l’intenzione di vincere e poi si finisce con un 3 a 3, è fatale che anche un onorevole pareggio venga percepito come una sconfitta. È quanto è successo alle ultime regionali, anche se sarebbe ingeneroso colpevolizzare i leader del centrodestra per certe esibizioni di stereotipato ottimismo: esibire fiducia nella vittoria può essere un modo per tenere alto il morale della truppa, specie quando l’esito della battaglia è incerto. Nel caso della Toscana, la regione su cui erano puntati maggiormente i riflettori, c’è chi sospetta qualcosa di più grave: la circolazione, alla vigilia del voto, o addirittura a urne aperte, di sondaggi taroccati, che, dando per probabile la vittoria di Susanna Ceccardi, hanno contribuito a mobilitare un elettorato di sinistra tentato dall’assenteismo. È indubbio infatti che l’europarlamentare leghista ha perso con una percentuale così netta perché la macchina organizzativa del Pd, rinnovando i fasti del vecchio Pci, è riuscita a mobilitare gli elettori, a partire da quegli over 65 fra cui vantava il suo zoccolo duro.
Al di là di queste considerazioni preliminari, nel commentare l’esito delle elezioni regionali, anche ma non solo in Toscana, è saggio astenersi da almeno tre insidie: la caduta nel provincialismo, il fascino morboso del vittimismo, la tentazione di sottovalutare quello che rimane pur sempre un insuccesso (o, se si preferisce, un non successo, ma cambia poco) perché l’assalto alla cittadella rossa è comunque fallito.
Perché bisogna diffidare del provincialismo? Perché quanto sta succedendo in Toscana e in Italia è solo un aspetto di un più grande scontro all’interno di un mondo di cui la penisola, oggi più che mai “alla periferia dell’Impero” (ma di quale Impero? Forse, per Di Maio e i suoi accoliti, quello Celeste), è solo una provincia. La dittatura del politicamente corretto, l’imposizione di una neolingua, con esiti paradossali (Fausto Leali, il cantante che negli anni Sessanta interpretava i lamenti degli afroamericani, linciato mediaticamente per avere pronunciato “nero” con una G di troppo, come quando cantava la cover italiana di “Angelitos negros”), la demonizzazione di chiunque reclami una regolarizzazione dei flussi migratori, la “teologia dell’immigrazione” e la mistica del gommone, la rimozione delle responsabilità cinesi nell’origine e nella propagazione del Coronavirus, sono fenomeni planetari e rientrano in un più grande disegno di demoralizzazione dell’Occidente. Più che dalle elezioni a Cascina, il futuro dell’Italia dipenderà dal risultato delle presidenziali statunitensi, in cui si giocherà una partita di valenza mondiale. Sarà una coincidenza, ma, dalla nascita del centrosinistra con l’avvento di Kennedy al crollo del pentapartito e ai successi dell’Ulivo nell’era Clinton, fino alla caduta del governo Berlusconi dopo la vittoria di Obama, gli orientamenti della politica romana risentono sia pure in forma più o meno mediata delle scelte di Washington.
No al vittimismo
È bene mettere da parte, però, anche l’inclinazione al vittimismo. Può darsi pure che la sconfitta della Ceccardi sia stata amplificata da qualche sondaggio taroccato o magari da qualche scheda annullata di troppo; ma all’origine di essa c’è soprattutto l’incapacità della destra di contrastare l’egemonia culturale ed economica del Pd anche nei Comuni in cui è riuscita a governare. In un profetico intervento sul “Quotidiano del Sud” riportato su questo blog, Pietrangelo Buttafuoco individuava nel potere bancario una dei fattori chiave del predominio della sinistra in Toscana, e non solo. Basti pensare al destino della Cassa di Risparmio di Firenze, un tempo tradizionale cassaforte moderata, che con Lapo Mazzei aveva istituito il Premio Prezzolini, con una giuria presieduta prima da Del Noce e poi da De Felice. La Cassa di Risparmio, o meglio quanto ne rimaneva dopo la riforma bancaria, è stata fagocitata da Banca Intesa, lo stesso istituto che quest’estate in Lombardia ha inglobato l’Ubi, presieduta da Letizia Moratti. Sul piano culturale, la Regione Toscana – ma, si potrebbe aggiungere, molti Comuni e Province “rosse” – hanno svolto da cinquant’anni una politica culturale nettamente orientata da un lato ad assicurare visibilità e risorse ad artisti, ricercatori, studiosi politicamente orientati, dall’altro a forgiare un’identità collettiva volta a consolidarne l’egemonia. Poco o nulla di questo ho visto nelle amministrazioni locali conquistate dal centrodestra, a parte magari qualche proposta d’intitolare una strada ad Almirante, volta forse più ad assicurare un’effimera visibilità politica al proponente che ad avviare un serio percorso di analisi storica.
È sbagliato, invece, pensare che all’insuccesso (o non successo) del centrodestra in Toscana abbia contribuito la scelta della candidata. Nella regione dei guelfi e dei ghibellini, nera o rossa a seconda dei momenti, i candidati sbiaditi presentati dalla destra hanno riportato sempre modesti successi. Dal 1995 in poi, il miglior risultato dell’allora Polo delle Libertà fu ottenuto nel 2000 da Altero Matteoli, che proveniva dal vecchio Movimento Sociale. La Ceccardi ha superato, sia pure di qualche zero virgola, la sua percentuale del 40 per cento. Purtroppo, non ha saputo andare oltre, ma senz’altro ha fatto molto più di Fitto e Caldoro, i post-democristiani e post-socialisti “asfaltati” in Puglia e in Campania, regioni oltre tutto con solide tradizioni di destra. A nuocerle credo che sia stata, oltre alla congiuntura politica generale, con le inchieste giudiziarie della Lega e certe estemporanee dichiarazioni di Salvini in materia di Covid o di mascherine, un’impazienza venata d’invidia per la sua rapida ascesa presente nei quadri stessi del suo partito. Comunque la Ceccardi ha condotto una campagna elettorale onesta, mai sopra le righe, apprezzata anche da un ex presidente del Senato e a suo tempo maître à penser degli “atei devoti”, rispettosa del suo avversario Eugenio Giani, per altro persona, fra i politici del centrosinistra toscano, fra le più rispettabili. Per tratto, cultura, nei confronti degli avversari l’opposto del governatore uscente Enrico Rossi. Appassionato di storia toscana, intellettualmente onesto, al punto da intitolare da assessore allo Sport lo stadio di atletica a un ex federale fascista di Firenze, il marchese Luigi Ridolfi, Giani non è stato un antagonista facile per la Ceccardi, che comunque non è stata penalizzata dal voto disgiunto degli elettori delle liste di centrodestra a favore di un moderato. Che il confronto fra due persone così diverse, per età, estrazione politica, sensibilità sia potuto procedere civilmente è motivo di consolazione per un toscano come me, così come lo è il fatto che alla presidenza della mia Regione non ci sia più un Enrico Rossi.
Ultimo imperativo, per il centrodestra uscito dalle urne, dovrebbe essere quello di non minimizzare. Anche se le tensioni nella maggioranza permarranno, è molto improbabile che si vada incontro a elezioni anticipate. E un governo cui la tragedia del Covid ha lasciato in eredità l’enorme potere clientelare dei fondi europei da spartire rischia di consolidarsi. A questo occorre aggiungere i frutti dell’opera di colonizzazione culturale e morale che la sinistra sta svolgendo, tramite la scuola, ma anche il sistema mediatico, sulle nuove generazioni. Da molti anni ormai i consensi raccolti dal centrodestra a Palazzo Madama sono superiori che a Montecitorio, circostanza che spiega l’abbassamento dell’età richiesta per l’elettorato nella Camera Alta, che fa perdere così al bicameralismo una delle sue giustificazioni, e persino la demagogica proposta di abbassare a sedici anni l’età per il voto alle amministrative, col risultato che ragazzini che a scuola non sono liberi di uscire senza la “firma del padre o di chi ne fa le veci” potranno decidere il futuro della loro città. Se a queste tendenze aggiungiamo l’alterazione del corpo elettorale che deriverebbe dall’introduzione dello jus soli o dello jus culturae (concesso oltre tutto con molta larghezza, non solo ai morsicatori di nasi), il bombardamento mediatico sul razzismo, la rimozione dei crimini degli immigrati, le sorti delle future elezioni potrebbero essere poco favorevoli al centrodestra. Oltre tutto, un sistema almeno in parte uninominale potrebbe risultare pericoloso, perché sarebbe inutile fare “cappotto” in Veneto con percentuali bulgare e poi perdere nei collegi marginali del Sud. Si potrebbe replicare quanto avvenuto nelle ultime elezioni statunitensi, a spese della Clinton, ma anche nelle politiche del 1976 a spese del Polo delle Libertà, che per altro ci mise molto del suo, presentandosi in ordine sparso alle urne. E, nel caso di un proporzionale con sbarramento al 5 per cento, i voti di Forza Italia, partito ormai residuale, potrebbero andare dispersi.
La questione leadership
Dinanzi a tutto questo, il dibattito sulla leadership all’interno del centrodestra presenta un’importanza tutto sommato marginale. Che a guidarlo sia Giorgia Meloni o Matteo Salvini, magari con un Berlusconi a fare da padre nobile, importa sino a un certo punto. L’importante sarebbe che a destra ci si rendesse conto di come in una coalizione politica più della scelta del leader maximo conti la capacità di formare e selezionare un’autentica classe dirigente, che oggi sia in Fratelli d’Italia sia nella Lega, fatte salve le debite eccezioni, lascia a desiderare. Ma per formare una classe dirigente è indispensabile una cultura storica e politica, che non nasce da un giorno all’altro, ma necessita di risorse, di strumenti, di passione. Per Fratelli d’Italia potrebbe essere il momento giusto, soprattutto se si deciderà a far funzionare sul serio la Fondazione Alleanza Nazionale.
@barbadilloit