Federico il Grande suonava per diletto il flauto, ma nella sua intelligenza e cultura era un appassionato intenditore di musica. Pensiamo che aveva al suo servizio uno dei più grandi pianisti vissuti nel Settecento, il quinto figlio di Johann Sebastian, Carl Philipp Emanuel Bach. Ma forse anche senza questo rapporto il Re sarebbe stato un conoscitore e un estimatore del sommo fra i compositori, appunto Johann Sebastian. Questi se ne stava a Lipsia battagliando col Consiglio Comunale, pur se dal 1735 il titolo di compositore della Corte elettorale e regia di Sassonia lo aveva posto al di sopra di tante meschinità. Federico II voleva conoscerlo di persona. Il Maestro, forse in carrozza – aveva anche l’abitudine di viaggiare a piedi – giunse a Potsdam la sera del 7 maggio 1747. Quando il Re ebbe notizia dell’arrivo, non gli diede nemmeno il tempo di togliersi l’abito da viaggio e indossarne uno di corte: ordinò che venisse condotto subito alla sua presenza.
Gli fece visitare Sanssouci; nella reggia vi erano molti strumenti musicali, i cembali e i fortepiani di Silbermann; come racconta il primo biografo del Sommo, il Forkel, che lavora anche di prima mano per le notizie ricevute dai figli, il Re volle che il Sommo si fermasse presso ciascuno di tali strumenti e suonasse su di esso. Poi avvenne un fatto eccezionale: o che Bach lo chiedesse al Re, o che questi lo chiedesse al Maestro, ecco Federico dettare a Bach un tema, lungo, cromatico e complesso, sul quale improvvisare una Fuga. Il che Bach fece; ma questo è solo l’inizio di un’avventura. Pubblicò infatti una somma opera teorica che si congiunge all’altra, L’arte della Fuga: tale opera s’intitola Musicalisches Opfer, e più avanti ne darò la traduzione. Sul frontespizio l’Autore appose l’acrostico RICERCAR, che si scioglie: Regis Iussu cantio et reliqua Canonica arte resoluta; ossia Tema e altre cose, risolti con arte canonica per comando del Re. Il Ricercare è il termine arcaico per designare la Fuga ovvero un’opera contrappuntisticamente complessa; l’arte “canonica” è quella, proveniente dal Quattrocento fiammingo, dedita all’imitazione delle voci tra loro – che non sempre è letterale, al contrario – e agl’intrecci che dal loro moto scaturiscono. L’opera contiene una serie di Canoni, una monumentale Fuga a sei voci e una Sonata a tre, la più bella che mai sia stata scritta. È musica della più sofisticata dottrina ma anche, come solo a Bach poteva riuscire, della più celestiale bellezza. Venne pubblicata a stampa; un esemplare, a noi giunto, era stato acquistato dal grande teorico bolognese del contrappunto, padre Giovan Battista Martini.
Opfer significa anche offerta; ben vero, l’opera venne da Bach al Re offerta. Ma la traduzione Offerta musicale, che troviamo in italiano e in altre lingue (Offrande, Offering), non è la più appropriata. Il vocabolo ha un significato religioso, e va volto piuttosto come sacrificium. Un sacrificio rivolto a Federico, il quale, probabilmente ateo come il suo amico Voltaire, era tuttavia la suprema autorità religiosa del suo Regno. E come sarebbe bello immaginare l’Opfer come un sacrificio da Bach rivolto alla musica e a se stesso! Certo, è un rito. Purtroppo sappiamo ch’egli non potette ascoltarla intera; se si eccettuano la Fuga e la Sonata, gli altri pezzi dovevano esser intesi solo quale insegnamento teorico; che fossero anche divina musica da suonare credo non si sia pensato prima del Novecento.
Il grande musicologo tedesco (e mio carissimo amico) Hans Eberhard Dentler ha pubblicato, e ve n’è la traduzione italiana, sia un libro sull’Arte della Fuga, sia un libro sull’Opfer. (Quando ne scrissi sul “Corriere della Sera” il giornalista addetto a impaginare gli articoli mi diceva con la sua abituale cortesia: “Ma che cazzo hai scritto? Non si capisce un cazzo!”). Ora vi torna con una splendida pubblicazione (stampa d’impareggiabile nitidezza): Johann Sebastian Bach Musicalisches Opfer dell’editore Schott di Magonza. Possiamo leggere una paginetta introduttiva di Alberto Basso e uno studio riassuntivo del Dentler; indi ci troviamo di fronte alla partitura del capolavoro. Guardando questa stampa, e senza farla neanche suonare, viene in mente la conclusione dell’epitaffio di Poussin presso la tomba in San Lorenzo in Lucina: mirum est in tabulis vivit et eloquitur, ossia: mirabile, nei dipinti vive e parla.
*Da Libero Quotidiano del 7.9.2020