L’imminente referendum sul taglio dei parlamentari sta generando molti dubbi, poiché dopo anni di anti politica e urla belluine contro la casta, ci si sta accorgendo che l’attuale Parlamento garantisce la rappresentanza omogenea dei territori presso le istituzioni romane. Se dunque al referendum vincesse il “si”, la rappresentanza territoriale verrebbe irrimediabilmente compromessa, portando ad avere zone sotto o per nulla rappresentante.
I partiti automaticamente cercherebbero i consensi nelle aree densamente popolate dei collegi, lasciando da parte le aree meno allettanti da un punto di vista elettorale. Il nuovo assetto porterebbe infatti ad avere un deputato ogni 150 mila abitanti e, stante la legge elettorale attuale, si rischiano collegi uninominali da 400 mila abitanti per la Camera e da 800 mila per il Senato. Contando che in Italia la maggior parte delle Province ha meno di 400 mila abitanti, va da sé che i collegi accorperebbero territori non omogenei e si perderebbero le particolarità.
Ogni regione verrà penalizzata da questi tagli, come spiega il sito del Comitato per il no. La Sicilia ad esempio si ritroverebbe un taglio di quasi il 38% della rappresentanza, in buona compagnia con la Lombardia che prederà il 37%. La più penalizzata sarà la Basilicata, che perderà il 46% dei rappresentanti.
Siamo insomma di fronte all’ennesima penalizzazione dei territori, che lascia perfettamente intatte le istituzioni romane, ministeri in primis, facendo risparmiare meno di 60 milioni di euro all’anno, a fronte di promesse iniziali con qualche zero in più.
D’altronde veniamo da anni in cui gli enti locali sono già stati grassati in ogni modo, espropriati di risorse e strumenti di governo. Basti pensare al pasticcio delle Province, che esistono ancora senza risorse e, soprattutto, senza assemblee elettive degne di questo nome. I consiglieri sono scelti in elezioni di secondo livello che coinvolgono solo i consiglieri comunali, i quali sono però stati diminuiti sensibilmente di numero negli ultimi anni, nonostante nella maggior parte dei casi i loro gettoni si aggirassero attorno alla cifra (da capogiro) di 20 euro lordi. Per la cronaca anche i consiglieri regionali sono stati tagliati, per non farsi mancare niente.
Qualora il SI prevalesse al referendum, dunque, sarebbe semplicemente il coronamento di un processo che vede, nei fatti, la messa in discussione della democrazie rappresentativa, perché viene messo in discussione il concetto stesso di rappresentanza, considerata un inutile orpello della burocrazia di palazzo.
non condivido il grido d’allarme sulle sorti della “democrazia rappresentativa” di cui all’articolo, non c’è poi una grande differenza nel rappresentare 100 mila o 150 mila elettori, anzi più si allarga la platea elettorale e meno occasioni di corruzione si presentano, meno assalti alla diligenza (si possono accontentare 10 persone, un po’ meno 100, per niente 1000), se mai bisogna chiamare le cose col proprio nome: non di una riforma costituzionale si tratta, ma semplicemente di una piccola revisione. Io avrei puramente e semplicemente abolito il Senato, una sola camera basta e avanza (leggi più spedite, maggiore controllo popolare, meno giochini), ma si può pretendere dai 5 stalle lungimiranza, competenza giuridica, coraggio? evidentemente no. Allora accontentiamoci di toglierci dalle scatole un po’ di poltrone, votiamo SI, malgrado tutto, e diamo un segnale alla casta politica!
Sempre contro l’idiotismo grillino. NO!!!!
Carlo Calenda è l’unico leader capace, responsabile, moderno, moderato (e con le ‘giuste’ entrature nazionali ed internazionali) per governare l’Italia. Cfr. Brunella Bolloli per “Libero Quotidiano”.
Il Senato ha un senso se scelto in modo differente (come nel vecchio Statuto Albertino, o simile a quello USA ecc.), altrimenti finisce con l’essere sostanzialmente un doppione della camera dei deputati. Ma la riforma istituzionale (magari col semipresidenzialismo alla francese) deve essere complessiva, non bassamente elettoralistica e demagogica come questa. No!!!!