“La politica è arte del compromesso”. Contro questo assioma si era scagliato sin dalla sua nascita il M5S. Venerdì 14 agosto tutto ciò è venuto meno, almeno per quanto concerne due capisaldi del Movimento: 1) la modifica del “mandato zero”, che esclude dal limite dei due mandati gli amministratori locali; 2) la possibilità per il Movimento di fare alleanze con i partiti politici per le elezioni amministrative. Gli iscritti al Movimento (48.975) hanno dunque approvato le proposte di modifica di quello che può essere considerato il DNA grillino. Tutto ciò con l’avallo dell’80% dei favorevoli (39.235 voti) per quanto riguarda la prima proposta; del 60% (29.196 voti) per la seconda.
La necessità di rifondare la tattica pentastellata risponde ad una strategia su cui il M5S è al lavoro da tempo. Importanti sono le parole del Ministro Luigi Di Maio, il quale commentando gli esiti della votazione, ha augurato “un grande in bocca al lupo a Virginia Raggi per la sua ricandidatura e buona fortuna a tutti i candidati sindaco che saranno a capo di coalizioni politiche nei Comuni dove correremo…”. Gli auguri a Virginia Raggi non sono casuali. La sindaca grillina si trova così ad inaugurare il cambio di linea politica del Movimento. Ella non possiede grandi doti di amministratore pubblico, tuttavia ha dalla sua l’incapacità da parte del centrodestra e ancor più del centrosinistra di venire a capo della partita capitolina. La corsa al Campidoglio diviene dunque un esperimento, di cui la Raggi si trova ad essere inconsapevolmente protagonista e cavia. “Da oggi inizia una nuova era per il Movimento 5 Stelle nella partecipazione alle elezioni amministrative” ribadisce l’ex capo politico grillino. Nuova era che passa da due verbi decisivi: “Includere e aggregare” che suonano come il “piano b” del M5S. Al fine di sopravvivere nelle amministrazioni locali, infatti, vi è la possibilità di giocare di sponda con il PD. Poco importa che il segretario Dem Nicola Zingaretti abbia bocciato Virginia Raggi, resta il fatto che per lui il risultato grillino “sia un fatto positivo. Siamo un’alleanza tra forze diverse, che rimangono diverse. Ma per governare bisogna essere alleati, non si può essere avversari”.
Il placet unanime alla nuova scelta politica, da parte dei cosiddetti “ortodossi” (Roberto Fico) così come dei “governativi” (Vito Crimi), non fa che confermare l’avvenuta normalizzazione di un “anti-partito” che ha ceduto oramai alle logiche della politica. Il peccato originale di trasformismo politico, avvenuto la scorsa estate, ha intaccato psicologicamente la stessa autopercezione del Movimento che parla il linguaggio da prima repubblica, senza averne lo stile. Era l’ottobre del 2019 quando Di Maio, all’indomani delle elezioni regionali umbre, scriveva: “Tutta la teoria per cui si diceva che se ci fossimo alleati con un’altra forza politica saremmo stati un’alternativa non ha funzionato”. Poco meno di un anno dopo, lo stesso scrive su Facebook: “Aprirci anche ai partiti tradizionali non è peccato, l’abbiamo fatto a livello nazionale”. “Vogliamo influenzare positivamente anche le altre forze politiche”. Se è vero che la responsabilità di una forza politica passa dalla disponibilità a governare e a trovare soluzioni alle necessità che le esigenze del momento impongono, è altrettanto vero che vi è il rischio che la “governabilità” arrivi a suonare alle orecchie degli elettori come un inutile paravento dietro il quale vivacchiare.
Pur di mantenere la poltrona fanno alleanze con chiunque, altro che partito antisistema. In questo sono veramente la nuova DC…