Charles LeClerc, alla fine, ha sbottato. Giustamente. Il pilota della Ferrari ha pubblicato sui social un appello a finirla qui con le polemiche. Lui, è vero, non s’è inginocchiato per celebrare Black Lives Matter. Ma non averlo fatto non può giustificare nessuno a incasellarlo tra i razzisti.
Il tempo presente, quello dei social dove tutto (specialmente l’indignazione) è in presa diretta, è davvero misero. Si straparla di libertà quando, palesemente, sembra mancarne una: quella di disinteressarsi ai temi, quella – per intenderci – evocata a gran voce da Carmelo Bene quando tuonò “Me ne fotto del Rwanda”, lasciando sgomente generazioni di anime buone e pure.
Sì, perché se i social sono una piazza, lì ci si presenta così come si vuole apparire. Con il vestito della festa, meglio ancora: con il twitt per fare bella figura. La moda impera ma Leopardi ce lo ha insegnato che ella è sorella della morte. In questo caso, della libertà di potersi occupare di ciò che si ritiene divertente, utile a prescindere da ciò che, appunto, la moda impone di indossare nella grande piazza virtuale dei buoni sentimenti.
É talmente incancrenita questa situazione che chi scrive dovrà per forza dar prove del suo non essere razzista. Dovrà ricordarlo al lettore, dirgli che non annovera parenti tra il Ku Klux Klan e che, onestamente, faceva il tifo per i Blues Brothers contro gli odiosi e ridicoli nazisti dell’Illinois. Dovrà ricordargli di essere fin troppo a conoscenza del fatto che, nella scala delle razze elette secondo il razzismo di impostazione angloamericana, noialtri latini e mediterranei veniamo in fondo alla graduatoria e che gli italiani, per giunta papisti e cattolici, sono o macchiette o mafiosi.
La china è questa, ed è tristissima: un ragazzo che vuole pensare solo a raggiungere il sogno di diventare campione del mondo deve dare dimostrazione all’universo mondo di essere in regola con i desiderata e le liturgie della religione laica che, sempre di più, pretende attestati di adesione. Come ci ha insegnato la grande Claire Bretécher, il progressismo è diventata una religione. Piena di zelanti fedeli e sacerdoti infervorati. Che ha sostituito Cristo con una sua controfigura hippy ma con lo stesso, identico, grado di bigottismo.
Io dico che era giusto protestare per la morte di Floyd, perché è stato vittima di un abuso. Quello che è avvenuto dopo è stato sbagliato e la morte di Floyd è stata strumentalizzata per portare acqua al mulino dei democratici e quanti stanno protestando non si rendono conto di essere gli utili idioti di Soros e dei democratici. Sono contrario anche io all’autorazzismo dei bianchi ma nello stesso tempo sono contro ogni tipo di suprematismo bianco, nero o rosso che sia. Sugli americani che hanno votato Trump preferisco non pronunciarmi perché sarebbe come sparare sulla Croce Rossa.