Quando Gennaro Malgieri mi ha inviato per posta elettronica la copertina del suo ultimo libro, Sotto il segno di Pipistrello. Dentro la Pandemia. Un diario (Fergen), non nascondo di aver provato per un attimo una sensazione di disappunto. Il motivo è semplice: avevo appena ritirato dall’editore le copie fresche di stampa del mio libro, intitolato in maniera molto simile: L’anno del pipistrello. Diario di un confinato per pandemia (Mauro Pagliai – Polistampa). Nulla di più legittimo del sospetto che gli avessi rubato, se non l’idea, quanto meno il sottotitolo. Per questo mi sono affrettato a inviargli, a stretto giro di posta (naturalmente elettronica), una foto della mia copertina, per fargli capire che l’idea di rendere pubblico il nostro diario pandemico era sorta in noi quasi contemporaneamente. Al disappunto iniziale è subentrato così un sottile compiacimento. Fa piacere scoprire che con una persona che si è conosciuta quarantasette anni fa, con cui si sono a lungo intessuti rapporti politici e professionali, ma che ormai da un decennio si incontra solo per qualche rara presentazione e si segue più che altro attraverso le sue pubblicazioni, persiste un comune modo di sentire e anche di reagire alle tragedie epocali di questo secolo. Non credo che la vita forgi l’uomo; il più delle volte si limita a consumarlo. Non credo neppure che la vita ci formi: più spesso ci deforma, o ci sforma. Gennaro è una delle non molte persone della mia generazione che è riuscita a rimanere se stessa.
Recensire il libro di un amico e coetaneo, che per giunta ha avuto la tua stessa idea, ha toccato temi analoghi al tuo, ha scelto un titolo simile è sempre motivo d’imbarazzo. Incombe il rischio che il lettore avverta il rischio della combine, o peggio di una recensione di scambio, genere letterario che prima o poi una classe politica incurante del ridicolo finirà per criminalizzare. Comunque questa non vuol essere una recensione, o peggio una correcensione. Vuol essere solo un tentativo di cogliere le analogie (molte) e le distonie (rare) fra i due libri.
Come il mio, il libro di Gennaro è un diario. Non so se egli abbia come me l’abitudine di tenere un giornale di bordo e solo in questa occasione abbia deciso, vista la straordinarietà del momento, di renderlo pubblico, un po’ come avviene per la memorialistica bellica (e quante ridondanti similitudini fra la pandemia e la guerra si sono sprecate in questi mesi: altro che retorica fascista sulla battaglia del grano o sulla guerra alle mosche!). Senza dubbio, il suo è un diario a 360 gradi, in cui notazioni di vita quotidiana si mescolano a citazioni letterarie e non, da Montherlant a Lorenz, dalla Yourcenar a Jünger (al termine del volume c’è persino una piccola bibliografia), a rimembranze quasi proustiane, a intenerimenti umanitari, a considerazioni politiche e metapolitiche. Rispetto al mio, il suo è un diario più colto, e anche più simpatetico con le sofferenze dell’umanità. Nelle mie pagine sulla bibliografia prevale l’ironia, e a volte l’autoironia. Siamo coetanei, ma non corregionali, e io sono pur sempre un concittadino ideale di Machiavelli e di Prezzolini, poco incline a commuoversi sulle difficoltà dei clochard che di giorno elemosinano per le strade e la notte lasciano bottiglie di birra fracassate ai giardini pubblici. Mi preoccupa di più che per raccogliere i pomodori, in una nazione in cui la disoccupazione soprattutto giovanile sfiora livelli da record, si debba ricorrere a manodopera straniera, perché i percettori di redditi di cittadinanza o di emergenza non si abbassano a coltivare la terra. Ma, sui grandi temi politici, geopolitici, culturali, persiste fra me e lui un idem sentire.
Il pericolo della Cina
Mi colpisce, in particolare, la comune consapevolezza del “pericolo giallo”, dell’assurdo per cui la Cina, responsabile dell’origine della pandemia e soprattutto di non averne comunicato in tempo la gravità, è accolta come una benefattrice per un carico di mascherine e poco altro dal ministro Di Maio “con la gioia di un bambino a cui sono stati regalati dei doni”. La strategia con cui Pechino sta esercitando un ruolo sempre più egemone nelle grandi organizzazioni internazionali come l’Oms, che ne ha sottaciuto le responsabilità nella genesi dell’epidemia, e in genere nel continente africano, è denunciata da Malgieri in pagine che da sole basterebbero a giustificare la lettura del libro. E un sottile idem sentire è confermato dall’atteggiamento nei confronti dell’Europa, l’Europa nordica e protestante che intende punire i paesi del Sud, cattolici od ortodossi, e dalla delusione per una destra italiana incapace di affrontare “i grandi temi planetari”: “la fiamma di Salvini non scalda i cuori, quella della Meloni è un’icona muta” (13 febbraio 2020: oggi l’“icona” ha accresciuto i consensi, ma la riluttanza ad affrontare le grandi tematiche epocali e geopolitiche sembra permanere).
Il lockdown è stato legittimo?
Abituato, come Xavier de Maistre, a viaggiare intorno alla sua camera, Gennaro si consola con ricchezza di letture e intensità di ricordi del confinamento imposto, di cui ammette l’esigenza pur dubitando, come insigni studiosi quali Sabino Cassese, della sua legalità. Il lockdown non è per lui una sofferenza fisica. Soffre la lontananza della nativa Solopaca, ma anche da Parigi, dove possiede un appartamento al Marais, ma in fondo nella sua casa di Roma si trova bene, fra la poltrona, la terrazza e il tablet su cui scrive. La sua sofferenza è di indole morale e discende dalla fragilità dell’Occidente e l’impotenza di quel Vecchio Continente le cui mitologie in gioventù ci avevano scaldato il cuore. C’è un passaggio, datato 15 marzo, che più di qualsiasi altro ne tradisce lo stato d’animo: “Leggo Sant’Alfonso Maria de’ Liguori e Spengler. L’anima vive, l’Occidente tramonta”. Qui il mistico va a braccetto sul politico, ma il primo prevale forse sul secondo. C’è in questo umanista dalle molte e raffinate letture una fede sorgiva, non “adulta”, da “paysan de la Garonne”.
Pagine di fede
Una tematica che nel diario di Malgieri ricorre più di frequente e più intensamente che nel mio è di carattere religioso. C’è in Gennaro una fede innata, commossa e percossa anche dalla delusione per il pontificato di Francesco I, cui “manca la grandezza dei Papi di fronte ai grandi e tragici eventi della storia”. Illuminanti, a questo proposito, sono le annotazioni dell’11 febbraio: “Ricordo il Trattato del Laterano, i Patti lateranensi, la Conciliazione tra il Vaticano e lo Stato Italiano. Ricordo grandi figure di un evento di novantuno anni fa: Benito Mussolini, Pio XI, Alfredo Rocco, il cardinale Pietro Gasparri. Ricordo l’Italia cattolica e fascista. Ricordo una comunità di uomini e di donne che credevano nell’avvenire e nella conquista di un destino. Nessuno dice o scrive una parola. Abbiamo rimosso tutto. Anche i cattolici. Soprattutto i cattolici.”
Nostalgia? Senz’altro. Ma una nostalgia di una diversa stagione non solo della storia, ma anche della propria vita. Perché la prima formazione religiosa di Gennaro, come la mia, è stata segnata da un’educazione cattolica non ancora offuscata dal “fumo di Satana” post-conciliare, in cui si pregava e si pensava ancora in latino, e si intonavano antichi inni come il “Tantum ergo sacramentum” e i sacerdoti si preoccupavano di traghettare le anime verso il Paradiso e non i migranti verso le coste italiche. E, senza togliere nulla ai passaggi di carattere politico o di maggior spessore culturale, le pagine più belle di questo diario sono quelle in cui a prevalere è l’afflato lirico (Gennaro è anche poeta), come in questo sfogo-confessione datato 8 aprile: “Vorrei abbracciare la primavera. Vorrei stendermi sul prato del mio giardino a Solopaca con le spalle appoggiate all’amata betulla. Vorrei girare cento volte tra le piante di frutta e d’ornamento che circondano la mia casa. Vorrei restare per ore sulla terrazza abbracciando con lo sguardo la Valle Telesina (…). Vorrei individuare i tratturi che non ci sono più, dove giocavo da bambino, d’inverno e d’estate, con i miei amici nei pomeriggi gioiosi che sembravano non finire mai. Vorrei udire sotto la limonaia la voce di mia madre che mi domanda se ho già fatto la nuotata in piscina. Vorrei ricongiungermi con tutti quelli che affollavano la tavola sul terrazzo dall’inizio della primavera alla fine dell’estate… E un ultimo sguardo lo vorrei dare alla cappellina che intravedo tra i cipressi dove riposano papà, mamma e i nonni.”
Sia Gennaro che io siamo ormai lontani dal tempo dei pomeriggi gioiosi che sembrano non finire mai. Sappiamo che la vita ha un termine ed eventi come la pandemia ce lo ricordano crudelmente. Ma a volte basta il ricordo di un giorno di sole a farci sperare ancora nella vita, nonostante tutto e tutti.
*Sotto il segno di Pipistrello. Dentro la Pandemia. Un diario (Fergen) di Gennaro Malgieri