E’ stato uno spettacolo intenso “L’isola della Luce” di Nicola Piovani ieri sera al Teatro greco di Siracusa. Intenso per brevità, intenso per l’amalgama tra musica e parole, intenso per gli spettatori che guardavano da una prospettiva rovesciata il miracolo del fare teatro. Intenso per la luce rossa che disegnava sulle gradinate del teatro la linea di un orizzonte diversamente naturale, quello che separa le pietre grigie dal cielo blu sopra Siracusa. Città della Luce e del Teatro, Siracusa non poteva cominciare se non con un rito luminoso, apotropaico e propiziatorio: trasformare il buio in luce. Trasformare, rigenerare, rinascere, cambiare forma per un dio è gioco, per gli uomini una sfida. Per Nicola Piovani è un’opera totale. Non può definirsi altrimenti una partitura in cui strumenti, voci e luce bruciano in un’unica stringente epifania.
Venti musicisti (gli archi sono del Conservatorio Vincenzo Bellini di Catania) diretti da un austero Nicola Piovani occupano lo spazio architettonico dell’antica orchestra. Il coro di dodici elementi (soprani e baritoni anch’essi del Conservatorio Bellini) appare da destra sulla parte mediana della cavea e si siede al centro. Da sinistra arriva Piovani seguito da Tosca, Massimo Popolizio e il soprano Maria Rita Combattelli. Raggiungono l’orchestra e comincia il rito. Lo spettatore seduto sulla scena – 480 posti a sedere per il rispetto delle norme di distanziamento- è la scommessa vera di questa stagione 2020 “Per voci sole”. Se c’è stata pura emozione ieri sera, questa ha avuto dimora dispettosa sulla scena, quando il pubblico, con le luci puntate sulla cavea, si è sentito addosso la maestosità del teatro e si è reso conto che lo sguardo dell’attore sulla scena arriva fin lassù nelle ultime gradinate, quando la voce delle cantanti e di Popolizio ha vestito le pietre, quando nella rincorsa tra violini e pianoforte alle rockeggianti chitarra e batteria si stava consumando lo strappo sonoro del tempo dal mito al futuro.
“L’isola della Luce” è un’opera complessa e sofisticata poggiata su una rete di metafore, svelabili per lo spettatore solo con una preventiva lettura del libretto di Vincenzo Cerami, autore di spesso criptica e compiaciuta scrittura. Il libretto si apre e si chiude con l’epitaffio di Sicilo, il più antico testo musicale dell’antichità, aggiunto qui rispetto alla prima edizione dell’opera. L’apertura è affidata a Tosca incerta talvolta sul testo greco, mentre il coro replica l’epitaffio in chiusura: in mezzo testi di Cerami (le doglie di Latona, Hermes e Apollo, Blackout), di George Byron (la splendida Darkness, che Tosca esegue in maniera magistrale, mostrandosi più a suo agio su vocalità contemporanee), di Giorgos Seferis, di Odysseas Elytis, di Mesomede di Creta, di Omero, di Albert Einstein, da Ecclesiaste.
Profonda la lettura di Massimo Popolizio: talvolta sdrammatizza, talvolta accenna il canto quasi a porsi, da animale da palcoscenico qual è, in sequenza con le voci di Tosca e Combattelli con l’effetto di ampliare le suggestioni canore e supplire alla mancanza della regia, che avrebbe reso più fluida la messinscena.
Virtuosa e potente la voce della giovane soprano Maria Rita Combattelli, che ha fatto da contrappunto alle parti cantate da Tosca. Sarebbe stato piacevole ascoltarla di più, soprattutto dopo la magnifica performance di “Balbettii e frammenti dell’inno a Omero”. Ma è la musica a trionfare. Piovani crea una partitura di impareggiabile bellezza, nonostante qualche autocitazione. Sonorità classiche e moderne creano una sintesi rara, giocata in particolare sul dialogo tra la chitarra e il violino, con un pianoforte di delicata presenza.
E’ “Darkness” il centro dell’opera. Centro per il fraseggio in cui coloriture e cesure creano un ritmo variato che si coniuga con le tre voci. Centro per il significato dell’opera. Presentando per Siracusa “L’isola della Luce”, Piovani ha messo l’accento sulla necessità del legame tra Apollo, Delo e Ortigia. Ortigia è l’antico nome di Delos, l’isolotto greco senza fondamenta in cui Latona potè partorire i suoi gemelli adulterini Artemide e Apollo e Ortigia è il nome dell’isola su cui nasce Siracusa. Isole della Luce sono esse stesse manifestazione del dio che è protettore delle arti, della musica, della poesia, delle arti mediche, del Sole. Nessun altro dio poteva essere invocato dopo il blackout di questi mesi. Cerami mette in versi quanto aveva scritto per il blackout del 2003 e ne fa metafora del lockdown, della paura del contagio, del desiderio di rivincita “La folla smise di sognare, prese a sperare il mattino.” E racconta il mito della nascita della musica, del guscio di tartaruga che Apollo “il feto astrale” si fece restituire da Hermes “La cetra fu sua e così le parole che prima, camminando camminando, erano solo filosofia, con la musica divennero poesia”. La musica che dissipa le tenebre, le poesia di Apollo che fa luce. C’è un ordine perfetto che fa della massa luce, ed è perfetto perché risponde a una qualche divinità che è l’intelligenza. La fisica di Einstein che- afferma Piovani- presiede all’ispirazione di “L’isola della Luce”, sancisce la riconciliazione tra il buio che gli dei vogliono per gli uomini e la luce che è effusione dall’incorporeo al corporeo. L’intuizione dotta nel portare il rito nel teatro, il luogo della visione, dove la maschera (e la mascherina) non cela ma disvela, illumina. Un rito perfetto per la rinascita del Teatro di Siracusa che ieri sera era di nuovo pieno con gli spettatori compreso un buon parterre delle cerimonie (erano presenti oltre ai rappresentanti cittadini e dell’Istituto del Dramma Antico, i ministri Lucia Azzolina e Giuseppe Provenzano, il presidente della Regione Sicilia Nello Musumeci, i senatori Carlo Calenda e Pietro Grasso, l’onorevole Stefania Prestigiacomo) e che è risuonato degli applausi del pubblico. Non sono mancate nemmeno le dediche, oggi quanto mai urgenti: alle vittime siracusane del Covid19, per primo Calogero Rizzuto, allora direttore del Parco Archeologico, e a Ennio Morricone.
Una sola nota, a margine ma non troppo. La luce: per essere una festa della luce, i giochi di luce seppur suggestivi con le tonalità dal bianco al rosso fuoco, che hanno ripreso la gamma cromatica della fiamma, sono stati timidi. Alla luce non si addice la timidezza, come non si addice alla musica e alla poesia, che timide non lo sono state affatto.