Sono passati tre decenni da quel fatidico 8 aprile 1990, quando per la prima volta Twin Peaks invase le case dei telespettatori di mezzo mondo. Le due stagioni della serie riempirono il piccolo schermo fino al 10 giugno 1991 (seguite, l’anno dopo, dal prequel Fuoco cammina con me e nel 2017 da una trascurabilissima terza stagione), immortalando nell’Inconscio Collettivo di una civiltà tutta una serie di luoghi, atmosfere e personaggi.
Il più noto è certamente l’agente Dale Cooper (interpretato da Kyle MacLachlan), enigmatico protagonista nonché alter ego di Lynch, come questi ha dichiarato in più occasioni. Dotato di telepatia, per risolvere i suoi casi si affida a sogni premonitori, utilizzando metodi di divinazione tibetana e citando addirittura il Bardo Todol, il Libro tibetano dei morti, per accompagnare nell’aldilà Leland Palmer, padre di Laura. L’origine di questa fascinazione è stata chiarita da Lynch stesso, in una lunga intervista rilasciata a Chris Rodley e pubblicata in Italia da il Saggiatore, con il titolo Io vedo me stesso:
«Ero andato a incontrare il Dalai Lama e mi ero infiammato per le condizioni del popolo tibetano»; impegno che «finì per aggiungere un tassello al personaggio di Cooper».
Cooper svolge le proprie ricerche assieme al “razionale” sceriffo Truman (Michael Ontkean), dai metodi più “ortodossi”. Dal combinato disposto di ragione e immaginazione deriva la carica evocativa di Twin Peaks, che fece da apripista a un nuovo modo d’intendere la cinematografia seriale. Una trama unica, non episodi autoconclusivi, e un registro molto alto… Una scelta coraggiosa e controcorrente, se è vero che nel 1990 non era molto consigliabile per un regista affermato affrontare le serie tv, in genere considerate popolari e d’infimo livello. Eppure, contro ogni previsione, TP conobbe un inaudito successo planetario. Al di là dell’audience, basta ricordare un piccolo aneddoto, raccontato da Brad Dukes nel suo Reflections: An Oral History of Twin Peaks (Short/Tall Press, 2014). Tra i fanatici della serie c’era anche… Michail Gorbačëv, che pare avesse tentato – tramite George Bush senior – di contattare Lynch per sapere in anticipo l’identità dell’assassino di Laura Palmer.
E se dietro alla fama di TP si celasse qualcos’altro? Se il suo spopolare fosse legato non tanto a fattori “tecnici” ma all’attivazione di una serie di archetipi dell’Inconscio Collettivo?
Ne ha parlato Roberto Manzocco nel suo Twin Peaks e la filosofia (Mimesis, 2010), il cui sottotitolo è emblematico: La Loggia Nera, la Garmonbonzia e altri enigmi metafisici. Secondo lo studioso, le trame e sottotrame della serie nasconderebbero – ma nemmeno troppo – un buon numero di elementi esoterici e metafisici. Gli fa eco Paolo Riberi, che in Pillola rossa o Loggia Nera? (Lindau, 2017) ha parlato di TP come di «una vera e propria enciclopedia dell’esoterismo, dalla Qabbalah alla teurgia, da Aleister Crowley alle religioni orientali, dallo sciamanesimo all’alchimia».
Forzature? Nient’affatto. Tanto per cominciare, basta dare un’occhiata agli interessi dei coautori, David Lynch e Mark Frost, di cui d’altronde i due non fecero mai mistero… Lynch pratica la Meditazione Trascendentale, creata e importata in Occidente da Maharishi Mahesh Yogi (il guru dei Beatles, per capirci). Una pratica null’affatto marginale, a cui il regista ha sempre assegnato una centralità assoluta nella sua produzione: essa «ha svolto un ruolo fondamentale per il mio lavoro nell’ambito del cinema e della pittura e di ogni sfera della mia vita; è stato un modo per immergermi in acque sempre più profonde». Si tratta, insomma, di una vera e propria traduzione “pop” di principi di ordine spirituale.
Ma non bisogna nemmeno dimenticare Frost: studioso di teosofia, è autore di due romanzi piuttosto bizzarri. Il protagonista del suo The List of Seven (1993) è nientemeno che Arthur Conan Doyle, che incontra personaggi come Bram Stoker ed Helena Petrovna Blavatsky, la discussa fondatrice del movimento teosofico. I tre s’imbattono in un complotto occulto volto a influenzare magicamente personalità politiche, al fine di operare stravolgimenti su scala mondiale. È sempre il detective di Baker Street il protagonista del secondo romanzo di Frost, The Six Messiahs (1996), solo che stavolta si reca in America alla ricerca di una misteriosa “Torre Nera”, i cui sinistri inquilini sognano di mettere a morte Dio (analogamente a quanto accade, sempre per rimanere nella cultura popolare, in Rosemary’s Baby di Polański e nel romanzo fantastico di James Blish Pasqua nera, entrambi usciti nel 1968), resuscitando la “Bestia” che s’impadronirà del mondo.
Ma non è tutto. Come rilevato da quel meraviglioso mondo che è il fandom lynchiano, tra le letture preferite di Frost figura anche il romanzo di Talbot Mundy The Nine Unknown, uscito a puntate su «Adventure» nel 1923. Si parla di una misteriosa Società, costituita nel III secolo a. C. dall’imperatore Ashoka, formata da nove individui, ognuno dei quali custodisce un volume contenente i segreti dell’umanità in un determinato campo: civiltà antiche, catastrofi naturali, alchimia, microbiologia, cosmologia… Una società che pare aver fatto più volte irruzione nel mondo cosiddetto “reale”. I nove si rivelarono, tanto per fare qualche esempio, al chimico André Helbronner, allo scrittore Louis Jacoillot e a Gerberto di Aurillac, passato alla storia come Papa Silvestro II, che grazie ai loro insegnamenti avrebbe costruito il celebre automa in grado di predire il futuro. Ma fecero visita anche ai fratelli Strugackij e ad Anton LaVey. Che uno dei loro emissari abbia suggerito a Mark Frost la trama di Twin Peaks?
A dominare, comunque e in ogni caso, è sempre l’idea di una realtà in cui influssi sottili orientano la storia. È quanto accade nella cittadina di Twin Peaks, con continue interferenze tra il piano fisico e quello sovrannaturale. Esseri immateriali si spostano da un livello della realtà all’altro, insinuandosi nella mente degli ignari abitanti e costringendoli alle peggiori nefandezze, spesso utilizzando come medium elettricità o animali («I gufi non sono quel che sembrano…»). Sono gerarchie di spiriti, che Manzocco ricollega agli Arconti dello gnosticismo. Si servono dell’umanità come se fossero in un supermercato: in base ai loro capricci, scelgono gli esseri di cui infestare le menti, come i parassiti della mente dell’omonimo romanzo di Colin Wilson (Arkham House, 1967).
Si annidano nell’oscurità delle foreste, ma possono essere visti da personaggi con una certa predisposizione, quel “terzo occhio” o “occhio interiore” di cui riferiscono molte tradizioni; è il caso della tanto discussa “Donna Ceppo”, interpretata da Catherine E. Coulson (scomparsa prima della messa in onda della terza stagione), che parla per conto di un pezzo di legno che porta sempre con sé. Lynch stesso ha rivelato trattarsi di una medium, e quel pezzo di legno altro non sarebbe che il suo “spirito guida”.
Nell’avvicendarsi delle puntate, ad affacciarsi è sempre la necessità del Risveglio interiore in una realtà artefatta, che connota anche il successo di film epocali tutti usciti non casualmente alla fine del secolo scorso, da The Truman Show (1998) a Matrix (1999), da Donnie Darko (2001) a ExistenZ (1999) e Fight Club (1999). Tutte tematiche che nei due decenni successivi hanno invaso anche il mondo delle serie tv, da Westworld (2016-2020) a molti episodi di Black Mirror (lanciata nel 2011), da Dark (2017-2019) a Stranger Things (2016-2019). Una sequela di serie archetipiche, insomma. Che, anche in questo caso, risieda qui il segreto della loro diffusione tra le vecchie e nuove generazioni?
La sinistra cittadina è in balia di due luoghi onirici, la Loggia Bianca e la Loggia Nera (quest’ultima inserita nella narrazione da Frost, che s’ispirò agli studi dell’esoterista britannica Dion Fortune), abitata da uno spettrale nano che danza e parla al contrario e dai doppelgänger, i doppi dei protagonisti. Sono luoghi raggiungibili tramite varchi spazio-temporali nei boschi intorno a Twin Peaks, da cui fuoriescono oggetti (come il terribile anello di Fuoco cammina con me), oppure animali e spiriti. Ma Loggia Bianca e Loggia Nera sono precedute da una Stanza Rossa: per chi abbia dimestichezza con l’Alchimia, inutile segnalare come questi siano i colori che simboleggiano i tre stadi dell’Arte Regia, nigredo, albedo e rubedo… Nella prima fase – l’Opera al Nero, la Notte dell’Anima – avviene la dissoluzione dell’individualità. Ebbene, nella Loggia Nera ogni personaggio incontra la propria parte oscura, la propria ombra, direbbe Jung. Con la quale occorre riconciliarsi. Parola di David Lynch: «Raggiungere lo spirito divino attraverso la conoscenza della combinazione degli opposti. È questo il nostro viaggio». A monito di queste parole, nella serie in effetti tutto è doppio: ogni personaggio ha un proprio gemello oscuro, ogni luogo ha una dimensione ignota, passata sottotraccia.
Affrontarla equivale a sottoporsi a un’autentica prova iniziatica, entrando in contatto con entità che mettono alla prova la nostra psiche, una realtà ultraterrena che si diverte ad azzerare la mente dei poveri sciocchi che si arrischiano alle sue soglie. Una prova il cui esito non è affatto scontato, anzi… «Fai attenzione: se entri nella Loggia Nera e il tuo cuore non è saldo, la tua anima sarà incenerita». L’agente Hawk, interpretato da Michael Horse, forse non lo sa, ma le sue parole riecheggiano il Johann Valentin Andreae delle Nozze chimiche di Christian Rosenkreutz: per chi non è preparato ad affrontare l’Opus ermetico le nozze saranno letali. È una vera e propria immersione nel caos, necessaria alla risalita: come ha scritto Riberi, la Loggia Nera è un luogo in cui le regole naturali sono sospese – in primis, lo spazio e il tempo –, «il cuore pulsante del Caos, in cui vacillano tutte le leggi che regolano il cosmo».
Nelle due Logge – che alla fine sembrano coincidere – hanno origine gli assassini su cui indaga l’agente Cooper, ma anche gli indizi che porteranno alla soluzione dei casi. Sempre, ovviamente, attraverso profezie e oscuri vaticini. Profezie che hanno fatto discutere parecchio, soprattutto tra i fan della serie, e che la rendono un unicum nel suo genere, costringendo i ricercatori a riproporsi la domanda da cui sono partite queste nostre riflessioni: può esserci un legame tra queste componenti simboliche e il successo di questa serie di culto, tra gli emblemi della cultura pop degli anni Novanta?
Lasciamo in sospeso la questione, chiudendo con la cantilena dell’uomo con il braccio solo nel ventre dell’ospedale di Twin Peaks: «Nell’oscurità di un futuro passato / Il mago desidera vedere / Non c’è che un’opportunità tra questo mondo e l’altro / Fuoco cammina con me».
(da Storia in Rete di giugno 2020)
Analisi corretta, il tema degli aspetti simbolici di Twin Peaks è del resto risaputo sin da quando uscì la serie ed esistono svariati forum di appassionati dove da anni si discute ogni singolo fotogramma, ogni singola inquadratura, ogni singolo dialogo per carpirne i riferimenti “esoterici”… Personalmente non sono mai stato un grande estimatore di Lynch seppur ne riconosca le indubbie qualità, considero però Twin Peaks una serie seminale ed anch’io devo ammettere di essermi cimentato anni fa nella soluzione dei vari enigmi simbolici presenti in esso, ma dopo varie analisi sono arrivato alla conclusione che il retaggio del regista sia in realtà molto meno profondo di quello che la sua ottima tecnica registica farebbe pensare, in realtà lo sfondo principale delle sue opere è quello teosofico-occultistico e junghiano, quindi insomma tutto quel milieu neo-spiritualistico e psicanalitico con fascinazioni esotiche che non ha in se nulla di veramente iniziatico, seppur come spesso ripeteva Guenon non è detto che in queste forme di pseudo-iniziazione possano anche inserirsi elementi più propriamente contro-iniziatici che in effetti, questi si ,sarebbero in grado di manipolare archetipi e lavorare con quelle “influenze erranti” di ordine sottile per produrre determinati input e reazioni negli spettatori, del resto certe tecniche “magiche” sono usate moltissimo oggi (alla faccia di quello che pensano i “razionalisti”) in ogni ambito della “società dello spettacolo” spesso all’insaputa di chi le propone ma con piena coscienza da parte di coloro che vogliono ottenere certi effetti sulla popolazione, e non parlo di semplici stratagemmi psicologici come quelli usati nelle pubblicità ad esempio, ma di una vera e propria manipolazione di “etat d’esprit” effettuata a tutti i livelli, cosa che anche adesso è evidente con la narrativa del “virus”(e del resto i “media” non si chiamano così per caso)… Poi che ci sia un certo mondo “contro-iniziatico” dietro tante produzioni cinematografiche e mediatiche è ormai cosa documentata, basterebbe analizzare tutti i film di Kubrick e soprattutto il suo vero capolavoro Eyes Wide Shut che ci dice anche dell’altro… Per tornare a Lynch , egli non era nuovo all’uso del simbolismo esoterico, giù prima di Twin Peaks il suo “Dune” tratto dal noto romanzo fantascientifico ed interpretato dallo stesso grandissimo Kyle MacLachlan protagonista in Twin Peaks era saturo di elementi esoterici molti presi addirittura dall’ambito del Sufismo, in “Dune” sono presenti già molti degli elementi simbolici che saranno presenti poi nelle altre produzioni di Lynch, da Twin Peaks a Blu Velvet a Mulholland Drive anche se è proprio in Dune che l’aspetto simbolico risalta ancor di più in maniera chiara e anche meno ambigua e spuria che negli altri film, forse grazie al romanzo da cui è tratto… Un saluto al sempre eccezionale Andrea Scarabelli(che personalmente ritengo uno dei più acuti pensatori italiani) che è fra i pochi a proporre ancora argomenti di “confine” fra cultura moderna e cultura antica, fra avanguardie e tradizioni, fra pop ed esoterismo…