“Ogni discorso serio sulla riforma degli appalti deve innanzitutto distinguere le regole che non sono modificabili da quelle che lo sono, e ripartire dalle prime. Non è modificabile solo ciò che è imposto dal diritto europeo e, in particolare, dalle direttive emanate nel 2014, delle quali il nostro codice del 2016 costituisce l’attuazione. E’ modificabile tutto ciò che il legislatore italiano ha aggiunto alle regole europee – e si tratta della parte di gran lunga più estesa e dettagliata del codice – nonostante la legge 246/05 vieti esplicitamente al legislatore italiano di introdurre “livelli di regolazione” superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive europee”: questa la posizione di Giuseppe Valditara, ordinario presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino e coordinatore di ‘Lettera 150’, in occasione della prossima apertura degli Stati generali dell’economia. Valditara cita al riguardo lo studio fatto per ‘Lettera 150’ (think tank che riunisce oltre 230 accademici) dal prof. Mario Comba, Ordinario di Diritto pubblico comparato presso l’Università di Torino: “La vera, radicale semplificazione del codice appalti consiste nel ‘ritorno’ al testo delle direttive europee del 2014, prevedendo l’immediata applicazione di tali direttive con eliminazione dell’intero codice, con l’aggiunta della normativa antimafia e alcuni, pochi e ben motivati, ulteriori livelli di regolazione”.
“Non è una ipotesi fantasiosa, – spiega Valditara – il Regno Unito in modo più evidente, ma anche Germania e Polonia si sono limitati a riprodurre nella legislazione nazionale il testo della direttiva europea, aggiungendo poco o nulla mentre, all’estremo opposto, Italia e Romania sono gli Stati europei che più hanno appesantito le regole europee con aggravi procedimentali di diritto nazionale”.
“In Italia, – sottolinea Valditara – ci sono alcuni isolati esempi di semplificazione, ma solo sulla base del modello “commissariale”: il tanto citato “modello Genova” (DL 109/18) ma ancor più, il DL 32/19. Per evitare il proliferare in tutta Italia di Commissari straordinari, la cui necessità sarebbe rimessa alla discrezionalità del Presidente del Consiglio, basterebbe rendere ordinaria questa soluzione giuridica eccezionale che, come si è detto, viene tranquillamente seguita in altri Stati europei”.
“I requisiti di ammissione alla gara – specifica – potrebbero essere limitati a quelli resi obbligatori dall’articolo 57 della direttiva e cioè sarebbero esclusi solo gli operatori economici che hanno sentenze passate in giudicato per determinati reati e per evasione fiscale e contributiva, mentre oggi l’articolo 80 del codice appalti prevede una lunghissima serie di cause di esclusione, molte delle quali non richiedono il passaggio in giudicato ma possono dipendere da valutazioni effettuate dalla stazione appaltante, il che crea incertezze e molto contenzioso”.
Ma l’Italia è così: quelle poche direttive buone UE non le recepisce, quelle dannose invece sì.
Sugli appalti va rivisto il sistema delle gare. Oggi ottiene l’appalto chi fa l’offerta più bassa, una porcata emerita, quando in realtà va affidato al maggior offerente. Poi va eliminata quella norma che prevede la nomina del controllore dei lavori da parte della ditta appaltatrice, anziché del Ministero competente.