La storia non scorre come il corso di un fiume, ma come l’invisibile moto della marea attraversato da mulinelli. Noi vediamo i gorghi, non la corrente. Tale è l’attuale momento storico in cui vivono europei e francesi. I contraddittori vortici del presente nascondono alla loro vista il flusso inesorabile di uno scontro di civiltà nelle loro stesse terre.
Sin dal 1993 Samuel Huntington ha previsto con rara lucidità uno dei più importanti fenomeni del dopo guerra fredda. La sua tesi di uno “scontro di civiltà” ha provocato reazioni indignate e talvolta critiche giustificabili. In ogni caso, ciò che predisse sta venendo lentamente confermato dalla realtà. Brevemente, Huntington previde che nel post-guerra fredda le differenze, i conflitti o le solidarietà tra potenze non sarebbero più state di natura ideologica, politica o nazionale, ma in primo luogo di civiltà.
Lo “scontro di civiltà” è realmente un fenomeno inedito? Si potrebbe dire che in passato ci furono sempre conflitti tra le civiltà: le guerre persiane, la cristianizzazione di Roma, le conquiste arabe, le invasioni mongole, l’espansione europea iniziata nel 16° secolo ecc.
La novità del nostro tempo, sebbene mal compresa da Huntington, è causata dalla combinazione di tre fenomeni storici simultanei: il crollo della passata supremazia europea dopo le due guerre mondiali, la decolonizzazione e la rinascita demografica, politica ed economica di vecchie civiltà che venivano considerate morte. Così i paesi islamici, la Cina, l’India, l’Africa o il Sud America lanciarono, contro la potenza americana (identificata con l’Occidente), la sfida della propria civiltà risvegliata e talvolta aggressiva.
L’altro fatto inedito dei nostri tempi, un’assoluta novità, conseguenza degli stessi rovesci storici, è l’ondata di immigrazione e collocamento di africani, asiatici e musulmani che colpisce tutta l’Europa occidentale. Ovunque, i suoi esiti stanno diventando distruttivi, nonostante i tentativi di nasconderli da parte delle oligarchie politiche e religiose, che sono i loro complici oggettivi.
Al di là del problema della “sicurezza” sbandierato durante le elezioni, tutto sta a indicare che un vero scontro di civiltà sta montando sul suolo europeo e all’interno delle società europee. Niente lo mostra meglio dell’assoluto antagonismo che separa musulmani ed europei sulla questione del sesso e della donna. Un problema che può essere definito eterno, dal momento che esso è già evidente nell’Antichità tra Oriente e Occidente, poi attraverso il Medioevo e i tempi moderni. Il corpo femminile, il ruolo sociale della donna, il rispetto per la femminilità sono segni eloquenti di identità in conflitto, modi di essere e vivere incompatibili che si prolungano nel tempo. Si potrebbero aggiungere molte altre divergenze morali e comportamentali riguardanti le buone maniere, l’educazione, il cibo, il rispetto per la natura e il mondo animale.
Una conseguenza di questa fondamentale alterità è che gli europei sono costretti a trovare la loro appartenenza a un’identità comune. Questa identità si erge sopra i vecchi antagonismi nazionali, politici o religiosi. Francesi, tedeschi, spagnoli o italiani scoprono un poco alla volta che sono alla deriva sulla stessa barca, posti di fronte alla stessa sfida esiziale al cospetto della quale i partiti rimangono stolti, ciechi o fragili.
Di fronte a questo conflitto di civiltà, le risposte politiche di ieri paiono subito superate e assurde. Ciò che è in gioco non è questione di regime o società, destra o sinistra, ma una questione vitale: essere o sparire. Ma prima che troviamo la forza di decidere cosa dev’essere fatto per salvare la nostra identità, bisognerà però avere una solida consapevolezza di essa. A causa dell’assenza di una religione identitaria, gli europei non hanno mai avuto questa consapevolezza. La dura prova verso cui stiamo andando dovrà risvegliarla. (tradotta da counter-currents.com su Polemos n.3 – traduzione F.B.)
Se l’identità comune europa è quella dei LGBT, della distruzione della propria storia ecc., forse è meglio l’Islam… nonostante quel che ne pensava la truce Fallaci…
Il primo elemento dell’identità europea é la razza bianca delle popolazioni del continente. Senza quella non può esserci l’Europa, che in presenza di una forte immigrazione afroislamica rischia di diventare solo un’espressione geografica. Perché l’Europa e la sua civiltà, di matrice greco-romano-germanica e religione cristiana, l’hanno fatta i popoli di razza bianca, e grazie a costoro é stata per secoli il Faro mondiale della civiltà.
Oggi ci stiamo rassegnando all’idea che può esistere un nero francese o un arabo britannico, complice anche il fatto che viviamo in piena dittatura liberalprogressista, che vieta di parlare di Europa come continente dei popoli di razza bianca, e accusa di razzismo chi lo fa. Il vero razzismo é quello di chi sostiene che per risolvere il problema demografico in Europa é necessario consentire massicci flussi migratori dall’Africa e dall’Asia. Perché si tratta di immigrazione sostitutiva.
Non esiste un reale problema demografico in Europa. L’Europa è sovrappopolata (certo, le aree urbane e metropolitane). ma il problema vero è di rimettere italiani ed europei a lavorare. Altro che RdC! Calci in culo…
Werner. La storia è quella che è, ma dobbiamo fare i conti col presente e l’immediato futuro. Ai giovani del faro della civiltà bianca ed europea importa un piffero, tranne eccezioni!
@Guidobono
Lo so benissimo, non c’era bisogno me lo dicessi tu. Però non bisogna rassegnarsi a questo, altrimenti è finita. Ci vuole una rieducazione di massa, questo è poco ma sicuro…
Werner. Non si tratta di rassegnazione, ma di realismo. Non si può essere velleitari. Per non fare della retorica vacua, occorre tener presente che cosa la nostra pedagogia, i nostri maestri, maestre, docenti d’ogni ordine e grado oggi prevalentemente insegnano. Di quale è l’atmosfera generale. Praticamente nessuna di quelle cose nelle quali tu ed io crediamo. Occorre pertanto ‘trovare’ temi e motivazioni diversi: difesa di interessi concreti, di aspirazioni di libertà, della sicurezza, dell’ambiente, del lavoro degno e sicuro, della perfidia sinistro-bolivariana ecc. Se io ai miei figli grandi parlassi di civiltà di matrice greco-romano-germanica, di difesa della cristianità ecc. semplicemente li annoierei e… scapperebbero via! E consti che loro non sono assolutamente di sinistra, solo immersi in questo dominante clima informativo, culturale…
Guidobono spiacente ma non posso concordare con Lei. Ai miei figli parlo della nostra Civiltà di matrice Greco-Romana e mi preoccupo di comprendere i motivi per i quali ciò non dovrebbe interessarli perché ritengo che da talune questioni non si possa prescindere. La invito a chiedersi perché la Civiltà Islamica, che pure non teme di annacquare la propria identità stanziando in terra europea, non si preoccupi di “annoiare i propri figli” trasmettendo loro il proprio credo. La Civiltà Europea si sottopone sovente ad una critica impietosa, ma occorrerebbe rendersi conto che per quanto pregevole possa essere questo intento non è imitata in ciò da nessun’altra. Forse prima ancora della consapevolezza della propria base razionale è questo il tratto distintivo che contraddistingue il genio europeo: la sua capacità di fare auto-critica. Non consentiamo però che altri ne approfittino.
Maver. Io vivo ormai in America Latina. Torno poco in Italia. Qui musulmani quasi non ci sono ed africani (assai pochi da noi) solo quelli discendenti dagli schiavi, e da generazioni integrati, o qualche cubano sfuggito ora all’inferno castrista. Diversamente dagli USA qui non c’è un problema razziale… Gli indios si sono in gran parte meticciati. In Uruguay neppure li abbiamo per la verità. La differenza la fa la classe sociale…Peraltro tutta bianca, quella alta, in parte consistente ebraica. Da sempre potente la massoneria. La maggioranza di cristiani ed ebrei è agnostica. La Chiesa non conta. Difficile spiegare a figli quasi quarantenni, al di là di Stati Uniti, maduristi e cubani, le altre dinamiche di oggi, della vecchia Europa…. La conoscono, ci hanno passato periodi di vita, ma il loro ambiente ormai è quaggiù, le priorità sono determinate da situazioni concrete… Qui i problemi veri sono le droghe, la corruzione, la sicurezza personale, le incertezze dell’economia… Non certo l’imperialismo yankee…Anche se l’Uruguay, in quanto a percezione della corruzione, sta molto meglio dell’Italia… Qui la Chiesa è nettamente separata dallo Stato da inizio ‘900, da allora vi è il divorzio, pochi sentono, mi pare, la necessità di una religione e chi la sente è liberissimo di professare tutti i culti, dall’Opus Dei alla macumba…. Tiravano nel ‘900 l’umbanda (300 terreiros) di derivazione brasiliana e qualche confessione evangelica… L’identità? Le navi dalle quali son discesi gli emigranti? Gli oleografici gauchos sin ley ni rey? Il tango? Difficile dirlo…
Guidobono, sono certo che lei ha validissime ragioni per vivere in America Latina, ragioni che non si possono discutere, ragioni che meritano rispetto. Quello che mi sento di dire è che la condizione di sradicamento nella quale si trova a vivere (poiché mi pare emerga con chiarezza da come si esprime), sia necessariamente quella di tutti coloro i quali, per volontà o per necessità, abbandonano definitivamente la Madre Patria. Ecco perché da parte mia ho contrapposto un fermo rifiuto alle proposta giuntami (con modalità reiterata) di intraprendere una vita apolide, ogni qual volta difficoltà dalle parvenze insormontabili hanno suggerito la fuga come soluzione praticabile. Potendo rifiutare, rifiuto, senza per questo giudicare chi sceglie altrimenti o non può fare altrimenti. Personalmente traggo forza dalla possibilità di constatare un continuum fra: un passato che (pur con grande difficoltà e sofferenze) ha lasciato mirabile traccia di sé, il presente come palestra di coerenza verso quel passato e il futuro come sfida. Io penso Guidobono che la volontà di non smarrire le sue radici, se queste per lei mantengono pur sempre un imprescindibile valore, dipenda solo da lei. Le contingenze del presente (per quanto ruvide), passano, il desiderio di radicamento permane in taluni, come imperativo esistenziale.
Il problema credo non sia il mio ‘radicamento’, che ovviamente persiste, più o meno felice o infelice, quanto la pratica impossibilità, ed il dispiacere, di riuscire a trasmetterlo! Le ragioni per lasciare l’Italia sono molte, professionali, familiari, complicate spesso. Certo la contingenza socio-politica post-sessantottina della mia città, Torino, ha influito la sua parte, ma senza vittimismi. Non mi sono mai pentito di nulla. Non mi sono mai immaginato passeggiare col passo del vecchio dove sgambettavo da bambinetto…Non ho mai sofferto di nostalgie. Sono stato un po’ un giramondo, curioso, ed alla fine bisogna pur scegliere un porto. Per me è sul Plata, quel grande fiume che sembra mare, che vedo al mattino dalla finestra al risveglio… quella lingua castellana che mi è divenuta familiare e nella quale scrivo pure racconti che nessuno, ovviamente, pubblica… Una nipotina e l’altra in arrivo…