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A poche settimane dal novantacinquesimo compleanno, lo scrittore cattolico e tradizionalista Jean Raspail se n’ andato sabato in un ospedale parigino, dov’era stato ricoverato alcuni mesi fa. A causa della pandemia del Covid-19 i suoi familiari non avevano più potuto vederlo fino a ieri, quando ha ricevuto l’estrema unzione.
Raspail, molto noto e molto discusso Oltralpe, da noi era poco conosciuto se non per il romanzo Il campo dei santi, da molti considerato “maledetto”, sicuramente profetico e visionario. Quando uscì, nel 1973, Le Camp des saints venne preso come un affascinante romanzo di fantascienza. In Francia ebbe un modesto successo e vendette più copie negli Stati Uniti, anche se anni dopo l’editore Laffont si rese conto che, con il passare del tempo, il libro era diventato un long-seller e grazie al passaparola ogni anno vendeva ancora ottomila copie l’anno. Oggi, a quarantasette anni di distanza, si calcola che in Francia abbia venduto oltre mezzo milione di copie e molti lo paragonano ai grandi classici della distopia contemporanea, quali Il mondo nuovo di Aldous Huxley e 1984 di George Orwell.
In Italia, invece, è ancor oggi un romanzo poco misconosciuto: tradotto e pubblicato negli anni Ottanta dalle Edizioni di Ar, è arrivato alla quarta edizione ed è disponibile sui più importanti siti di vendite librarie online. Se all’inizio degli anni Settanta il romanzo di Raspail poteva apparire come un brillante divertissement fantapolitico, già vent’anni dopo i temi sollevati dall’autore francese si erano rivelati tristemente profetici. E oggi Il campo dei santi non ha più l’aspetto di un romanzo fantascientifico o di un’utopia negativa: praticamente è cronaca.
Facciamo un passo indietro. Raspail, etnologo e autore già affermato di romanzi storici e d’avventura, scrive Le Camp des saints nei primissimi anni Settanta, quando l’immigrazione dal Terzo Mondo verso l’Europa è ancora un fenomeno marginale. Eppure lo scrittore cattolico francese aveva già immaginato tutto. Anzi, rileggendolo quasi cinquant’anni più tardi è come se avesse visto chiaramente nel futuro.
Il titolo deriva da un versetto dell’Apocalisse: «Quando i mille anni saranno compiuti, Satana verrà liberato dal suo carcere e uscirà per sedurre le nazioni ai quattro punti della terra, Gog e Magog, per adunarli per la guerra: il loro numero sarà come la sabbia del mare. Marciarono su tutta la superficie della terra e cinsero d’assedio il Campo dei Santi e la città diletta». Nel romanzo si narra di milioni di diseredati dell’area del Gange (indiani, pachistani, bengalesi), che aizzati da una specie di profeta straccione s’impadroniscono di centinaia di “carrette del mare” e intraprendono un folle viaggio verso l’Europa. «A quel tempo ho immaginato una massa di immigrati asiatici – ha spiegato Raspail in un’intervista – ma l’etnia era indifferente, per me simboleggiavano l’intero Terzo Mondo».
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L’invasione è pacifica, ma il numero dei miserabili in arrivo dall’Asia è già di per sé una minaccia per la Francia e per l’intera Europa. Eppure – e qui sta la genialità e la preveggenza di Jean Raspail – i governi e le élites culturali non sanno come affrontare il problema. Anzi, con la complicità di religiosi, intellettuali radical-chic e organizzazioni umanitarie cercano di preparare il terreno con una martellante campagna propagandistica che deve far accettare all’opinione pubblica l’avvento della società multirazziale. Quando la flotta degli immigrati arriva sulla Costa Azzurra, un gruppo di cittadini che tenta di resistere viene bombardato dalla stessa aviazione francese, inviata dal governo a proteggere la marcia trionfale degli immigrati.
L’orda asiatica non trova quindi alcuna opposizione sul piano militare né sotto l’aspetto istituzionale; e men che meno – sembra dirci l’autore – dal punto di vista culturale. La Francia è un Paese vecchio, non più abituato alla guerra, senza più un’identità né una religione. Quindi soccombe senza combattere al numero e alla vitalità dei popoli diseredati del Terzo Mondo, che impongono facilmente il loro stile di vita ai cittadini francesi. I quali, anche grazie al martellamento propagandistico, accettano passivamente gli eventi, malgrado rimanga loro il dubbio se l’avvento della società multietnica sia davvero il migliore dei mondi possibili.
In Francia Il campo dei santi ha suscitato reazioni contrapposte e scontate accuse di razzismo, ma buona parte della cultura transalpina ha preferito ignorare la provocazione di Raspail e boicottare il libro. Libro che invece ha avuto un buon successo negli Stati Uniti e ha ispirato il film La seconda guerra civile americana, realizzato nel 1997 dal regista indipendente Joe Dante. In Italia, come detto, il romanzo è passato praticamente sotto silenzio. Anche se le immagini dei clandestini albanesi che arrivavano in Puglia nei primi anni Novanta e quelle più recenti degli immigrati africani che sbarcano a Lampedusa sono praticamente uguali alla copertina del libro di Raspail pubblicato da Laffont nel ’73.
Nato nel 1925 nella regione della Loira, Jean Raspail è stato uno scrittore prolifico e versatile, autore nell’arco della sua lunga carriera di almeno una ventina di libri di successo; non solo romanzi ma anche racconti e memorie di viaggio. Nel 1981 con Moi, Antoine de Tounens, roi de Patagonie ha vinto il Grand Prix de l’Académie française; nel 1987 SugarCo ha pubblicato in Italia I nomadi del mare, autentico bestseller in Francia, rimasto a lungo nei primi posti nelle classifiche delle vendite e per il quale l’autore ha ricevuto il premio Chateaubriand; infine nel 1996 Raspail si è aggiudicato il Prix Prince Pierre de Monaco e il Prix Maisons de la Presse con il romanzo L’anello del pescatore, pubblicato in Italia nel 2009 da CasadeiLibri.
Lungi dall’essere il “razzista” dipinto da certa stampa progressista, Jean Raspail ha viaggiato mezzo mondo come etnologo alla ricerca di culture e popoli in via d’estinzione, dalla Patagonia all’Alaska, dalle Antille alle Ande peruviane. «Sono un difensore di tutte le razze minacciate – ha sempre detto – compresa quella bianca». Cattolico tradizionalista, con simpatie politiche per la monarchia (che in Francia è un bell’andare controcorrente…), Raspail non ha mai smesso di épater le bourgeois, o forse sarebbe meglio dire i radical-chic: nel 2004 ha scritto per Le Figaro un commento che gli è costato una denuncia dalla Lega contro il razzismo e l’antisemitismo (LICRA). Motivo? Nell’articolo intitolato «La patria tradita dalla Repubblica» lo scrittore sosteneva ciò che era (ed è tuttora) davanti agli occhi di tutti: «L’Europa cammina verso la morte. (…) Il silenzio quasi sepolcrale dei mezzi di comunicazione, dei governi e delle istituzioni comunitarie sul crollo demografico dell’Europa dei 15 è uno dei fenomeni più importanti della nostra epoca».
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Alla fine Raspail venne assolto e incassò persino la solidarietà di intellettuali progressisti come David Dawidowicz, ebreo ed ex membro della LICRA, che ha scritto: «Come tutti i cittadini di un Paese libero Raspail ha diritto di criticare, a torto o a ragione, una politica che lui giudica disastrosa e una società che lui ritiene alla deriva. A cosa vale la libertà di pensare senza la libertà di esprimere il proprio pensiero?». Parole che meriterebbero d’esser pronunciate anche in queste settimane, in tempi di “pogrom” culturali e di caccia alle statue.
Raspail è stato subito ricordato su Twitter da Marine Le Pen: «Jean Raspail ci ha lasciato. È una perdita enorme per la famiglia nazionale. Dobbiamo (ri) leggere Il Campo dei Santi che, oltre a evocare con una penna di talento i pericoli migratori, aveva, molto prima di Sottomissione, descritto senza pietà la sottomissione delle nostre élite».
Si meritava di entrare all’Académie. Peccato