Il “caos” del caso kazako – nella figura messa sotto accusa di Angelino Alfano – sarà la tomba delle larghe intese? Potrebbe. Certo Enrico Letta, da Londra, si sbraccia come può sostenendo che «Angelino non c’entra nulla», che «il governo va avanti». Ma è un fatto che, nel centrosinistra, la coabitazione con i berluscones viene vissuta ogni giorno di più come una condanna, quasi un’“infezione”. Poco importa che – nella catena di sciatterie varie – anche Emma Bonino concorra in quella che chiama responsabilità politica dell’accaduto. Ma è chiaro che il pesce grosso è il vicepremier. Che non è un’Idem qualsiasi.
Matteo Renzi ciò lo sa bene e intende sfruttare l’occasione per accelerare il ko. Per questo i renziani – di fatto un partito nel partito – minacciano insubordinazione sul caso della mozione di sfiducia che venerdì potrebbe trasformare il Senato in una trincea. Una guerra lampo, questa, destinata a trasformarsi – se la mozione non dovesse essere accolta – in una guerra di logoramento dato che il nodo “di coscienza” (Fini docet) si ripresenterà durante ogni occasione (che non manca, come si vede) in cui la coalizione manifesterà tutta la sua fragilità.
Le trappole per le “larghe intese” insomma, come teme un preoccupato Berlusconi costretto ad aggrapparsi al governo in vista della sentenza della Suprema Corte, non mancheranno. Solo che stavolta l’assist non è giunto da una Procura ma da un’incapacità tutta politica: quella di non saper governare il profilo di un Paese inserito all’interno di relazioni internazionali (anche con Paesi con una democrazia incompiuta). Di fatto, come nel caso Ablyazov, “la pratica” è stata appaltata alle varie burocrazie dello Stato. Così come viene appaltata alla magistratura parte della contesa politica.
Il risultato è che il Paese “legale”, quello delegato dagli elettori, non ha più di fatto il controllo della cosa pubblica. Non è un caso che proprio oggi il Corriere della Sera abbia cercato di riportare al centro – “nonostante” il caso kazako – la politica: ossia, lasciamo perdere le dimissioni per questa volta perché non c’è alternativa al governo nato come “alternativa”. Tutto questo dimostra – dopo quasi due anni di vacatio della rappresentatività reale – che i muscoli della nazione iniziano ormai ad atrofizzarsi: è la pigrizia di affidarsi continuamente a situazione di “emergenza”, a non voler risolvere una volta per tutte la transizione politica, il vero problema.