Sul Caso Open Arms la giunta per le immunità del Senato “salva” – almeno per ora – Matteo Salvini. L’inattesa astensione dei renziani, il voto della dissente a cinque stelle Alessandra Riccardi e di Mario Michele Giarrusso (espulso dal Movimento per le mancate rendicontazioni sulle spese), concedono una boccata di ossigeno all’ex ministro dell’Interno, che ora attende di sapere dall’aula di Palazzo Madama se un processo ai suoi danni per sequestro di persona e abuso d’ufficio dovrà essere celebrato anche al tribunale di Palermo. Le contraddizioni pentastellate emergono nuovamente sul tema della giustizia, tema sul quale la pattuglia grillina è andata in fibrillazione fin troppe volte ultimamente, avvitandosi e – in fine – palesando una profonda crisi d’identità e riferimenti valoriali.
Il caso Giarrusso
Se è vero che Giarrusso è stato già messo alla porta, è vero pure che fino all’altro ieri era lui uno dei volti simbolo della ventata di moralizzazione (a tratti “giacobina”) che avrebbe dovuto azzerare i vizi del Palazzo. L’immagine del senatore siciliano che mima le manette contro i colleghi del Pd mentre in Giunta i cinque stelle stanno votando il salvataggio di Salvini sul caso Diciotti è la prima e più plastica rappresentazione del rapporto contraddittorio e confusionario tra grillini e la macchina della giustizia.
Sembra una vita fa, allora c’era in sella il governo gialloverde, ma i problemi sono semmai aumentati. Il caso Gregoretti (quello per cui il leader del Carroccio sarà processato il prossimo ottobre a Catania) segna un cortocircuito bello e buono. Appunto perché i cinque stelle sono stati chiamati a votare su di un caso fotocopia rispetto a quello della Diciotti, ma con un orientamento totalmente antitetico rispetto a qualche mese prima. Il motivo è tutto nel divorzio estivo con la Lega e non in un supplemento di riflessione sulla gestione degli sbarchi, e neanche sul caso di specie.
Nodo migranti
Da quando è in carica, il Conte 2 non ha ancora messo mano alla revisione dei decreti Sicurezza (e non lo ha fatto per le resistenze grilline). Non ha neppure mutato profilo (se non in termini comunicativi) circa la chiusura dei porti alle navi con a bordo migranti. Come andrà la prossima estate è ancora una incognita, intanto il pacchetto di regolarizzazioni voluto dalla ministra Bellanova potrebbe essere l’ultima concessione sulla gestione migranti da concedere ai renziani. In assenza di un cambio di passo significativo sulle politiche gialloverdi, l’alzata di scudi contro Salvini rischia di mandare al manicomio il corpo elettorale.
Gli strascichi del caso Palamara, e le relative intercettazioni sulla liceità delle iniziative del Conte 1 circa la politica di contenimento degli sbarchi, trovano sordi i cinque stelle. Nonché disarmati. Perché costretti a fare i conti con segmenti della magistratura che perseguono finalità che vanno oltre il concetto stesso di onestà-tà-tà. Il nodo è e resta quello del giusto rapporto tra politica e magistratura. Tra valori (sacrosanti) e un’analisi di realtà che non corrisponde esattamente ai contenuti professati dal Movimento.
Il cortocircuito Bonafede
La duplice mozione di sfiducia ad Alfonso Bonafede, guardasigilli tenuto in vita la scorsa settimana dal soccorso renziano, palesa ancora una volta che il tema della giustizia, da punto di forza, si è trasformato nel tallone d’Achille della narrazione grillina. Per molto meno, in passato, i grillini hanno chiesto le dimissioni. Oggi Bonafede è stato salvato addirittura su di un tema spinoso, quello delle scarcerazioni dei boss. In pochi però si sono preoccupati che lo stesso tema è tra i punti (seppur tra le differenze storiche) del papello della cosiddetta trattativa Stato-Mafia. Processo che ha visto protagonista il pm Nino Di Matteo: uno dei beniamini, per intenderci, di Marco Travaglio. Tra le fila dei cinque stelle al Senato c’è infatti chi è si è astenuto. È il caso di Tiziana Drago. Siciliana tanto quanto Alfonso Bonafede. Presunte esigenze di tenuta governativa hanno impedito che sul caso i grillini ragionassero ad uno schema che salvasse capre e cavoli. Da schiena dritta a ventre molle il passo è breve. Ed è quest’ultimo il profilo che i cinque stelle stanno offrendo al Paese.