Ancora tu, non dovevamo vederci più? E invece siamo di nuovo alle prese con uno dei topoi della grilleide: la scissione. Evocata (ma sempre nei virgolettati anonimi), minacciata (ancora nei retroscena), mai concretizzata nella realtà. Il pretesto, stavolta, pare sia la regolarizzazione dei lavoratori stagionali immigrati proposta dal ministro renziano dell’Agricoltura Teresa Bellanova. Mentre scriviamo è stato raggiunto l’ennesimo accordo. Gli ex giamburrasca del Parlamento hanno trovato la quadra come i navigati democristiani meridionali. E Beppe Grillo si fa fotografare in versione umarell che guarda i cantieri. “Sono vecchio”, fa sapere. Le lotte di potere dei figli rinnegati non mi interessano più, lascia intendere. La creatura sbanda senza pilota. Galleggia grazie al pragmatismo di ministri che non vogliono mollare la presa e parlamentari mal disposti all’idea di tornare alla vita fuori dai Palazzi.
La scissione evocata e mai realizzata
E allora la scissione? L’ultima evocazione risale alla serata di ieri. Quando le solite “fonti” confessavano a taccuini chiusi di aver paura “che Di Maio possa portare con sé un pezzo di M5s e rifare l’alleanza con la Lega”. Sì, perché “gli manca Salvini” commentano gli stellati offrendo la dimostrazione di una politica ridotta alla fase adolescenziale. Con l’ex capo politico ci sono un pugno di parlamentari del Mezzogiorno, ma la scissione è destinata a rimanere al rango di Godot. Ed ecco due domande, entrambe con risposta ovviamente negativa. Di Maio sarebbe disposto a rinunciare al “brand” del Movimento Cinque Stelle? Con un gruppetto di deputati e senatori avrebbe lo stesso potere negoziale, interno ed esterno, che ha oggi? E un’altra domanda, con risposta affermativa: non sarebbe meglio ricandidarsi alla guida del M5s agli Stati Generali di autunno? Dunque appare fin troppo facile scoprire il gioco mediatico che si cela dietro i vari riposizionamenti che agitano l’universo del grillismo. Ultimo quello sull’immigrazione, che ha avuto l’unico effetto di far impantanare per una nottata il decreto governativo sull’emergenza economica da pandemia di Coronavirus.
Come ogni topos letterario, lo “spettro della scissione” – che invece è un luogo comune giornalistico – è ricorrente nel romanzo popolare grillesco. Nell’ordine, escludendo la fiammata di ieri, la spaccatura avrebbero dovuto propiziarla: Roberto Fico, Alessandro Di Battista, Lorenzo Fioramonti, Gianluigi Paragone e di nuovo Alessandro Di Battista. E già si intravede la prossima puntata a tema Mes. Che se dovesse passare dal Parlamento potrebbe provocare qualche voto non conforme alle indicazioni del gruppo. Al massimo delle espulsioni, con le conseguenti difficoltà per i giallorossi in un Senato sempre in bilico. Ma la scissione è cosa diversa. E ne sono maestri a sinistra. Da Giuseppe Saragat a Fausto Bertinotti e Armando Cossutta. Da Pierluigi Bersani a Matteo Renzi. Da Pippo Civati a Carlo Calenda.
Si può essere in eterno “né destra, né sinistra”?
L’interrogativo che riguarda i Cinque Stelle piuttosto è un altro. E investe il futuro della grande scommessa su cui la creatura è nata, gemmata dall’intuizione del guru Gianroberto Casaleggio che la voleva equidistante dalle categorie politiche novecentesche. È possibile essere né di destra, né di sinistra? Allo stesso tempo inventori del reddito di cittadinanza e fautori della “sburocratizzazione e del taglio delle tasse” (copyright Di Maio). E ancora alleati di governo della Lega e del Pd. Quindi atlantisti e pure filocinesi. No euro e neo-europeisti. No – Vax e sponsor della nuova “repubblica dei virologi”. Cantori del vaffanculo e sostenitori delle supercazzole da leguleio democristiano firmate dal premier Conte. Forza di rottura – “apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno” – e ago della bilancia della Terza Repubblica. Agitatori di manette travolti dalla stessa cultura del sospetto su cui hanno prosperato, vedi caso Bonafede-Di Matteo. Di contraddizione in contraddizione. Aspettando la scissione.
L’unico vero effetto che la presenza del M5s (si è presentato per la prima volta alle politiche nel 2013)ha comportato nello scenario politico nazionale è stato quello di avere una presenza costante del Pd al governo del Paese(tolta la parentesi di poco più di un anno del governo giallo verde).Se questo esecutivo dovesse arrivare alla naturale conclusione (2023)avremmo quasi un decennio a guida Pd(2013-2023).
Finché ci sarà un M5s forte, il Pd(che ha comunque un 20% di elettorato fedelissimo) potrà compiere qualsiasi porcata senza pagare il fio.
Esatto Wolf. Si stanno mostrando sempre più l’appendice del PD.