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Focus Pandemia/1.Eric Voegelin, lo strapotere degli esperti-scienziati e il Coronavirus

by Roberto Bonuglia
6 Maggio 2020
in Politica
4
Il meme con l’album delle figurine dei virologi

Continuiamo a non sapere «quando terminerà il coronavirus» e possiamo solamente «speculare sulle sue conseguenze economiche e politiche»: lo scriveva un mese fa Ivan Krastev. Ma nella sua analisi il politologo aggiunse un particolare sibillino: «Le epidemie sono degli eventi – non delle tendenze – che mettono sotto pressione le società in cui si diffondono. Questi sforzi evidenziano delle strutture latenti che altrimenti resterebbero nascoste» [1]. Lecito dunque chiedersi: quali sono le strutture latenti tirate in ballo?

Sono quelle che abusando della ragione hanno pensato di poter orientare l’intera vita socio-economica, l’esistenza stessa degli individui [2]. Influenzata dallo storicismo e dallo scientismo, infatti, la filosofia politica moderna ha dato vita «a un prometeismo dell’umano privo di ogni senso del limite e perciò alla credenza che l’uomo sia in grado di darsi ogni meta, che possa conquistare tutto, che abbia diritto a tutto» [3].

Non è andata proprio così e ce ne siamo accorti. Le miserie umane legate alla diffusione del Covid-19 lo dimostrano. Se siamo arrivati al punto in cui siamo, lo dobbiamo alla centralità assunta, nel pianeta trasformato in “villaggio globale”, dall’onnipotenza dei tecnici, degli specialisti, dei professionisti del della scienza. Dei depositari, cioè, di una credenza destinata inesorabilmente al fallimento in considerazione del fatto che, in realtà, nessun potere dispone di tutta la conoscenza essenziale per dirigere e controllare la società.

L’intensificazione del graduale svuotamento della traditio consumatosi negli anni dell’utopia globalista non è una novità. É bensì il frutto di un progetto che viene da molto lontano. Lo conferma l’evoluzione politico-filosofica di «una certa parte della tradizione illuminista e razionalista, nello scientismo, nel positivismo, nel materialismo storico in alcune di quelle concezioni, idee, visioni che avrebbero contribuito a preparare nel corso della storia il ‘terreno’ ai sistemi liberticidi del ’900» [4]. Tutti approcci che troncando ogni legame con il trascendente, da una parte pongono l’ordine dell’essere e quello politico sotto il controllo dell’uomo – divinizzandolo –, dall’altra riducono «il pensiero a una sorta di trivella, abilissima nella ricerca di derivazioni sotterranee, nella scoperta di nessi e radici nascoste, nella individuazione di cause e concause, ma sostanzialmente incapace di un vero “stacco” liberatorio» [5].

Lo scientismo di oggi – sul cui altare si è consumata forzatamente la transustanziazione ideologica della rappresentatività in arido tecnocratismo – discende da quello illuminista fondato anch’esso sul monopolio della ragione e delle scienze naturali. Esse affermano, infatti, la validità di un’unica ‘idea’ a scapito della tradizione culturale umanistica e di un metodo esclusivo per comprendere la realtà puntando a realizzare un ordine politico perfetto nel quale non vi è spazio per la rappresentatività, la sovranità nazionale, l’identità e la cultura tradizionali. 

Il punto cruciale di questa analisi ci conduce a Eric Voegelin per il quale lo scientismo non è altro che un modello di pensiero coinvolto in una più profonda tendenza del pensiero occidentale: il processo di progressiva secolarizzazione, ossia di negazione della trascendenza, caratterizzante l’età moderna e contemporanea. 

Un modello, insomma, che comporta il primato dell’economia intesa come ideologia e una serie di trasformazioni consumatesi nella struttura sociale del mondo occidentale nel XIX e nel XX secolo come preludio di quanto abbiamo visto accadere nel Terzo Millennio: «The ramification of science into technology; the industrialization of production; the increase of population; the higher population capacity of an industrialized economy; the transformation of an agricultural into an urban society; the rise of new social groups – the industrial proletariat, the white-collar employees, and an intellectual proletariat; the concentration of wealth and the rise of managerial class; the ever-increasing numbers of men who depend for their economic existence on decisions beyond their influence; the dependence of national power on a highly developed industrial apparatus; the dependence of the industrial apparatus on the political accessibility of markets of raw material» [6].

Lo scientismo si è imposto sostituendo la realtà sostanziale con quella fenomenica, riducendo la complessa realtà individuale e sociale ai soli elementi immanenti, privando di validità quel tipo di conoscenza che, per sua natura, contempla invece anche la dimensione metafisica e spirituale del mondo. L’esito di una ragione così modulata è stato disastroso, sia epistemologicamente sia politicamente: «Questo tipo di razionalismo monistico monopolizza la comprensione della realtà, presupponendo di possedere un’intelligenza superiore in grado di conoscere in via assoluta e definitiva la totalità delle cose esistenti. Ne consegue che, per mezzo di un atteggiamento mentale onnipotente e totale, tenta di porre ordine nel mondo, forgiandone uno nuovo in dettaglio e imponendo un’unica ragione sulla realtà politica» [7]. 

Il progetto realizzato è «delirante in quanto produce una ‘nuova scienza’ che, esplorando solo il mondo fenomenico e le relazioni tra fenomeni sensibili, pretende, da un lato, di conoscere “the real order of nature” – ovvero le leggi universali della realtà naturale, sociale e politica –, e, dall’altro, di fondare una conoscenza dell’uomo e dell’universo “that is supposed to replace the knowledge of substance originating in spiritual experience”» [8]. 

Da tutto ciò non può che scaturire una società naufragata de facto in un nuovo totalitarismo alimentato da sistemi logici che ridisegnano ‘scientificamente’ una società scevra da difetti, nella quale l’analisi critica e la riflessione teorica sono sostituite da un’ideologia economica e da una “scienza” politica che accumula fatti riducendosi a doxa neutralizzando gli aspetti fondanti dell’esistenza. Che non a caso corrispondono, in una diabolica eterogenesi dei fini, all’elenco dei divieti impostici dal lockdown di questi mesi.

Note:

[1] I. Krastev, Confini e stato interventista. Il Covid-19 sarà la pietra tombale della globalizzazione?, in «Il Foglio», del 30 marzo 2020.

[2] R. Cubeddu, L’ombra della tirannide. Il male endemico della politica in Hayek e Strauss, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2015.

[3] G. Berti, Avere diritto a tutto: la falsa onnipotenza che uccide la libertà, in «Il Giornale», del 22 gennaio 2015.

[4] S. Lagi e N. Stradaioli, Eric Voegelin e Isaiah Berlin storici delle idee. Una riflessione sul monismo, Firenze, Centro Editoriale Toscano, 2017, p. 17.

[5] G. F. Lami, La riforma della rivoluzione, in Caratteri gnostici della moderna politica economica e sociale, Roma, Astra, 1984, p. 19.

[6] E. Voegelin, The Origin of Scientism, in Id., Published Essays 1940-1952, Columbia-Londra, University of Missouri Press, 2000, p. 188.

[7] S. Lagi e N. Stradaioli, cit., p. 59.

[8] E. Voegelin, cit., p. 168.

Roberto Bonuglia

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Comments 4

  1. Werner says:
    3 anni ago

    Sì ultimamente i virologi sono diventati delle star televisive…

  2. vito says:
    3 anni ago

    anche troppo, in effetti.

  3. guidobono says:
    3 anni ago

    Dopo averci rinchiusi a doppia mandata, aver multato chi faceva il doppio giro dell’isolato ecc., adesso i sapientoni proclamano: “Il caldo e la vita all’aria aperta potrebbero limitare il contagio”. Lo ha sottolineato Sylvie Briand, direttore del dipartimento per la gestione dei rischi infettivi dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Ma chi può credere ancora a questi cialtroni…?

  4. sara says:
    3 anni ago

    Analisi profonda e non scontata. Certo lo scientismo impera e continuerà a farlo il processo è irreversibile e i nostri figli inizieranno a scambiarsi le figurine dei virologi invece che quelle dei calciatori e dei cucciolotti. che tristezza!

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