Paolo Isotta, musicista, musicologo, critico, narratore, letterato. È lui che, con Verdi a Parigi, Marsilio editore, euro 28.00, rompe gli indugi e arriva in Padania, nella terra di Giuseppe Verdi, nel suo habitat, nel suo heritage, a dire il vero ormai non più esclusivo, ma nelle mani del mondo cui tanta musica ha donato. E non è un caso che Isotta scriva di Verdi a Parigi. Come Manzoni andò a risciacquare i suoi panni lombardi in riva all’Arno, Verdi va, deve andare a Parigi, ai suoi tempi capitale culturale d’Europa, fucina di ogni novità artistica e politica, visto ciò che vi accadde, almeno sino alla Prima guerra mondiale.
Per la lirica, Parigi è il luogo elettivo del Grand-Opéra, quello in cui il teatro lirico s’è affermato a opera anche di compositori italiani, a partire da Giovan Battista Lulli, diventato, all’ombra delle Tuileries, Jean-Baptiste Lully, titolare dell’Académie Royale de Musique e Danse, avendone acquistato i diritti da Perrin, ristretto in prigione per debiti.
Negli anni precedenti, l’esplosione di Giuseppe Verdi e il suo arrivo a Parigi, protagonisti del Grand-Opéra sono Auber, Halévy, Meyerbeer e Donizetti. Ma è su Mayerbeer che si sofferma l’attenzione di Isotta: Balzac e George Sand lo dichiararono della statura di Mozart, e Goethe cadde nell’abbaglio di ritenere che il solo degno di musicare il Faust fosse lui. Nel 1864 il giovane Arrigo Boito lo considera il più grande operista vivente; e il ministro della pubblica istruzione, Broglio, alla morte di Rossini, dimenticando Mercadante, Donizetti, Bellini e Verdi, suscitò l’indignazione del Cigno di Busseto col dichiarare che Rossini aveva un sol erede, Meyerbeer.
Non intendo seguire Paolo Isotta nel percorso, dotto e articolato, nella Parigi musicale dell’80, tra i suoi luoghi e i suoi protagonisti. Dirò solo che, dal libro, emerge che, sin dall’inizio della sua carriera, col Nabucco, Verdi s’ispira al modello del Grand-Opéra, avesse o non avesse l’obbiettivo di scrivere in francese per il teatro nazionale parigino. «Negare gli influssi su di lui di questo genere sarebbe impossibile a chiunque. Influssi fondamentali. I quali provengono da una serie di compositori, dei quali Meyerbeer è uno, seppure dei più ragguardevoli … nei giudizi sul collega, al quale tanto sarebbe sopravvissuto e che proveniva da una generazione precedente alla sua, Verdi si mostra sempre rispettoso e sovente elogiativo … (Verdi) non sopportava quel che considerava d’eccesso di réclame con il quale Meyerbeer preparava le prime rappresentazioni … attestato anche da Berlioz …»
Verdi mette piede per la prima volta a Parigi il 1° giugno 1847. È in viaggio per Londra dove andrà in scena, il 22 luglio, all’Her Majesty’s Theatre, un’opera appositamente commissionatagli, I masnadieri, che avrebbe diretto di persona. «… (nell’ottobre 1846 Giuseppina Strepponi) prese casa vicino al Théâtre des Italiens, nella zona che Napoleone III avrebbe fatto diventare il Boulevard Haussman, in Rue de la Voctoire 13. Nella stessa via abita Rosine Stolz, di pochi mesi più anziana di lei, l’amante … di Léon Pillet, il direttore dell’Opéra: mezzo soprano imperioso, era stata la protagonista della Juive di Halévy, della Favorite e del Dom Sébastien di Donizetti, La zona, detta … La nouvelle Athénes per il gran numero di artisti che vi vivevano.»
E viene il giorno del debutto a Parigi. Il 26 novembre 1847. Per il debutto, Verdi non scrive un’Opera interamente nuova, ma ricorre, com’era spesso d’uso a quei tempi, al rifacimento di un lavoro anteriore. Il 27 o il 28 novembre 1845 scrive a Piave: «Ho bisogno d’un maestro di lingua francese …».La sera del debutto, riceve un successo di stima: «A Verdi toccarono più condanne che lodi; basate sui soliti stantii argomenti adoperati a suo tempo contro Rossini e contro Donizetti …», ma su La Presse, Théophile Gautier (l’autore de Il capitan Fracassa) gli dedica un meraviglioso articolo di lode.
Quel 26 novembre inizia il tempo di Verdi a Parigi. Non mi inoltro ulteriormente, anche per lasciare ai lettori la gioia di scoprire come Paolo Isotta disvela i segreti del soggiorno, del lavoro, dei rapporti del Maestro con la città culturale, quella musicale e quella lirica. Questo Verdi a Parigi si iscrive a tutto titolo tra le cose migliori di Isotta che ha scelto una speciale missione: consegnare ai lettori opere sempre alte. Alta la sua penna, la sua prosa, la sua qualità letteraria, in una parola -e non desti stupore-, il suo genio.
*Da Italia Oggi