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Home Cultura

Focus (di P.Buttafuoco). Il ritorno della centralità della terra

by Pietrangelo Buttafuoco
9 Aprile 2020
in Cultura
11
La vendemmia del primitivo

Se nasce un bimbo o se muore un padre nulla e niente si ferma in campagna. La frutta, infatti, deve comunque essere colta, le capre – o le mucche – devono essere munte. E le pecore devono trovare un sempre nuovo andirivieni.

Gli animali non possono essere messi tra parentesi, non vanno in ferie e non conoscono Lockdown alcuno. Nel giorno della fine non serve a niente l’inglese: Coronavirus o meno, il latte reclama il bricco – altrimenti la bestia che lo produce va a morire – e così marcisce la frutta non colta o, ancora peggio, rinsecchisce tra i rami.

E davvero era un segno di dannazione, giusto a febbraio, quell’albero prossimo a gemmare ma carico di mandorle scheletrite: vecchie di un anno, ancora abbracciate alle loro scorze e però bucate dai tarli.

Un presagio di peste, quel grumo di mandorle morte impiccate tra le gemme vive: nessuno si era curato di fare la battitura in quel campo – questo era successo – e quel po’ di Ben di Dio si capovolgeva nella promessa di sventura.

Piantare alberi lungo il cammino è da sempre un viatico di salute – anzi, è un saluto – affinché non ci sia mai penuria; i rami che si allungano oltre i perimetri della proprietà non si potano mai, e mai vanno ripiegati all’interno, apposta per nutrire chi passa o chi si ferma per fare la foto al paesaggio: gli Erei, le Madonie e i Nebrodi che s’inghirlandano di ginestre, papaveri e margheritine per accostarsi a Etna, sempre imponente di malia.

È la terra di Cerere, madre di Proserpina, quella. La ragazza va e viene dalla bella stagione – e viceversa – alla vallata per vivificare sugli arbusti la linfa di cui si nutre il bisogno della gente. Le spighe sono prossime a maturare e quel mandorlo, oggi – sulla Strada statale 121 – ha già mutato i propri fiori nelle ghiotte e morbide drupe verdi.

È il morto che insegna a piangere e il presagio, dunque, è già decifrato: i frutti vivi sullo stesso ramo di quelli stecchiti significano empietà.

Ma nulla e niente si ferma. In quel punto c’è stata pioggia il 13 dicembre scorso per poi tornare il 25 marzo scorso, troppo poco per fare contento il massaro. Ma quel che si trova, si prende, sempre così ci si regola con le annate. E fare presto – adesso – significa come sempre, e però più di ogni altra volta, mettere mano alla zappa, governare i pascoli, dare dimora al fieno, vento alle spighe e la falce al grano.

Non si inverte la regola della ruota. Manco il tempo di chiudere la quarantena e si fa maggio, quindi giugno, ovvero la mietitura. Pare di vederle le ragazze, e i ragazzi con loro – tutti gli studenti che non hanno potuto finire scuola – precipitarsi alla volta dei poderi, in soccorso alle trebbiatrici, e così prendere la maturità al liceo della terra.

Per davvero, la vita dei campi, è tutta un’altra cosa. Può anche essere villeggiatura, la campagna; può perfino diventare una mistica dell’umanesimo ma come la talpa scava per se stessa, tra le zolle intrise del sudore della fronte, mai e poi mai potrà farlo per la storia.

Pare di vederli, tutti loro. Braccia restituite, tutte, all’agricoltura. La mobilitazione della gioventù, da subito, non può che essere contadina.

La terra, infatti, è la leva ultima e più inesorabile da cui l’umanità riscatta il proprio destino. L’applicazione immediata della tecnè è tutta di episteme agreste. Un diploma di perito agrario, già da subito, serve più di qualunque laurea in scienze della comunicazione. L’eterno andirivieni che resta, infatti, è quello di pane, paste e carne. È appunto ciò che rimane: il resto è scorie.

Da Il Fatto Quotidiano del 6 aprile 2020

@barbadilloit

Pietrangelo Buttafuoco

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Visualizzazioni: 0
Tags: agricolturaBarbadillobuttafuococoronaviruselogioTerra

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Comments 11

  1. guidobono says:
    3 anni ago

    Il Coronavirus sta facendo brutti effetti anche su cervelli normalmente eccellenti. State diventando tutti cavernicoli?

  2. Gallarò says:
    3 anni ago

    Buttafuò: avrebbe notevoli capacità e potrebbe essere un pensatore al di fuori degli schemi, purtroppo tiene famiglia anche lui. Lo stesso che diceva ‘senza Berlusconi avrei una cartolibreria ad Enna’ oggi invita a tornare a lavorare la terra. Io ci lavorai dopo la crisi del 2008 e non è niente di drammatico soprattutto per chi proviene da famiglie di origine contadina come me; il problema è che oggi il lavoro della terra ti costringe nella maggioranza dei casi ad una vita di sussistenza senza contare i disastri prodotti dal cambiamento climatico (caldo d’inverno, poca pioggia e poi gelate a primavera). Buttafuò continua a dirigere teatri a ingollare prebende grazie ai tuoi amichetti di centrodestra e astieniti da altro.

  3. Werner says:
    3 anni ago

    @Guidobono
    Perché è da cavernicoli pensare che bisogna recuperare l’agricoltura? Se non altro per avere autosufficienza alimentare, visto che ad esempio produciamo una quantità di grano inferiore a quello che ci serve. Qui ci vorrebbe la mano dello Stato, che deve sovvenzionare la nascita di aziende agricole per aumentare la produzione nel settore. Come ho scritto in un altro commento, la scuola di massa ha sottratto manodopera all’agricoltura, all’artigianato e all’industria. Abbiamo pochi braccianti agricoli, molti dei quali stranieri, e troppi laureati in scienze della comunicazione e giurisprudenza. Abbiamo più avvocati che clienti, di cui la stragrande maggioranza ignoranti e incompetenti, che potrebbero benissimo andare a lavorare nei campi.

  4. Fernando says:
    3 anni ago

    Non solo avvocati,ma anche dottori che oltre ad essere incompetenti abusano della loro posizione(usurpata)per rovinare persone.In Italia prima di ogni altra cosa bisognerebbe creare un’apparato giudiziario integerrimo,apolitico ed efficiente che non si faccia manipolare dai midia di parte,con organi di polizia anch’essa efficiente.Chi sgarra processo militare non so’se esiste ancora Gaeta o peschiera del Garda.Solo così si modifica il parassitismo Italico,il resto sono solo chiacchiere al vento..

  5. guidobono says:
    3 anni ago

    I nostri bisnonni in generale lavoravano la terra e scapparono per andare in città (a fine ‘800) o emigrare, per cambiare vita… Solo un pazzo può sul serio rimpiangere quella vita, dormire nelle stalle, il sudiciume, l’analfabetismo ancora diffuso, mangiare carne due volte all’anno, il vino annacquato, a volte aceto con acqua, una miseria nera…

  6. guidobono says:
    3 anni ago

    Fernando. Attenzione:dietro l’angolo ci possono sempre stare, in agguato, Andréi Vyshinski ed i gulag di Stalin e successori. Basterebbe che i gestori istituzionali della politica facesero il loro mestiere come fanno sostanzialmente dove vivo io senza eroismi e senza far meraviglie… Ma ci vorrebbe tanto per almeno tornare all’Italia di Andreotti e Rumor?

  7. Fernando says:
    3 anni ago

    Felice,dimenticavo gli avvocati di cui sopra,di valenza scadenti ovviamente con l’aiuto politico(come in tutti gli ambienti di comando)poi diventano giudici che usano la legge a proprio interesse partitico.poi se qualcuno sa scrivere benissimo,senza dire un ca..o e qui da noi c’è qualcuno di quelli allora diventa giornalista di grido.EX:Caselli..distrutto Andreotti pensa un po’ te..Potrei continuare…

  8. Giovanni says:
    3 anni ago

    È l’occasione per recuperare il progetto politico di creare un legame tra aziende e territorio che fu portato avanti da Adriano Olivetti

  9. Werner says:
    3 anni ago

    Ma ormai con i moderni mezzi tecnici e meccanici, coltivare la terra non è più come fino alla prima metà del XX secolo. Si può avere una produzione agricola sostenuta e con pochi addetti ma qualificati.

  10. Tullio Zolia says:
    3 anni ago

    Questo magnifico scritto suona al mio animo di giardiniere dilettante (da oltre 50 anni )come un peana . Grazie Buttafuoco ,che questa tua vena resti inesauribile finchè canti paganamente la Natura .

  11. guidobono says:
    3 anni ago

    Io ho lavorato in Olivetti. Quelle di Adriano Olivetti erano fantasie anacronistiche. Servivano semmai quando gli operai di Ivrea e dintorni ancora coltivavano (si fa per dire) la terra.

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