IRI, Istituto per la ricostruzione industriale. Si chiamava così la grande holding di proprietà dello Stato italiano. L’aveva voluta il capo del governo Benito Mussolini (1883-1945), il Duce, che fu promotore di una dura repressione contro la massoneria. Eppure, proprio il Duce volle che a capo del più grande ente economico e finanziario dello Stato italiano fosse messo, nel 1929, un uomo notoriamente socialista e massone. La logica del potere fa mettere da parte tutto. Dunque nel 1929, a presiedere l’IRI, venne insediato il casertano Alberto Beneduce (1877-1944). L’uomo aveva indubbie qualità di manager e di studioso (fu a lungo professore ordinario di statistica all’università). Il compito era arduo, perché si trattava di salvare il sistema bancario e industriale italiano, travolti dai postumi della grande crisi internazionale e da una scellerata gestione protrattasi troppo a lungo. Questi erano i personaggi e i fatti.
Altri fatti, di segno decisamente positivo, vennero invece dopo, e dimostrarono che erano state prese delle decisioni efficaci e vantaggiose per l’economia nazionale. L’IRI assorbì le grandi banche in crisi e anche molte grandi industrie nazionali, il cui fallimento avrebbe travolto l’economia del paese. Nel 1937 l’IRI, fondato come ente temporaneo, divenne per legge un’istituzione finanziaria permanente dello Stato. Ed ebbe quindi due grandi stagioni: la prima, che durò fino alla seconda guerra mondiale, e la seconda che vide la trasformazione dell’Istituto in una delle maggiori holding internazionali. Il grande sviluppo italiano dopo la seconda guerra mondiale vide come principali protagonisti proprio l’IRI e il neonato ENI. Esso era una nuova grande holding dello stato italiano, fondata da Enrico Mattei (1906-1962) nel 1953. Quando l’Italia, con l’ammissione al Group of 6 (1975) il G6 divenuto poi G7 e quindi ulteriormente allargato, fu riconosciuta come potenza economica di carattere mondiale, il settore pubblico della nostra economia controllava un numero di aziende superiore per capitali e fatturato complessivo a tutte quelle private. Nell’ambito dei paesi occidentali, si era trattato del più vasto controllo statale dell’economia.
Venne poi la stagione delle privatizzazioni. Incominciata nel 1990, essa ebbe il massimo sviluppo sotto i governi presieduti da Giuliano Amato, Carlo Azeglio Ciampi, Lamberto Dini e Romano Prodi. Con un governo Prodi venne ceduta anche la quota di maggioranza dell’ENI, che era rimasta ancora in mano al governo italiano.
La politica interpreta le necessità e le aspirazioni di un paese. Esso possono naturalmente mutare nel tempo. Alle esigenze seguite alla crisi del sistema bancario dopo il 1929 e alla successiva crisi verificatasi nel secondo dopoguerra, abbiamo fatto fronte, con risultati largamente positivi, mediante il sistema delle partecipazioni statali, che controllava le maggiori istituzioni finanziarie, bancarie e industriali. Oggi, con la diffusione del corona virus, una nuova crisi avvolge il nostro paese. In tale situazione, si avvertono già appetiti stranieri interessati a mettere le mani su parti del patrimonio nazionale, approfittando dei prezzi più bassi derivanti dalle gravi difficoltà del momento. In Spagna si sta verificando lo stesso fenomeno, ma il governo lì ha immediatamente reagito imponendo per legge, da un giorno all’altro, un limite massimo alle presenze di capitali stranieri nelle aziende e nelle banche del paese.
I risultati del salvataggio attuato mediante l’IRI si videro presto e perciò l’IRI venne trasformata da iniziativa a termine in struttura permanente per il controllo statale di settori chiave dell’economia. Adesso è sorta all’improvviso una nuova emergenza. Essa induce a superare steccati ideologici, concettuali e interessi particolari, allo scopo di far fronte comune a difesa dei vitali bisogni del paese. Occorre fare quadrato per difenderci contro eventuali appetiti stranieri di comperare a buon mercato parti vitali del patrimonio nazionale.
*storico dell’Unievrsità di Bari
Idea giusta quanto affascinante, ma al contempo irrealizzabile, perché l’Italia non ha una moneta sua e dal 1981 non controlla più la sua banca centrale.
Altri tempi, altro Stato, altra situazione monetaria, altri uomini, una diversa voglia di lavorare… Oggi, al tempo di Di Maio, Casaleggio, Fico, Landini ecc. tutto andrebbe in malora ben presto!