Da pochi giorni il ‘Dantedì’ è fissato: il 24 marzo di ogni anno. Diverse istituzioni culturali cominciano a progettare iniziative per i 700 anni dalla morte del poeta. I programmi editoriali sulla ‘Divina commedia’ abbondano: in questi giorni ‘Famiglia cristiana’ propone i sublimi canti in edicola. Poi c’è il musical sul viaggio dantesco programmato nei teatri italiani per il 2020. In questo clima, ecco una pubblicazione Iduna, ‘L’idea imperiale di Dante’ di Ezio Flori, un’opera focus sullo scrittore del ‘De Monarchia’, sul poeta appassionato di politica. Il ritrovato testo di Flori, edito per la prima volta nel 1921, è riassuntivo: numerose interpretazioni sono esaminate per condurre “il lettore ad una visione esatta e obiettiva dello spirito che anima il poeta”, come scrive Mario La Floresta nell’introduzione.
Flori mette al centro la visione meta-politica di Dante. Libera il pensiero del grande fiorentino da intenzionalità immediate: per troppo tempo han fatto delle idee del poeta un serbatoio inadatto di visioni politiche. Già il vecchio Carducci rammenta di non pensare a Dante come ad un antesignano dell’unità d’Italia. In questo senso il saggio Iduna è utile, perché sottolinea che, nel grande fiorentino, la politica è tensione etica, è ricerca dell’exemplum, è necessità di disporre di una superiorità politico-morale.
Anche se i dantisti insegnano che il poeta rimane politicamente incerto nelle azioni: comincia come guelfo democratico e finisce come ghibellino pro Arrigo VII, tuttavia, il suo significato politico è certo e Flori lo fa spiccare, vale a dire: Dante appartiene “alla parte conservatrice del popolo vecchio”, non si fida del comune, sa che le signorie sono corrotte, il suo ideale è il passato. Così l’acuto critico letterario Flori aiuta a comprendere il ‘manifesto conservatore’ di Dante per giungere all’esito critico, “Sotto qualsiasi altra forma di governo – sempre secondo Dante – la libertà non è intera; tante forme indirette (obliquae), ossia la tirannide, l’oligarchia e la democrazia, che tengono servo il genere umano, quanto le altre dirette, ossia reami, ottimati e Comuni (libertatis zelatores) hanno interessi particolari.”
All’Italia arruffona, litigiosa, frammentata, Dante contrappone la monarchia universale, ossia il super-potere che avrebbe mantenuto “con la sua autorità la pace, la concordia tra i vari stati.” Il poeta vive la guerra civile, prova i morsi della violenza italica, non può che sperare in una soluzione super partes, la soluzione imperiale tedesca; per questo, in una magnifica biografia del 1964, Cesare Marchi scrive che l’Alighieri sarebbe stato considerato un collaborazionista, un reazionario, nel Novecento.
Il saggio si accorge, già dal 1921, che questo pensiero politico è stato letto come una specie di ‘compromesso storico’ tra Impero e Chiesa. Invece Cesare non guarda a Pietro, anche se Cesare diviene attuatore del disegno divino. Flori mette ordine ad alcune interpretazioni del pensiero dantesco: polemizza, con ‘La civiltà cattolica’, per tornare piuttosto a leggere la regalità del potere; ma, fondamentalmente, per tornare all’etica di un poeta medievale, di un uomo che soffre per la sua Firenze, per la sua piccola e grande patria.
Il ragionar di Flori si sofferma “sulla coscienza politica nei riguardi in particolar modo dell’Italia” e spiega che, nell’Alighieri, la coscienza italiana “non era né completa, né perfetta, ma bensì coordinata, subordinata, anzi ad un’idea, ad un sentimento, per Dante superiore” e “questo sentimento è l’umanità”, quell’ umanità travolta dalla municipalità partigiana che lo esilia.
* ‘L’idea imperiale di Dante’ di Ezio Flori a cura di Mario la Floresta, Iduna, 20,00 euro Info: associazione.iduna@gmail.com
Lo facciamo studiare così a scuola il dante!
E pensare che uno dei tanti (inutili) organismi ONU vorrebbe bandire Dante, il padre della lingua italiana, perché “islamofobo”…