In questi giorni il mondo musicale ha subito una grave perdita. Il 6, a ottantotto anni, è scomparso Nello Santi. Era un direttore d’orchestra di straordinarie qualità: preparazione musicale, gesto, memoria, non gli mancava nulla. In ispecie, era un vero custode della Tradizione dell’Opera italiana. Uso Tradizione con la maiuscola, giacché sovente il vocabolo denota tutta una serie di cattive abitudini e di violazioni del testo che si tramandano diventando tradimenti. Nei suoi anni migliori, il rispetto del testo, in Rossini, Bellini, Donizetti, Verdi, a altri Maestri, era una delle sue preoccupazioni principali: doveva lottare contro l’opposizione o l’ignavia degli orchestrali e soprattutto dei cantanti. Alla Fenice, in anni lontani, aveva protestato persino Joan Sutherland … Inoltre, era un carattere amabilissimo e un grande battutista. Nato ad Adria, era rimasto uno spirito goldoniano. Ma s’era trasferito a Zurigo da una vita, aveva sposato una svizzera e da quel centro faceva i suoi giri internazionali.
Qualcuno, più o meno bene, lo ha commemorato, festival di San Remo permettendo. Vorrei qui raccontare un episodio che mi riguarda in relazione a lui. Infatti era uno dei pochissimi amici che io tra i direttori d’orchestra avessi. Nel 2002 aveva compiuto settant’anni, e al teatro di Zurigo si fece un concerto-festa in suo onore da lui diretto. Io mi ci recai per conto del “Corriere della Sera”, ove allora lavoravo, e gli feci anche un’intervista che suscitò molta sorpresa: spesso i direttori di grande talento sono considerati dei routiniers, e si tende a privilegiare i veri o falsi ”intellettuali”. Se ricordo che si faceva i difficili con un gigante come Oliviero de Fabritiis, che era capace di cogliere l’errore del cantante prima che si verificasse, correggendolo in anticipo, e che concertando a Napoli la Salome di Strauss protestò tre professori di celesta, cosa che non aveva fatto nemmeno Karajan….
Ero sceso nel delizioso Hotel Baur au Lac, che aveva ospitato anche Wagner. Al concerto cantava Carlo Bergonzi, settantottenne: era sempre un angelo! Ero in compagnia d’un amico napoletano, un otorinolaringojatra ch’è in realtà un clinico completo. Durante la seconda parte del concerto venni preso da una crescente angoscia, il cuore mi batteva all’impazzata. In breve, credetti di essere in preda a un infarto. Il mio amico mi accompagnò alla clinica universitaria. Alla reception mi chiesero la carta di credito, e se non l’avessi avuta potevo morire di fronte al bancone, non sarei stato soccorso. Avevo quella aziendale; la usai e poi il “Corriere” mi chiese il rimborso. Il medico di turno era una arcigna signorina la quale, per ragioni politiche, si rifiutava di parlare in tedesco o in francese, ma usava solo il dialetto locale, detto Schwyzertüütsch, o Svizzero tedesco. Quindi, se avessi davvero avuto un infarto, potevo morire anche alla seconda tappa. San Gennaro volle che ci fosse un’infermiera di Battipaglia. Il dialogo si svolse con lei che mi faceva da interprete. “Bella figliò, dice vicino a sta stronza ca me fa male ‘o core…”. “Nun ve capisco bbuono, parlate cchiù facele!” Mi misero l’ossigeno, mi diedero qualcosa, e dopo un paio d’ore me ne potetti andare. Avevo recitato una parte di Molière, Le malade imaginaire. Santi e Bergonzi mi aspettavano ancora, inquieti all’uscita del teatro. Poi il Maestro cucinò a casa per me e il professor Piantedosi. Se debbo essere sincero, mi auguro che la dottoressa agit-prop abbia preceduto nella tomba il grande direttore, sebbene fosse giovane.
*Da Il Fatto Quotidiano del 12.2.2020