Chi merita di essere ricordato nella storia? Quali le eredità più meritevoli di continuare a tracciare i percorsi, seppur in nuove dimensioni? Dove un insegnamento che non sia stato solo di parole ma di fatti, realtà, storia?
Ci siamo chiesti tutto ciò non appena abbiamo appreso la notizia della scomparsa di Giovanni Cantoni (1938-2020).
Ancor di più ce lo chiediamo nel momento in cui ci hanno chiesto di scrivere qualche nota dedicata al grande pensatore cattolico.
Ecco, pensatore cattolico. Una definizione che troviamo perfettamente attagliata al caso umano e spirituale di Cantoni, fondatore di Alleanza Cattolica, scrittore e studioso di altissimo livello, padre culturale di diverse generazioni di intellettuali, ricercatori e polemisti italiani (e non solo).
Cattolico perché innamorato delle verità della sua fede. E non di meno pensatore. Dove il pensiero risiede nell’invidiabile capacità, quasi manageriale da parte di Cantoni, di organizzare il sapere, muovere autentica cultura (attraverso libri famosi e riviste prolifiche e di successo), smuovendo convinzioni arbitrarie figlie di stagioni oggi in completa fase di rivisitazione (anche quando non sembra).
La stagione era quella conciliare, legata alla grande assise che, nel corso del XX secolo, volenti o nolenti, ha cambiato la chiesa.
In questo frangente, il pensiero di Cantoni è stato compiutamente cattolico.
Un pensiero che non si vergogna del dogma, anzi: lo richiede esplicitamente come accettazione serena di un mistero che ci precede e ci sovrasta.
Una visione del dogma estremamente libera e liberante, lontana anche dai contrari e però convergenti nemici dell’autorità e del principio della gerarchia: un qual certo superomismo arbitrario ed individualista, da una parte, una visione democraticista e svilente, dall’altra.
Ascesi altra sua parola chiave. E così dottrina, preghiera, tradizione.
Una su tutte: controrivoluzione. “Il contrario della rivoluzione”, amava sempre ripetere. Non una rivoluzione di segno contrario.
Una storia biografica e politica, quella di Giovanni Cantoni, che davvero riassume i segni di una personalità di assoluto rilievo per un mondo inumanamente troppo presto messo all’indice e che poi ha trovato, in alcuni aspetti dei pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, alcune consonanze di vedute e sensibilità particolarmente stimolanti (senza per questo intaccare mai la fedeltà al Pietro regnante).
Cantoni anche come padre di generazioni dall’afflato politico, costrette a trovare una casa per non sfociare nell’antipolitica. Ed ecco che Cantoni scrive sul Secolo d’Italia, quel quotidiano di un partito, il Movimento Sociale Italiano, casa di molti anticonformisti anche sul piano religioso cattolico. Primo Siena e Piero Vassallo gli altri nomi che ci vengono in mente.
Ma la temperie fu ampia: vasto il panorama culturale e teologico -diciamo anche in certi casi mistico-spirituale- del dissenso cattolico “da destra”.
La scuola che, ad inizio secolo, era stata di Domenico Giuliotti, Adolfo Oxilia, Attilio Mordini, trova poi, nella delusione postconciliare, diversi referenti visti ed intesi come esiti, in studio e pensiero, estremamente critici di quelle posizioni ormai ufficiali della chiesa cattolica.
I nomi sono quelli –chiaramente in fasi e stagioni diverse- dei padri Cornelio Fabro e Raimondo Spiazzi, Romano Amerio, un certo Augusto del Noce (nel senso di una parte del pensiero di –fondamentale il suo “Il problema dell’ateismo”-), persino una lettura dei testi del grande teologo Romano Guardini –di origine italiana ma poi di lingua tedesca-.
A livello ecclesiale non si può non citare il cardinale Giuseppe Siri, per ben 41 anni arcivescovo di Genova, più volte considerato come giunto ad un passo dal papato. Ci perderemmo nell’analisi di tutta questa area del cattolicesimo italiano del XX secolo. Si potrebbe parlare della disputa relativa all’accettazione dell’idealismo da parte di questo filone di pensiero. Possibile, cioè, conciliare l’attualismo di Giovanni Gentile con il cattolicesimo? È convinto da sempre di sì proprio Piero Vassallo. Ma le pagine del Secolo d’Italia, fino anche agli anni Duemila, sono sempre state intrise di un pensiero cattolico “forte” (dal nome della rubrica settimanalmente aggiornata e a cura proprio di Alleanza Cattolica). Insomma, in tutto questo mondo, Giovanni Cantoni è stato un indubitabile e grande punto di riferimento.
Si è appena detto del pensiero forte.
Cos’è stata la “sua” rivista “Cristianità” –coraggiosa sin dal nome della testata- se non proprio l’oasi di studio, in scienza e coscienza, ma poi spazio anche di coraggio ed ardore in un momento in cui i cattolici ufficiali sembravano cedere ai compromessi di natura relativista? Un periodo in cui il famoso “pensiero non cattolico”, di cui parlò con dolore Paolo VI, penetrò nella chiesa.
E poi papa Montini ebbe parole durissime su quel che, dopo la grande assise conciliare, era successo al mondo cattolico.
Una linea di decadenza che arriva fino alle oscene parole di un porporato molto influente ed ascoltato (dai laici e dai non credenti), parole secondo cui la chiesa sarebbe “indietro di duecento anni”. Detto poi dalla stessa dimensione da cui, spesso, si criticano i segni del nostro tempo, visti come emblema dell’egoismo e dell’indifferenza. Poi però si invita ad adeguarci a tempi così.
Gesù è venuto per cambiare tutto, portando un comandamento “nuovo” rispetto al mondo ed invece il biblista Martini ci disse che il mondo aveva ragione e la chiesa, ovviamente, torto. Rispetto per la memoria della figura del cardinale ex arcivescovo di Milano, parole però estremamente inquietanti.
Ma è anche esistito, occorre dirlo, un ripensare il Concilio stesso (meglio: il post-Concilio). Si pensi alla genesi del pensiero di Joseph Ratzinger, non certo ancora Benedetto XVI. È l’epoca in cui nasce la rivista “Communio”, sorta dalla separazione da “Concilium”. Quello stesso Ratzinger che, da pontefice, chiarì la corretta interpretazione del Concilio Vaticano II, con il ricorso alla felice espressione della “ermeneutica della continuità”.
Come non citare anche la drammatica situazione dell’evidente decadimento della liturgia, in preciso stile antropocentrico e slegato dalla centrale questione del “culto”? Ebbene, Cantoni aveva previsto tutto ciò già molto prima rispetto al mainstream cattolico ufficiale, specie italiano, della seconda parte del secolo. Aree di cultura e pensiero che, a dirla tutta, certe cose faticano ancora a concepire. Cantoni, no: vide, capì, parlò. Lesse i tempi.
In questo senso, il suo pensiero, esplicitato in libri culto per molti ragazzi (e non) dell’epoca, vive un’attualità incredibile.
Al di là di ogni visione ecclesiologica e di tutte le differenze possibili, non si può non cogliere, quantomeno, la cogenza di una polemica, soprattutto dopo l’elezione di papa Francesco.
Eppure, nonostante questo, la morte di Giovanni Cantoni è passata quasi sotto silenzio, a partire dallo stesso mondo cattolico. Tutto sommato, forse, è persino giusto così. Un silenzio che non sorprende, malgrado quella stessa cogenza. Perché non sorprende?
Perché “esser profeta significa conoscere ben più che il futuro: il più profondo presente”, scrisse Ernst Jünger. Oggi chi volete mai che si fermi a comprendere, non diciamo il futuro, ma almeno il proprio, nostro presente? Giovanni Cantoni previde il futuro, cioè il nostro attuale tempo, non perché avesse particolari doti divinatorie ma perché capì, straordinariamente, il suo tempo. E ce ne parlò.
Dunque, tornando al nostro interrogativo di partenza, per questo grande tracciato di verità, figlio di un irrinunciabile apostolato culturale, Giovanni Cantoni di sicuro merita di essere ricordato e sempre sarà ricordato.