«Crediamo che la tematica ambientale debba costituire un pilastro fondamentale della politica del futuro governo per superare la logica dell’emergenza e dell’improvvisazione che ha caratterizzato l’Italia in questi anni… Dunque non più la collettività che rincorre un problema creato dal produttore per metterci una “toppa”, spendendo soldi senza riuscire a risolverlo seriamente, ma una produzione fin dall’inizio “pulita” che viene per questo premiata.» Così scriveva Paolo Colli in un articolo pubblicato su il Secolo d’Italia del 29 marzo 1994, nel quale, per orientare i comportamenti verso scelte e modelli ecocompatibili, chiamava a collaborare responsabilmente le tre componenti del processo economico: la pubblica amministrazione, le imprese e i cittadini-consumatori. E concludeva profeticamente: «Certi partiti politici in Italia sono stati un pilastro del peggior modello di sviluppo: data per scontata l’equazione benessere=grande produzione industriale, sono stati avallati megaimpianti industriali, costruzioni autostradali al solo scopo di far prosperare il clientelismo, il voto di scambio e la circolazione delle tangenti. Una “strategia” che continueremo a pagare per molti anni ancora e non solo in termini ambientali, ma anche occupazionali.» Il pensiero corre immancabilmente all’ILVA di Taranto. Nel 1994 nell’assemblea di Montevarchi viene sancita una volta per tutte l’autonomia dell’associazione rispetto a tutti partiti. Non sono solo parole. Dopo il primo discorso del presidente del consiglio Berlusconi in cui si affermava che per favorire la crescita si dovrà «attendere per affrontare i problemi ambientali», Fare Verde polemicamente organizza proprio alla Camera dei deputati un convegno dal titolo “L’ambiente non può attendere” nel quale stigmatizza «un concetto di sviluppo che ci porta al collasso ed una tutela dell’ambiente condannata a rincorre i problemi anziché prevenirli.» (in L’ambiente non può attendere, p. 3) e dà indicazioni sommarie ma precise su come affrontare varie questioni, dall’energia ai rifiuti, dai trasporti alle risorse idriche, dal patrimonio boschivo minacciato all’informazione al pubblico. E in un’intervista apparsa su l’Europeo del settembre 1994 intitolata “Caro camerata anche a noi neri piace il verde” Paolo Colli andava giù pesante contro l’allora ministro dell’ambiente Matteoli: «Troppe chiacchiere. Nessuna attenzione per le vere emergenze. E una cultura superliberista.»
Verissimo. Ma su tutte queste tematiche, a destra come a sinistra, è molti più facile far chiacchiere che prendere decisioni concrete. Anche perchè le decisioni si scontrano con serie difficoltà e molteplici interessi sindacali, occupazionali ecc. Ed allor avanti con la retorica, con le solite squallide ‘gretinate’, con l’auto elettrica, i monopattini, la criminalizzazione del diesel (ma solo per le auto private…), i divieti di circolazione ed altre idiozie. Anche perché bisognerebbe uscire dai ‘Dogmi’ di Kyoto e seguiti: che l’inquinamento sia la causa del ‘riscaldamento globale’. L’inquinamento è un male di per sé, ha mille cause (la prima, l’eccesso demografico con i suoi bisogni), ma nulla scientificamente prova che sia la causa del ‘cambio climatico’, che è sempre ciclicamente avvenuto.
Basta con la vulgata di Kyoto, uguale o peggiore della vulgata resistenziale antifascista!