“C’era una volta, in un comune dell’Italia centrale, un sindaco, senza macchia né paura, pronto a risollevare le sorti (economiche) della città”. La storia recente di Parma potrebbe incominciare così, raccontando l’ascesa al trono cittadino del pentastellato Federico Pizzarotti. Quel giorno di maggio del 2012 i grillini erano ebbri di gioia: avevano conquistato il loro primo capoluogo di provincia e avrebbero fatto vedere a tutti “come si fa”. C’era da lavorare seriamente per rimettere in sesto un comune amministrato maluccio dai politicanti e che rischiava grosso dopo l’ultima amministrazione di centrodestra. Lui, il cittadino/portavoce Pizzarotti, era l’uomo giusto e avrebbe guidato una squadra in grado di colmare il buco di bilancio di circa 800 milioni di euro messo insieme dalle amministrazioni precedenti. Altra politica; altra storia.
Oggi, poco più di un anno dopo, chi avrebbe dovuto organizzare al meglio il risanamento di bilancio si sfila: l’assessore Gino Capelli dice basta e il vassallo grillino di Parma è costretto a rimettere mano alla sua giunta. Poco male, se non fosse che Capelli aveva una delega così pesante da essere la più importante per Parma: il futuro della città, infatti, si gioca tutto sul risanamento economico e l’ex assessore era stato scelto con cura, dopo lo studio di decine di curricula. «Prima che chiunque speculi – ha detto Pizzarotti – ci tengo a specificare che la situazione è stata concordata insieme». Nessuna rottura, dunque, ma solo motivi personali: Capelli vuole tornare a lavorare per sé a tempo pieno e si è affrettato a lasciare al suo successore – scelto insieme al cittadino/portavoce Pizzarotti – una lettera con l’elenco dei “successi” raccolti nel primo anno di giunta a 5 stelle. «I risultati – ha ammesso, però, Capelli – non sono stati quelli attesi», ma poco importa perché «la città è fortunata ad avere un sindaco come Pizzarotti».
Le dimissioni di Capelli, verrebbe da pensare, sono frutto legittimo dell’etica grillina applicata alla politica: chi il curatore fallimentare lo fa per mestiere può sacrificarsi, certo, per il bene collettivo, ma alla fine non si capisce quanto valga la pena lavorare a tempo pieno seguendo gli austeri dettami di Beppe Grillo. E allora meglio lasciare spazio ad altri e tornare ad occupare le poltrone, meno prestigiose, ma più remunerative, del proprio studio professionale. Il cittadino/portavoce Pizzarotti, invece, ha avuto il compito di trovare il successore ed ha fatto una scelta coraggiosa, forse ardita: ha chiamato in giunta Marco Ferretti, docente all’università, con un passato da consigliere di quartiere eletto (niente meno) nelle coalizione che sosteneva Vignali, vecchio sindaco di Parma, del quale era – bisbiglia il Pd cittadino – “fidato consigliere”. Altra politica; altra storia, si diceva.
Ferretti si è calato a pieno in questa trama a 5 stelle ed ha annunciato che non percepirà stipendio alcuno, rimanendo a libro paga dell’università e poco importa se gli studenti avranno un Prof. a mezzo servizio: lo chiede la collettività. Ecco che il bluff grillino è svelato e questa storia, che partiva con il sindaco senza macchia né paura, diventa l’esaltazione del doppio incarico e dello stipendio sicuro. Per gli altri non c’è spazio in questo racconto e si dovranno accontentare di guardare, da lontano, il finale che è, ancora, tutto da scrivere; anche se nessuno crede più al “vissero felici e contenti”.