Montevideo, domenica 17 dicembre 1939. 250.000 persone, si calcola, assistono alla fine del Graf Spee, dalla Rambla costanera, dalla Escollera Sarandí, dalle terrazze delle case (la popolazione di Montevideo è di forse 750.000 abitanti, non ci sono censimenti recenti). Gli occhi del mondo sono fissati su quella remota capitale sudamericana. Era la seconda, ed ultima volta, che l’ episodio d’un conflitto mondiale lambiva le fredde acque dell’Atlantico meridionale.
Destino d’un nome. La squadra comandata dal Conte (Graf) Maximilian von Spee (1861 –1914), l’ammiraglio che prestò servizio nella Kaiserliche Marine, dopo la battaglia di Coronel al largo delle coste del Cile, il 1º novembre 1914, decise, l’8 dicembre 1914, di attaccare la base di rifornimento di Port Stanley nelle isole Falkland/Malvinas, senza sospettare che il mese precedente i britannici avevano lì inviato due moderni e veloci incrociatori, l’ Inflexible e l’ Invincible, per proteggere le isole; nella base navale si trovavano pure altri cinque incrociatori. Nella battaglia che ne seguì, la nave ammiraglia di von Spee, la Scharnhorst – assieme alla Gneisenau, la Nürnberg e la Leipzig – venne affondata, con la perdita di circa 2.200 marinai tedeschi, compreso lo stesso von Spee ed i suoi due figli, Heinrich e Otto. Solo la Dresden riuscì a fuggire, per essere successivamente distrutta in combattimento.
L’opinione pubblica dell’Uruguay era, nel 1939, ampiamente ostile alla Germania, considerata l’aggressore della Polonia, primo passo per sottomettere il mondo al verbo del III Reich. La dirigenza locale, spesso massone, prevalentemente francofila ed anglofila, era tenacemente legata alla concezione della democrazia parlamentare rappresentativa. Così l’intelligenza e quasi tutta l’informazione giornalistica, che determinavano il consenso popolare e pure il quadro politico, allora egemonizzato fondamentalmente dal settore ‘colorado-baldomirista’ (era Presidente il Gen. Arch. Alfredo Baldomir), appoggiato da quello ‘blanco independiente’. La demonizzazione della Germania datava dall’epoca guglielmina, dalla WWI, e si era rafforzata dopo le Leggi di Norimberga del 1935. La collettività tedesca dell’Uruguay aveva un alto profilo socio-culturale, ma era numericamente ridotta. Quella italiana, ben più consistente, era invece già divisa tra filofascisti ed antifascisti, questi ultimi rafforzati dall’arrivo di esponenti della nostra collettività ebraica (compresa Margherita Sarfatti), dopo l’adozione delle infauste Leggi Razziali nel 1938.
L’epopea della potente nave corsara giungeva in ogni caso alla fine. Nella mattinata del 17 dicembre il personale incaricato della distruzione cominciò la sua opera, che venne ultimata intorno alle ore 12:00. Alle 18:00, con a bordo il comandante Hans Langsdorff, il Graf Spee si allontanò dal molo portuario, seguito dal mercantile tedesco Tacoma, que era internato nel porto di Montevideo da settembre, dall’inizio del conflitto. Una folla strabocchevole contemplava avidamente, con il fiato sospeso, la maestosa nave, lunga 187,9 m., della quale ignorava la sorte. Armati di binocoli, alcuni pregustavano di poter assistere ad una autentica battaglia navale, il più grande spettacolo del mondo!
A bordo erano però rimasti solo 43 marinai. Doveva essere uno spettacolo eccitante e curioso per un noioso pomeriggio domenicale, già caldo, essendo l’inizio dell’estate australe. Poco dopo le 19:45 il comandante Langsdorff abbandonò la nave; fu l’ultimo a farlo. Alle ore 19:52, mentre gli incrociatori della Royal Navy si erano avvicinati per contrastare l’eventuale sortita della nave nemica, i meccanismi ad orologeria innescarono una serie di fragorose esplosioni. L’incrociatore pesante germanico si trovava a circa 6 chilometri dalla Escollera Sarandí, in acque internazionali (a quel tempo 3 miglia nautiche, cioè 5,55 chilometri), di fronte a Punta Yeguas. Bruciò per quasi tre giorni. Gli inglesi cercarono poi di recuperare dal relitto, adagiato sui bassi fondali del Plata, alcuni dei suoi ‘tesori tecnologici’.
“L’Admiral Graf Spee era un incrociatore pesante della classe Deutschland che servì nella Marina da Guerra (Kriegsmarine). I tedeschi classificarono inizialmente le navi come corazzate (Panzerschiff), per poi riclassificarle come incrociatori pesanti (Schwere Kreuzer); i britannici, invece, le classificarono come ‘corazzate tascabili’ (Pocket Battleship). Impostata nei cantieri Marinewerft di Wilhelmshaven il 1º ottobre 1932, prima dell’ascesa dei nazionalsocialisti al potere, la nave rispettava più o meno il limite di 10.000 tonnellate di stazza (in realtà ne pesava 11,9) – imposto alla Germania dal Trattato di Versailles del 1919 – e venne varata il 30 giugno 1934 con il nome di Admiral Graf Spee, in onore dell’ammiraglio Maximilian von Spee, che morì nella battaglia delle Falkland/Malvinas. Venne ideato, insieme ai gemelli Deutschland e Admiral Scheer, con il piano di stivare quanta più possibile potenza e bocche da fuoco nel minor spazio possibile. Possedeva siluri e cannoni da 280 mm. (con gittata di ben 36 chilometri) e cannoni da 150 mm. Aveva una murata spessa 12 cm., come le grandi navi da battaglia, con lastre d’acciaio saldate a filo, per una riduzione notevole del peso; contava con otto motori diesel MAN doppia azione a due tempi, i primi motori diesel marini ad alte prestazioni, quando ancora la maggior parte delle navi erano alimentate a vapore; fu dotata di un sistema radar all’avanguardia e (nel 1938) di un congegno automatizzato di telemetria e guida al tiro per le torrette dei cannoni…Poteva anche contare con un idrovolante a catapulta. Il 21 agosto 1939 il Graf Spee salpò dal porto di Wilhelmshaven verso il sud dell’Atlantico al comando il capitano di Vscello Hans Langsdorff (che aveva assunto l’incarico nel novembre 1938), veterano e Croce di Ferro della WWI, discendente dalla migliore scuola di guerra di stampo prussiano. Di lì a pochi giorni, il 1 settembre, sarebbe scoppiata la seconda guerra mondiale. L’obiettivo della Graf Spee era d’intercettare ed affondare navi commerciali nemiche. Cioè una nave corsara, seguita fino al 6 dicembre dalla petroliera Altmark, come nave appoggio e per trasferire equipaggi catturati. Per farlo il comandante adottò misure per camuffare la propria identità come il cambiamento del nome, differenti tinteggiature e la posa di fumaioli e torrette di legno. Nelle prime tre settimane la nave rimase in mare aperto ad est delle coste del Brasile. Nel mese di ottobre l’incrociatore pesante abbandonò l’oceano Atlantico per dirigersi verso l’oceano Indiano, al fine di far perdere le proprie tracce ed alla ricerca di nuovi territori di caccia. Dopodiché fece nuovamente rotta verso l’Atlantico. Il 7 dicembre 1939 il Graf Spee fece la sua ultima vittima, il piroscafo Streonshalh, portando così il totale delle navi affondate a nove, per complessive 50.147 tonnellate di stazza lorda. Nelle sue azioni di guerra, Langsdorff si attenne alla Convenzione dell’Aia, cercando di evitare di far vittime; l’equipaggio dei mercantili venne sempre messo in salvo prima che questi fossero affondati”.
(cfr.https://it.wikipedia.org/wiki/Hans_Langsdorff;https://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_del_Río_de_la_Platahttps://it.wikipedia.org/wiki/Admiral_Graf_Spee).
Il comportamento umano e cavalleresco di Langsdorff gli fece guadagnare il rispetto di tutti gli equipaggi delle navi da lui affondate. Liberati all’arrivo a Montevideo, secondo le norme internazionali, alcuni presero poi parte alle esequie dei 37 marinai tedeschi morti (57 i feriti) durante la battaglia, sepolti nel Cimitero del Nord della capitale uruguaiana. La Battaglia del Rio della Plata, avvenuta il 13 dicembre 1939, fu la prima grande battaglia navale del conflitto. Il Graf Spee venne intercettato, al largo di Punta del Este, da tre unità della Royal Navy, al comando del commodoro Henry Harwood: l’incrociatore pesante Exeter (che, colpito, dovette presto ritirarsi dal combattimento), e gli incrociatori leggeri Ajax e Achilles. La quarta nave della formazione, la Squadra da Caccia G, l’incrociatore pesante Cumberland, era in riparazione alle Falkland, ma raggiunse poi l’Achilles e l’ Ajax, appostate nell’estuario del Rio de la Plata, il 16 dicembre.
Nonostante gli ordini di Langsdorff prevedessero di evitare il contatto con navi da guerra nemiche, il capitano scelse di accettare il combattimento, contando sulla superiorità di armamento della sua unità. Ma commettendo anche un errore fatale. Invece di sfruttare la superiore gittata dei suoi cannoni da 280 mm. – che consentivano di colpire senza essere sfiorato dal fuoco nemico – si avvicinò troppo alle navi britanniche, a portata del loro fuoco. Dopo un violento scontro nel quale tutte le unità coinvolte furono danneggiate, con molte vittime (anche il comandante Langsdorff risultò ferito, in modo non grave), le unità di Harwood costrinsero la Graf Spee a rifugiarsi nel porto neutrale di Montevideo, la notte del 14 dicembre 1939.
Alcuni storici argomentarono poi che il Graf Spee fosse ancora in grado di combattere. Altri sostennero, però, che la decisione di approdare a Montevideo fosse inevitabile, in quanto una cannonata britannica aveva distrutto i serbatoi di acqua dolce, privando quasi totalmente la nave della vitale risorsa, oltre ad una falla di circa due metri, prodottasi a prua, al di sopra della linea di galleggiamento, danni al timone e la messa fuori uso del montacarichi. Il Rio della Plata è inoltre molto infido, pericoloso per una navigazione senza pilota ed arrivare di notte al porto di Buenos Aires più complicato che a Montevideo. E con un equipaggio di oltre mille uomini, oltre ai 6 cittadini cinesi addetti alla lavanderia…
“Il Ministro degli Esteri uruguaiano, Alberto Guani, ricevette il 15 di buon’ora il Ministro Residente inglese Eugen Millington-Drake, del quale era amicissimo, e quello francese Gentil, i quali congiuntamente invocarono l’applicazione della convenzione dell’Aia, un permesso di sosta limitato a 24 ore. Su richiesta di Langsdorff, il Ministro di Germania Otto Langmann, già pastore evangelico, chiese contestualmente il permesso di restare due settimane, tempo giudicato necessario per riparare il Graf Spee. In seguito gli Alleati si dimostrarono più propensi a concedere un lasso di tempo maggiore, per permettere ad altre loro navi da guerra di avvicinarsi al Rio della Plata. Dopo che una sua commissione di tecnici ebbe visitato la nave, il governo uruguaiano concesse così al Graf Spee di rimanere in porto per non più di 72 ore – fino alle ore 20:00 del 17 dicembre – tempo giudicato sufficiente per riparare i danni più gravi; alla scadenza, la nave, in conformità alle regole internazionali, sarebbe stata posta in disarmo e l’equipaggio internato. Il 16 dicembre, alle ore 17:07, Langsdorff ricevette da Berlino il seguente ordine: “Nessun disarmo della nave e nessun internamento dell’equipaggio dovrà essere consentito; uscite da Montevideo e cercate di raggiungere Buenos Aires, combattendo sul Rio della Plata se necessario. Qualora ne foste assolutamente costretto, affondate la nave assicurandone la distruzione totale”. Accanto alla diffusione di false informazioni sulla consistenza della flotta britannica, che confermavano la sua convinzione che gli Alleati disponessero di numerose forze nell’Atlantico meridionale, il comandante Langsdorff si dovette scontrare con la manifesta ostilità dell’ambiente che circondava l’incrociatore: egli, infatti, venne subito informato dai tedeschi residenti a Montevideo che non avrebbe trovato alcun aiuto; l’unico cantiere disponibile, infatti, era di proprietà di Voulminot, un imprenditore uruguaiano di ascendenza francese, il quale, invitato a eseguire i lavori, oppose un secco rifiuto” (Ibid).
Questo il dialogo, nella sostanza, intercorso tra il capitano Langsdorff ed Alberto Voulminot, nella sede dell’impresa, come ricordato anni dopo da una congiunta:
‘Stabilisca Lei il prezzo’ disse il comandante in un perfetto francese, collocando sulla scrivania dell’interlocutore una cartella di cuoio aperta, con in bella vista un assegno in bianco, probabilmente fatto pervenire dalla Legazione di Germania. ‘ In nessun modo la mia impresa riparerà la sua nave’ rispose con enfasi Voulminot, nella lingua dei suoi antenati. ‘Mi venda allora ciò di cui ho bisogno’ replicò Langsdorff. ‘Capitano, è inutile, la mia impresa non riparerà il
Graf Spee, e neppure le venderà un solo pezzo’. ‘ “Faccia Lei il prezzo, qualunque esso sia, non c’è limite’ insistette il comandante tedesco, segnalando l’assegno. ‘Non è questione di denaro, ma di dignità’ replicò tagliente Voulminot. ‘Signore, Ella sa che io ho nella mia nave armi sufficienti per distruggere gran parte di Montevideo’. ‘Certamente, lo so, capitano. Ma so anche che lei è un gentiluomo e non lo farà’. Voulminot si alzò, restituì la cartella a Langsdorff e accompagnò l’ospite alla porta dell’impresa, allora situata in Avenida Rondeau e Nicaragua. Dopo la breve riunione, Alberto Voulminot ordinò di raddoppiare la custodia del deposito del bacino galleggiante, temendo un colpo di mano notturno dei tedeschi, per portarsi via i materiali necessari per le riparazioni urgenti della nave. Fino alla partenza del Graf Spee, Alberto Voulminot, armato di revolver, accompagnato da personale dell’azienda, pure armato, montò la guardia. Per capire le vere ragioni del secco rifiuto è necessario risalire al 1870, quando durante il suo processo di unificazione nazionale la Prussia invase l’Alsazia. A Colmar l’esercito prussiano uccise il nonno di Alberto, Adolf Voulminot Sutter, che in armi con altri giovani cercava di contrastare l’avanzata del nemico. Fu la prima vittima di quella guerra, pare. Con una gran tomba scolpita da Frédéric Bartholdi (l’autore della Statua della Libertà di New York) fu ricordato come un eroe a Colmar, tornata alla Francia nel 1918. Suo figlio, allora un bambino, per non compiere il servizio militare nell’Esercito Imperiale tedesco emigrò in Francia e poi al Rio della Plata. Prima a Buenos Aires, dove si dedicò alla fabbricazione della birra e, anni dopo, a Montevideo, dove creò un dique (bacino galleggiante per le riparazioni marittime). En 1939 chi stava al comando dell’impresa erano il figlio Alberto ed il nipote Carlos Alberto Voulminot Bonomi, allora un giovane studente d’Ingegneria.
(Da José Ortuz, Graf Spee, 27.XI.2016, in https://montevideoantiguo.net/index.php/hitos-historicos/graf-spee.html).
Questa la ‘verità ufficiale’. Sir Eugen Milligton-Drake (1889 – 1972), il potente Ministro Residente del Regno Unito si era anche attivato, dal canto suo, secondo un ben conosciuto copione di lusinghe e velate minacce? Chissà…Era comunque scattata la “trappola di Montevideo”, nella quale, spinto dalle circostanze, dalle scarse conoscenze di un Paese piccolo, ma nel quale il Rappresentante diplomatico del Regno Unito si muoveva come un proconsole, e forse dall’ingenuità di fondo, il capitano Hans Langsdorff si era cacciato.
Egli fece ritorno a bordo del Graf Spee alle ore 04:00 del 17 dicembre, comunicando agli ufficiali la sua decisione: avrebbe autoaffondato la nave nell’estuario del Rio della Plata, considerando un inutile sacrificio di vite umane il tentativo di forzare il blocco per tentare di far ritorno in Germania o di raggiungere Buenos Aires, ove comunque gli uomini del Graf Spee sarebbero rimasti internati sino alla fine del conflitto. L’equipaggio dell’incrociatore pesante venne trasferito su rimorchiatori argentini noleggiati, che si diressero verso Buenos Aires, dove si riteneva che l’ambiente sarebbe stato, in ogni caso, più amichevole di quello trovato a Montevideo. La capitale dell’Uruguay era tutto un pullulare di spie ed informatori inglesi, che riuscirono a generare, anche in Langsdorff, la convinzione che una gran flotta stesse sperando la malridotta nave corsara tedesca. La gran flotta di S.M. si riduceva, invece, agli acciaccati incrociatori leggeri Ajax e Achilles ed al vecchio incrociatore pesante Cumberland…
(Cfr. Léonce Peillard, La Battaglia dell’Atlantico, Mondadori, 1992; Diego M. Lascano, Admiral Graf Spee. Historia en imágenes del acorazado alemán, Buenos Aires, 1998; Basil H. Liddell Hart, Storia militare della seconda guerra mondiale, Mondadori, 1995; Hans-Jürgen Kaack, Kapitän zur See Hans Langsdorff, BRILL Ferdinand Schöning, 2019).
Il Graf Spee più che affondare, come sarebbe stato l’auspicio di tedeschi ed uruguaiani, si posò sul basso fondale limaccioso. E molto lentamente s’inabissò. Solo decenni più tardi il relitto scomparirà del tutto sott’acqua (posizione 34°58’20.17″ 56°18’5.92″ W). Giunto nella capitale argentina, il capitano Hans Langsdorff, oggetto di critiche aspre e qualificato un vigliacco, dopo avere esaurito le formalità con le autorità locali, tenne un breve discorso. Congedatosi dai suoi ufficiali, il 19 dicembre 1939 si ritirò in una stanza di albergo dove si suicidò, nelle prime ore del giorno 20, lasciando una lettera indirizzata al barone von Therman, ambasciatore di Germania a Buenos Aires, con la quale assumeva su di sé ogni responsabilità per l’accaduto. Secondo il codice antico, non scritto, dell’onore del mare non era ammessa un’altra conclusione.
La propaganda inglese e la stampa locale filoalleata diffusero la notizia “con la bandiera della Marina Imperiale tedesca avvolta sulle spalle”, a voler sottolineare la distanza dal nazionalsocialismo del popolare ufficiale, il che non corrispondeva a verità. Il capitano si sparò adagiato sulla bandiera da combattimento del Graf Spee, che, ovviamente, non era quella della Germania guglielmina! Sulla lapide della sua tomba, nel cimitero della Chacarita, vennero successivamente abrase le svastiche, per scongiurare che si convertisse in un altare neonazi…
Il comandante era nato a Bergen Auf Rügen, un’isola del Baltico, il 20 marzo 1894. Pure suo figlio Johann, ufficiale di Marina, morì nel conflitto, nel 1944. Lasciò una figlia di due anni, Ingeborg Langsdorff, poi sposata al dr. Ruediger Nedden, sopravvissuta e presente alle commemorazioni in onore del padre a Montevideo, in occasione dei 75 anni dalla morte, nel 2014. In Canada la città di Ajax gli dedicò una via nel 2007. Totale il silenzio in Germania!
Quando arrivai la prima volta a Montevideo, all’inizio del 1980, sapevo qualcosa della storia della ‘corazzata tascabile’ tedesca, così come del ‘maracanazo’ calcistico del 1950 e dell’incredibile impresa dei giovani sopravvissuti sull’aereo caduto nelle Ande nel 1972. Mi ricordavo pure di aver visto, parecchi anni prima, La battaglia del Rio della Plata (The Battle of the River Plate), un discreto film diretto da Michael Powell ed Emeric Pressburger nel 1956. I due registi erano anche produttori e sceneggiatori del film, che, lessi poi, venne candidato a tre Premi BAFTA, tra cui quello per il miglior film britannico. Una produzione certo non storicamente obiettiva, ma dignitosa.
Nella capitale rioplatense scoprii presto che tutte le persone allora cinquantenni, o più anziane, avevano assistito all’affondamento del Graf Spee, o affermavano di averlo fatto, quella calda domenica del 17 dicembre 1939! Mi toccò assistere a vivaci dibattiti nei quali distinti signori dai capelli bianchi, ammiragli ed alti ufficiali (allora l’Uruguay era governato da una compagine cívico-militar, dopo il golpe del 1973), trascorsi più di quattro decenni, continuavano a dibattere animatamente le alternative teoriche e gli errori del capitano Langsdorff, seppure tutti coincidessero sul suo spirito cavalleresco, sulla sua adesione al codice d’onore della Kriegsmarine e della ‘antigua marinería’ in generale.
Più tardi conobbi uno dei marinai rimasti in Uruguay in quanto feriti e ricoverati negli Ospedali Italiano e Militare nel 1939. Tre sorelle uruguaiane, figlie dell’ ingegnere tedesco Paul Claas, giunto per lavoro nel 1912, si erano sposate nel 1945, lo stesso giorno, con tre giovani marinai, dopo varie vicissitudini, per anni trattati o blandamente o come mostri…La situazione era molto peggiorata quando Uruguay ruppe le reazioni con la Germania, dopo Pearl Harbor, nel febbraio 1942, ed il Ministro Residente, Otto Langmann, dovette partire, lasciando i ragazzi senza protezione. Da allora essi vennero internati in una caserma di Sarandí del Yi, strettamente sorvegliati quali prigionieri di fatto.
Uno era ancora autista dell’Ambasciatore della Germania Federale. Un altro gestiva il “Club Alemán de Remo”, fondato nel 1922, una associazione civile dedicata ad attività sportive, sociali, culturali, ricreative, offrendo altresì una discreta cucina nel locale d’una viuzza presso il faro di Punta Carretas, il punto più meridionale del Paese.
Nel 2002 Lotte Claas racconterà al giornalista de “El País”, nel suo appartamento della calle 21 de Setiembre, in Pocitos, dove viveva da anni col marito Federico Adolph: ‘a Las Piedras risiede l’unico del Tacoma ancora in vita, un signor Johannson, molto perbene. Dell’equipaggio del Graf Spee rimangono mio marito, mio cognato sposato con la mia sorella più grande ed un altro, il cui nome ora mi sfugge. Sono gli unici tre’.
(http://historico.elpais.com.uy/04/01/13/ultmo_75653.asp?fbclid=IwAR2owZIVVcz).
Dando credito alle notizie giornalistiche del settembre 2017, l’ultimo sopravvissuto del Graf Spee sarebbe allora morto a Punta del Este, all’età di 101 anni: Hans Eubel, ingegnere idraulico tornato in Argentina nel 1949 (internato nell’Isola di Martín García e Sierra de la Ventana durante il conflitto) – dopo essere stato rimpatriato in Germania nel ’46 – lì lavorò in importanti opere pubbliche fino a che, nel 1981, venne a stabilirsi, quale pensionato, nella località balneare uruguaiana; presso il mare che vide la Battaglia del Rio della Plata nel 1939.
(https://www.elpais.com.uy/informacion/murio-uruguay-sobreviviente-graf-spee.html)
Ma un’altra vicenda ha attirato, ancora una volta, l’attenzione dei media sulla leggendaria ‘corazzata tascabile’. Il Graf Spee aveva a prua una grande aquila di bronzo, stringendo negli artigli una corona d’alloro con la svastica al centro, evidente nelle fotografie. Nel 2002 gli uruguaiani fratelli Etchegaray sollecitarono al proprio governo un permesso di ricerca, formalizzandosi un contratto in tal senso il 3 giugno 2003, ai sensi della Legge 14.343 del 1975, che prevedeva che il ricavato dalla vendita venisse, come ovunque d’uso, ripartito al 50% tra lo Stato ed i titolari del permesso di ricerca. Dopo 67 anni in mare, nel 2006 l’aquila venne così staccata dal relitto e portata a terra. 350 chili, alta 2 m. e larga 2.8 m. Dopo le prime immagini, che fecero il giro del mondo, la svastica venne presto ricoperta da una sorta di giallo ‘preservativo democratico’ di plastica…
Valutata, chissà come, 44 milioni di dollari in una possibile asta pubblica, da allora non se ne è fatto nulla, con opposte sentenze in tribunale. Perchè? I fratelli Etchegaray adirono la Giustizia sostenendo che lo Stato non rispettava il contratto in quanto deteneva, ma non faceva nulla per vendere l’aquila del Graf Spee, lasciandoli senza il convenuto risarcimento economico delle spese sostenute e nessun beneficio di sorta. Il governo uruguaiano manifestò, alquanto paradossale, opposto parere: erano gli Etchegaray a non rispettare il contratto, in quanto esso stabiliva che ‘tutto’ il relitto dovesse essere rimosso dalle acque del Plata, per sgomberare una buona volta un canale di accesso al porto di Montevideo, ciò che non avvenne!
(https://www.elmundo.es/internacional/2014/09/05/5409fcf222601d1c1a8b45a5.html; https://www.elobservador.com.uy/nota/gobierno-apelara-el-fallo-que-lo-obliga-a-vender-el-aguila-del-graf-spee-2019625135445).
Per il momento, da anni ormai, l’ ‘aquila nazista’, discretamente conservata, muto testimone di giorni travagliati, con quell’imbarazzante simbolo ben stretto, riposa in un deposito dell’Armada Nacional dell’ Uruguay. Valutando il comportamento finora tenuto dal governo uruguaiano, sembra assai difficile che inizi la commercializzazione del reperto. Contro tale ipotesi il governo di Berlino (desideroso che si parli il meno possibile del suo passato) e, naturalmente, la potente collettività ebraica dell’Uruguay, gli organismi di difesa dei diritti umani (!) ecc…
Sentiremo ancora parlare, credo, del Graf Spee.
bell’articolo! consiglio “gli dei del mare” di thaddeus v.tuleja longanesi