Tra piazza Farnese e via di Campo Marzio, nel breve arco di due assolati pomeriggi di giugno, si sono consumati due malinconici riti di commiato, anzi, di definitivo addio alla seconda repubblica. Ne sono stato occasionale testimone. Il primo, ai piedi dell’ambasciata francese, tra le provocazioni futuriste e vagamente dannunziane di Giuliano Ferrara e del suo pittoresco e agguerrito microcosmo libertario; una sorta di “Hyde Park Corner” de noantri; megafono improvvisato dell’estremo sussulto di indignazione per l’ennesima condanna “politica” di Berlusconi.
Il secondo, nel ventre del “palazzo” per antonomasia, a Montecitorio: una rimpatriata di maggiorenti della destra che fu, promossa da Donna Assunta, tra struggenti amarcord almirantiani e accorati appelli per un “ritorno ad Itaca”; emozioni insufficienti, tuttavia, a convincere quanti ritengono definitivamente chiusa la stagione dei traslochi o chi il nuovo “giocattolo” sostiene di averlo già creato e lo mette a disposizione di esuli ed orfani della vecchia fiamma, con ostentata generosità inclusiva.
I colonnelli ed i reduci del ventennio berlusconiano e della quarantennale parabola almirantiana e finiana, assediati da decine di astiosi cronisti e famelici fotoreporter, hanno gridato ed imprecato, additato ed accusato, rievocato ed invocato; senza rendersi conto, probabilmente, di concelebrare in due luoghi simbolo di quell’eterno rito ipocrita ed orgiastico che è la politica italiana, il “de profundis” di due mondi e due storie diverse miracolosamente assiemati, per anni, dal carisma e dal potere berlusconiani.
Adesso che il ciclo bio-politico di un uomo amato e odiato, osannato ed invidiato, santificato e maledetto, ma sempre geniale e protagonista, volge al termine, i generosi appelli alla piazza o i nostalgici ritorni di fiamma assomigliano sempre di più, purtroppo, agli ultimi guizzi di una candela che si spegne. È la seconda repubblica che se ne va, senza essere mai davvero nata e senza neppure un preciso certificato di morte: se ne va e basta, lasciando un vuoto che solo nuovi leader ed una nuova classe dirigente di uomini e donne “verticali” potranno colmare con un’idea di futuro coraggiosa ed innovativa, che torni a mobilitare la gente in nome della tradizione e della sovranità nazionale.
Ha davvero ragione ed indignazione da vendere il nostro Marcello Veneziani! La “ri-fondazione” (il termine “fondazione” evoca business ed appetiti inconfessabili) della destra italiana, se Itaca non c’è più o è troppo lontana per chi non ha più voglia di remare, faccia almeno tappa a Recanati, perché tutti insieme si rifletta e si capisca che nell’aria c’è bisogno di “qualcosa di nuovo, anzi, di antico”. Da Omero a Leopardi, passando per via della Scrofa (storica sede di AN e del glorioso Secolo d’Italia). Con un nodo alla gola. Nei tramonti romani.
*ex deputato di Alleanza Nazionale