Riempire i vuoti sentieri d’Appennino di giovani raminghi, con l’auspicio che non siano, una volta tanto, le persone a cambiare i luoghi, quanto piuttosto i luoghi ad aiutare le persone a cambiare. Costruire un programma di studio, di mobilità studentesca, che in qualche maniera ricalchi quello dell’Erasmus, ma che porti i nostri giovani a trascorrere tempo, settimane o mesi, facendo esperienza diretta d’Appennino, camminando, assaggiando, condividendo. Un Ramingus al posto dell’Erasmus: potrebbe avere un senso?
Perché ri-abitare l’Appennino e le aree interne dopo il grande abbandono del secolo scorso, dopo i terremoti, dopo la globalizzazione, non sarà un processo né semplice, né breve. Né saranno sufficienti misure di sostegno, come l’alleggerimento fiscale, o il reddito di ritornanza (che abbiamo di recente suggerito), buone forse per i pionieri, ma non per tutti.
Il ritorno in Appennino, se mai ci sarà, dovrà essere il frutto maturo di un mutamento culturale, da costruire passo dopo passo, lentamente.
Passo dopo passo. Ecco, chi cammina per monti lo sa: è solo camminando che si riesce a scoprire lo spirito di un luogo. È camminando che si ridiventa tutt’uno con l’ambiente, con la natura, con le nostre montagne, con la spina dorsale dell’Italia, dove tutto è iniziato e che oggi, più che mai, costituisce la sua più ampia e dimenticata miniera di senso.
Il nostro Paese, come altri in Occidente e non solo, vive nel paradosso di non-luoghi sempre più affollati (si pensi alle sterminate periferie urbane, o alle coste cementificate) e di luoghi abbandonati (come i nostri paesi d’Appennino), insieme alle loro storie, alla loro bellezza e all’anima che, unica superstite, ancora esita a volar via.
Far muovere i nostri giovani per le università e le città d’Europa con l’Erasmus è, potenzialmente, un’idea interessante. Per certi versi sarebbe invece dirompente consentire loro di assaporare la libertà (e i suoi limiti), la diversa consapevolezza del tempo che scorre, l’aria e il carattere dei borghi d’Appennino.
Farli essere raminghi per qualche tempo, in Appennino, in un’esperienza formativa forte e profonda.Come? Includendo questa viandanza, questo vagabondaggio, tra le esperienze di studio, curricolari. Facendoli seguire da guide specializzate, consentendo loro di spostarsi lungo i tanti cammini antichi d’Appennino. Tra le nostre montagne che un tempo erano attraversate da folle di uomini e di bestie. Far camminare dunque i giovani raminghi sulle tracce dei tratturi e delle transumanze che muovevano fino a cinque milioni di capi ogni anno e che coinvolgevano decine di migliaia di pastori, creando un’enorme economia. Sulle tracce dei mercanti, sulle vie della lana e dei commerci, sui sentieri dei pellegrini e dei malati verso Roma, o verso il Gargano, verso la Perdonanza celestiniana dell’Aquila o il Perdono d’Assisi.
Di tappa in tappa, come accadeva sulle vie d’Appennino, potrebbero trovare dei moderni “hospitales” ad accoglierli e degli ospedalieri moderni pronti a instradarli e a spiegare il senso del cammino, le sue regole e le sue libertà.
In questo modo, di conseguenza, si metterebbe in movimento una nuova economia di montagna, rinnovando la tradizione di ospitalità dei borghi appenninici.
I raminghi potrebbero così entrare in contatto con un modello di vita diverso da quello delle città. Conoscendolo direttamente avrebbero la possibilità di scegliere se applicarlo nelle loro future attività, nelle loro vite. Potrebbero dunque assimilare delle nuove e diverse possibilità e valutare in maniera differente il tempo concesso alle loro vite. Potrebbero anche decidere di trascorrerlo, questo tempo, in tutto o in parte tra queste montagne che tanto hanno insegnato nei secoli, solo che si sia disposti ad aprire gli animi.
I raminghi sono gli uccelli che, appena usciti dal nido e ancora incapaci di volare, saltano di ramo in ramo. E’ una bella immagine per pensare a una gioventù che si affaccia alla vita, con la voglia di saltare, anche pericolosamente e di mettersi in gioco, piuttosto che restare davanti a uno schermo. L’Appennino, comunque, è lì che aspetta, con pazienza.
In attesa di un Ramingus montano ai ggiovvani basterebbe smettere di ascoltare Fedez e banalità assortite e seguire un Giovanni Lindo Ferretti
Valter, quei giovani(in realtà più che altro giovanissimi) non sanno nemmeno chi è G.L.Ferretti e se lo sapessero non avrebbero le chiavi interpretative per poterlo ascoltare, per quelli invece over 30-40 che magari lo ascoltavano lui rappresenta semplicemente il “traditore”, non avendolo capito prima non lo hanno capito a maggior ragione dopo… Bello il suo legame con l’appennino, lo stesso appennino tracciato nell’articolo, lui ci ha scritto un libro:” Bella gente d’Appennino” nel 2009 e nel 2013 ne ha scritto un altro, “Barbarico” che invece è un omaggio all’Europa del all’Italia che non c’è più, una riflessione sulle nuove forme di comunicazione, sulle leggi dello spettacolo e della finanza che ci dominano e sulla necessità di ritrovare “un’estetica barbarica, vitale e sanguigna”, perchè dice Ferretti:”La mia fiducia nelle capacità e possibilità dell’umanità oscilla tra l’applicazione della regola benedettina: ora, lege et labora e il buon senso tradizionale. Non credo che telefonando, fotografando, in rete collegati ed informati cresca di un’oncia la meraviglia del vivere.
Sono vecchio, operando per lo più per reazione tendo ad essere reazionario. Montano per discendenza e per scelta, per contingenza da centocinquant’anni italiano ma sono italico da secoli e secoli e il futuro non è dato; cattolico romano in lotta perenne con un substrato barbarico, un sentire profondo che secoli di fede e devozione hanno contenuto, limato, educato ma, inutile mentire, affiora qua e là prepotente: occhio per occhio, dente per dente.”
Educazione. Anche vivere la montagna è educazione. Educazione al bello, al silenzio, alla ricerca della propria interiorità. Meno shoottini più bombardini….
Parziale OT – Chiedo a Stefano e agli altri se possono aiutarmi nello scoprire da quale testo è tratto il seguente scritto di Evola (riguardante la padronanza delle proprie emozioni e della vita psichica in generale). “If one day normal conditions were to return, few civilizations would seem as odd as the present one, in which every form of power and domination over material things is sought, while mastery over one’s own emotions and psychic life in general is entirely overlooked.” Lo riporto così come l’ho trovato.
Ma perchè la gente – non qualche anacoreta, studioso o ‘cavernicolo di ritorno’ – dovrebbe volontariamente tornare sull’Appennino vivendo come i bisnonni che l’han lasciato?
Paleolibertario lo stile sembra sicuramente quello del Barone, però non riesco a ricondurlo ad uno scritto in particolare anche perchè pur escludendo alcuni testi dove non potrebbe esserci è la tipica frase che potrebbe trovarsi magari in forme leggermente diverse in qualsiasi suo testo, e magari in più d’uno anche se personalmente non la ricordo in questa specifica forma, quindi sarebbe prima di tutto da verificare la fonte e la traduzione che ne è stata fatta visto che in inglese sicuramente è arduo riportare perfettamente il caratteristico stile di scrittura evoliano… comunque guarda io penso che questo passo non sia in uno degli scritti principali ma in qualche testo minore, e se devo scommettere su uno potrebbe trovarsi in “L’arco e la clava” che tra l’altro è una specie di raccolta di saggi, conferenze ed articoli pubblicati in precedenza… se magari puoi hai qualche altra informazione su dove hai trovato questo passo sicuramente può aiutare altrimenti è un pò complicato, ci vorrebbe un pò di tempo.
Paleolibertario,dovrebbe essere “la Dottrina del risveglio”.
“Se un giorno l’umanità,tornerà a condizioni più normali,poche civiltà le sembreranno così singolari quanto l’attuale…etc…”.
Esatto Wolf ottimo!
Stefano e Wolf, vi ringrazio, siete eccezionali. Ho trovato queste frasi in inglese e ho voluto riportarle in tale lingua perché magari una mia traduzione errata avrebbe confuso ancor più. Le frasi erano riportate da un utente di twitter non italiano e che non conosco (tra l’altro non sono iscritto a twitter e non mi voglio iscrivere).
Ciao, di nulla, sono lieto di esserti stato utile.
Guidobono, nessuno vuol tornare a vivere in Appennino come i trisavoli. Peraltro sarebbe impossibile. Invece è auspicabile che la modernità peschi in quella grande miniera culturale che è l’Appennino, qualche valore che restituisca senso all’esistere, in montagna o in città. Tutto qui…
Gianluca. Io credo che se uno non ci vive, le percezioni sporadiche che si può trarre da un posto, qualsiasi…valgono circa una visita virtuale tramite Internet… L’Appennino ha certo una grande storia culturale alle spalle, come infiniti altri luoghi, ma pretendere addirittura che ‘restituisca senso all’esistere’ mi pare chiedere troppo… Saluti!
Guidobono, dipende dalla sensibilità personale e da come riesci ad assimilare la narrazione di un luogo. In questo senso l’Appennino per l’Italia non è un luogo qualsiasi. È il luogo dove tutto ha avuto inizio, quello che ha segnato i caratteri dei nostri popoli per secoli. Mi piacerebbe invitarti a fare una passeggiata appenninica insieme per discuterne…
Gianluca. Grazie per l’invito. Ma vivo troppo lontano, a parte qualche acciacco… Lo stesso discorso degli Appennini vale per gran parte delle care vallate cuneesi, ad esempio. la loro cultura provenzale, franco-provenzale ecc. Spopolate. Ma chi ci possiamo fare? Sopravvivono alcune vallate con piste da sci, turismo estivo o invernale ecc. Ho ereditato un piccolo bosco in Val di Susa. Valore: zero assoluto!