L’eurozona, a partire dal 2008, vive una gravissima crisi economica, pari, per i drammi sociali che ha prodotto, solo a quella del 1929. Non ne siamo ancora usciti: gli indicatori dicono di una situazione di stagnazione, caratterizzata da una diffusa disoccupazione, da un aumento esponenziale del debito pubblico e privato e di una conseguente paralisi dei consumi. Il sistema capitalistico vive una crisi senza precedenti. L’immaginario collettivo, permeato dalla Forma-Capitale, resta ancorato al rapporto consumatore-merce, che Jürgen Habermas ha definito il «mattone fondamentale» del sistema capitalistico nell’epoca dei flussi finanziari. Nonostante il perpetuo «stato di crisi» nel quale viviamo, per dirla con Bauman e Bordoni, l’orizzonte della mercificazione universale appare ai più come invalicabile. Tale situazione socio-esistenziale è momento del fenomeno nichilista, per cui molti non avvertono neppure l’esigenza, ai fini di restituire dignità alla vita, di lasciarsi alle spalle lo sterile ruolo di «consumatori-consumati» dalla merce.
Assai utile risulta, quindi, le lettura di un recente volume di Montgomery Butchart, edito da Mimesis, Il Denaro di domani. Economisti eretici, arricchito dalla prefazione di Antonino Galloni, economista formatosi alla scuola di Federico Caffè (per ordini: mimesis@mimesisedizioni.it, pp. 211, euro 18,00). Si tratta di uno studio uscito, in prima edizione, alla metà degli anni Trenta. L’autore fu, in Inghilterra, promotore del movimento del Credito Sociale assieme a A. R. Orage. Da giornalista collaborò al The Townsman, ma si distinse per le antologie dedicate alla trattazione del tema del denaro, veri e propri classici degli studi economici di quel periodo. Il volume che presentiamo è una di queste sillogi. Raccoglie saggi dedicati alle teorie economiche non ortodosse, i cui autori sono eminenti studiosi della prima metà del secolo XX. Come opportunamente ricorda Galloni nell’Introduzione, negli anni Trenta, nel tentativo di dare una risposta efficace alla crisi del 1929: «le idee più avanzate di politica economica e monetaria hanno preso il sopravvento sulle idee tradizionali» (p. 7).
Ci si rese conto che, dopo il crollo di Wall Street, la domanda dei ricchi, non bastava a far ripartire il processo economico-produttivo, così come, fino ad allora era avvenuto, nelle crisi cicliche che Marx aveva detto essere esito dell’«anarchismo produttivistico». Solo l’intervento dello Stato, avrebbe potuto indurre la ripresa, avrebbe potuto far ripartire i meccanismi inceppati del mercato. Tale intervento doveva realizzarsi attraverso la spesa autonoma e in disavanzo dello Stato. Il problema che si apriva era, pertanto, la ricerca di tale capitale. In tale contesto emerse la risposta degli economisti «eretici». Essi ritennero che sarebbe stato necessario svincolare la moneta dalle riserve auree. Si evince dal secondo saggio della raccolta, Economia politica o la scienza del furto, firmato da Arthur Kitson, che l’Inghilterra, durante il primo conflitto mondiale, si salvò: «grazie all’emissione di banconote statali senza copertura aurea […] senza quella coraggiosa e necessaria azione da parte del governo, gli esiti della guerra si sarebbero potuti rivelare diversi» (p. 9).
Naturalmente, contro simile provvedimento si fecero sentire le critiche degli accademici ortodossi, al servizio permanente effettivo, del capitale finanziario. La moneta non «a debito» di Stato ha, infatti, lo scopo di evitare l’insostenibilità del debito legato ai tassi di interesse che, qualora non siano inferiori al tasso inflattivo, peggiorano, come è accaduto dal 2008, la condizione del debitore. Alle medesime conclusioni di Kitson, come mostra lo scritto che apre il volume, era giunto il più noto economista eretico dell’epoca, Silvio Gesell. Questi ebbe contezza che la grande crisi si era realizzata in quanto, a fronte di una crescita produttiva del 40% nel periodo postbellico, i salari erano cresciuti soltanto del 14%. I produttori si erano resi conto che il denaro esercitava uno strapotere incontrollabile rispetto alle merci prodotte dai loro sforzi lavorativi e dalla loro creatività: sarebbe stato necessario attribuire alla moneta lo stesso livello di deperibilità delle merci. Il «denaro libero», suggerisce Galloni, stando agli autori della silloge, lo si sarebbe ottenuto da una svalutazione programmata. Ciò accadde nella Germania degli anni Trenta, ma tale proposta ha grande attualità anche oggi, come ha mostrato l’esperimento del Simec, messo in atto dal prof. Auriti.
Negli altri cinque scritti, che si devono ad illustri e coraggiosi studiosi, tra i quali ricordiamo C. H. Douglas, F. Soddy e, soprattutto, lo storico dei movimenti socialisti G. D. H. Cole, vengono diffusamente discusse e attualizzate tesi consimili. In genere, per quanto attiene alle tematiche monetarie, si fa riferimento ad autori coevi alla Rivoluzione industriale, prevalentemente di scuola inglese. In realtà, al fine di rintracciare nella storia del pensiero posizioni contrarie al primato del denaro sul fattore lavoro e su quello umano, bisognerebbe guardare, e lo ricorda il prefatore, al mondo classico. Esemplari, in tale senso, le pagine aristoteliche sull’economia. Al suo fianco, sarebbe opportuno ricordare l’esperienza drammatica dell’allievo di Tommaso Campanella, Antonio Serra, che tentò di spiegare agli Spagnoli che la ricchezza è data dalle capacità produttive degli uomini e non dallo sterile possesso di metalli preziosi. Non fu ascoltato: l’esoso fiscalismo di Spagna impoverì il popolo del Mezzogiorno d’Italia, al punto da determinarne la rivolta. Serra finì in carcere e ne uscì solo nella bara.
Nel 1944, a Bretton Woods, Keynes chiese l’introduzione di una moneta virtuale, atta a dirimere gli squilibri commerciali tra i vari paesi, memore della lezione dell’economia eretica. La proposta non fu accettata per volontà degli Americani che, successivamente, durante il G7 di Tokyo del 1979, con il quale si pose fine al «Glorioso Trentennio», imposero che ogni paese sarebbe stato, da quel momento, unico responsabile della propria bilancia dei pagamenti. Il liberismo finanziario e globalizzante celebrò il proprio trionfo. Guardare alle tesi eretiche, risulta essenziale per lasciarsi la crisi alle spalle, in quanto attualmente le politiche monetarie, rispetto a debito e credito, perseguono scopi eversivi nei confronti dei benefici individuali e comunitari. Ciò comporta che la fluttuazione dei prezzi di beni e servizi sia sempre a scapito del bene comune, e ad esclusivo vantaggio di oligarchie sempre più ristrette. E’ perciò quanto mai necessario perseguire: «Il controllo pubblico del denaro e della politica monetaria» (p. 206), perché i prezzi dei beni tornino ad essere a beneficio dei popoli. Ciò sarebbe l’inizio di un cambiamento politico radicale.