Forse la coincidenza delle date (e persino l’assonanza dei cognomi) fa parte di uno strano gioco del caso. Oppure dietro c’è un disegno ben preciso, di quelli che dimostrano, per dirla come Marx, che «La storia la prima volta si presenta come tragedia, la seconda volta come farsa». Sta di fatto che il 16 giugno, giorno in cui si viene a conoscenza della singolare motivazione con cui un pubblico ministero di Aosta, tal Luca Ceccanti, ha chiesto l’archiviazione della querela presentata da CasaPound contro un consigliere comunale di estrema sinistra; non è un giorno qualsiasi.
Il 16 giugno del 1979 morì a Roma, dopo 19 giorni di coma, Stefano Cecchin, diciannovenne militante del Fronte della Gioventù. Venne sorpreso una sera, insieme con la sorella, da un gruppo di facinorosi di estrema sinistra, forse appartenenti alla vicina sezione del Pci (non verranno mai identificati). Rincorso, picchiato e buttato giù dal parapetto di un cortile in piazza Vescovio. Il 16 giugno dello scorso anno in quella piazza è stato intitolato un giardino pubblico in suo nome: «Vittima della violenza politica», recita la scritta nel parco, a pochi metri dal parapetto su cui perse la vita.
Il 16 giugno 2012, mentre Roma si prepara ancora una volta a ricordare uno dei suoi figli innocenti caduti in una stagione di delirio politico, su alcuni giornali e in rete, su siti social network, compare la notizia che arriva da800 chilometridi distanza, dalla lontana Aosta. Il pm Ceccanti ha chiesto l’archiviazione del procedimento penale per diffamazione, scattato su richiesta di CasaPound Italia, a carico di Paolo Momigliano Levi, ex direttore dell’istituto storico della Resistenza in Valle d’Aosta e consigliere comunale nel capoluogo per Sinistra per la città.
La querela era stata sporta in seguito ad una mozione presentata in Consiglio comunale lo scorso 17 gennaio dallo stesso Momigliano, il quale sottolineava la comparsa in città di «organizzazioni che si rifanno al fascismo» e che, pochi giorni dopo, portò quasi tutta l’assemblea a esprimere «preoccupazione per il radicamento di organizzazioni sostenute dalla destra extraparlamentare che possono turbare la civile convivenza». Il 10 dicembre era infatti stato inaugurato ad Aosta il primo circolo CasaPound della regione.
Ora, le dichiarazioni di Momigliano Levi, per quanto antipatiche e sicuramente faziose, non erano poi così pesanti. Nessuno si sarebbe stupito per una richiesta d’archiviazione motivata secondo un generico “il fatto non sussiste” o “non costituisce reato”, o magari facendole rientrare nel diritto di critica politica. Ma il dottor Ceccanti ci ha voluto mettere del suo. Ed ecco la frasetta che ha giustamente mandato su tutte le furie i ragazzi di CasaPound e chiunque abbia ancora a cuore la sopravvivenza del diritto e del principio di eguaglianza davanti alla Legge: «Nel nostro ordinamento le posizioni politiche legate al fascismo e al nazismo non meritano alcuna tutela».
«Alcuna tutela». Chiunque si richiami all’esperienza politica fascista (e CPI in effetti lo fa, anche se a modo suo e in realtà molto diverso dal modello storico-politico che conosciamo), a quanto pare può essere liberamente insultato, diffamato. E seguendo la logica del dottor Ceccanti, anche picchiato («Alcuna tutela»). E perché non sprangato, magari in uno contro dieci, come accadeva ai tempi di Francesco Cecchin? «Alcuna tutela», ci ripete il magistrato, fulgido servitore dello Stato. E dalle sprangate all’uccisione del nemico politico non ci passa poi molto, no? «Alcuna tutela». Fosse dipeso dal pm aostano, anche Francesco Cecchin non avrebbe meritato «alcuna tutela»; e con tutta probabilità così è stato: i colleghi romani del dottor Ceccanti di certo non ci hanno messo un grande impegno a scoprire gli assassini, ma se non altro non sono mai arrivati a codificare l’ineguaglianza della vittima davanti alla Legge.
La «Alcunatutela» del dottor Ceccanti non differisce poi molto dal vecchio slogan degli Anni Settanta (mai del tutto passato di moda, in realtà): «Uccidere un fascista non è reato». Se non per il fatto che a pronunciarlo, anzi a metterlo nero su bianco in un atto giudiziario, è un funzionario pubblico del Ministero di Giustizia, e non un guerrigliero tardo-marxista. Come ha sottolineato l’avvocato di CasaPound, Luigi Vatta, che si è opposto all’archiviazione, quella del pm è «un’articolata scomunica dell’associazione CasaPound Italia» attuata con «la medesima dottrina che, durante gli Anni di Piombo, venne esemplarmente sintetizzata nell’agghiacciante motto “uccidere un fascista non è reato”».
Ma forse quello del dottor Luca Ceccantiè stato solo un lapsus, un error calami che gli è sfuggito per stanchezza a causa dei soverchianti impegni che lo travolgono in una Procura di frontiera come Aosta. O forse, mentre scriveva la richiesta di archiviazione, pensava ad altro. Magari a un’altra archiviazione, che il gip gli ha respinto in questi giorni, per una presunta vicenda di maltrattamenti a scuola da parte di un’insegnante di sostegno. Oppure al cruento delitto di Saint-Cristophe, avvenuto sei mesi fa, nel quale un pensionato di 60 anni venne ucciso a coltellate nella sua abitazione. Polizia e magistrato che coordina le indagini, scriverebbe un cronista di provincia d’altri tempi, «brancolano nel buio»…