Il lascito teorico-pratico degli autori della Rivoluzione conservatrice è di grande rilevanza ed attualità. La necessità di costruire una visione del mondo atta a coniugare tradizione e modernità, per superare la post-modernità, è avvertita da molti come imprescindibile. In particolare, la concezione sferica del tempo e della storia, propria di diversi ambienti rivoluzionario-conservatori, in particolare dei gruppi nazional-rivoluzionari, si mostra sicuro punto di riferimento per quanti ipotizzano, nonostante le difficoltà del presente, una possibile fuoriuscita dalla condizione attuale. Tra le fila dei nazional-rivoluzionari va annoverato lo scrittore Ernst von Salomon, del quale recentemente è stata pubblicata da OAKS una nuova edizione dell’opera capitale, Un destino tedesco (per ordini: info@oakseditrice.it, pp. 277, euro 12,00). Il volume è arricchito dalla Prefazione di Adriano Scianca e dalla Introduzione di Gennaro Malgieri.
Un destino tedesco è, al medesimo tempo, l’autobiografia spirituale della Germania e del suo autore. Questi, nato a Kiel nel 1902, fu indirizzato dalla famiglia alla carriera militare. Tra le altre, frequentò a Berlino la Königlich Preußische Hauptkadettenanstaldt, prestigiosa Accademia. Ebbe parte attiva nel movimento dei Wandervoegel. Successivamente partecipò alla repressione dello spartachismo berlinese e, nel 1919, entrò a far parte del Corpo franco del capitano Liebermann, che operava nelle regioni baltiche contro l’Armata Rossa. Lasciò un ricordo indelebile di tali esperienze nelle notissime pagine de I Proscritti. In esse, come opportunamente rileva Malgieri, presentò speranze e delusioni di una generazione votata alla decisione per il cambiamento della nuova realtà politico-spirituale che si era affermata in Germania dopo la guerra: «ci eravamo battuti sulla sola virtù che quell’epoca esigesse: la decisione. Ma la decisione non era venuta. Un mondo che aveva orrore di sé era ancora in piedi» (p. 22). Nell’opporsi alla Repubblica di Weimar, von Salomon fu implicato, pur non avendo partecipato materialmente all’attentato, nell’omicidio di Walter Rathenau e condannato a cinque anni di detenzione. Rathenau, agli occhi del nostro autore, rappresentava l’uomo che avrebbe potuto definitivamente strappare la Germania alle sue radici spirituali.
Più tardi, durante il nazismo, visse ai margini del regime, non aderì la partito e, viste le relazioni con alcuni gerarchi, riuscì a tutelate la moglie ebrea. Fu esponente della «migrazione interna» messa in atto dagli intellettuali rivoluzionario-conservatori nei confronti dell’hitlerismo, accusato di appropriazione indebita, se non di esplicito tradimento, degli ideali propugnati dal «movimento nazionale tedesco». Nonostante ciò, a guerra terminata, sia lui che la consorte furono arrestati dalle autorità americane come prigionieri di guerra. Così, deposte le armi di cui si era servito nella prima parte della vita e messa da parte la vocazione militare, maturata in lui in piena adesione con lo «spirito prussiano», fece della letteratura l’arma con la quale tentare di risvegliare le coscienze e combattere un mondo nel quale non si riconosceva. Pubblicò nel 1951, Io resto prussiano, nel 1960, Un destino tedesco. Protagonista di quest’ultimo racconto è A.D., vale a dire Ausser Dienst, «fuori servizio, cacciato dalla storia», alter ego, al medesimo tempo, dello scrittore e della heimat tedesca. Il protagonista trascorse gran parte dell’esistenza nelle carceri dei diversi regimi che si succedettero in Germania dalla fine della Grande Guerra al termine del Secondo conflitto.
Dapprima, quindi, prigioniero di Weimar, poi dei nazisti ed infine dei «liberatori». Inizialmente, fu arrestato a causa di un equivoco: aveva fatto credere di essere comunista. Da allora la disperazione divenne tratto costituivo della sua vita. Dalle sbarre delle prigioni dalle quali, negli anni, transitò, vide la Germania sprofondare nel baratro. Maturò, con evidenza, la convinzione che neppure con i «liberatori» la sua condizione sarebbe cambiata o migliorata. Al contrario, acquisì contezza che questi ultimi erano animati dalla volontà di non far risorgere il paese martoriato: «come nazione, ignorando qualsiasi sua pretesa di avere una missione da compiere» (p. 17), non avevano, insomma, intenzione di tenere in alcun conto il destino tedesco. Iniziò, pertanto, a sentirsi estraneo al proprio tempo, esule in patria. Del resto, negli anni precedenti, era andato incontro ad altre delusioni. In carcere, mentre nel mondo della cultura tedesca si discuteva del libro di Moeller van den Bruck, Il Terzo Reich, lesse avidamente le sue pagine. In esse, il pensatore della Rivoluzione conservatrice, si lasciava alle spalle la deriva reazionaria del nazionalismo tedesco, guardava oltre.
Quando Hitler ed i suoi si appropriarono di tale tematica, A. D. fu immediatamente attratto dal movimento nazional-socialista, ma: «non tardò ad accorgersi che Hitler strumentalizzava qualsiasi cosa passando un “colpo di pialla” su uomini e idee» (p. 18). Perse la speranza nell’effettivo realizzarsi del destino tedesco: si ritrasse dal nazismo, come fecero molti altri della sua generazione. Visse il fenomeno della «migrazione interna», un’opposizione spirituale ed aristocratica all’hitlerismo, interpretata, tra gli altri, da Stefan George ed Ernst Kantorowicz. Nonostante tale distanza, al crollo del regime, questi gruppi, proprio come il protagonista del romanzo, furono considerati «compagni di strada» del nazismo e ingiustamente perseguitati. All’uscita dal carcere, A. D. trovò un mondo di rovine, nel quale gli sarebbe stato difficile sopravvivere: rimase spiritualmente vivo in forza dei valori del «mondo di ieri», che gli erano stati fermamente instillati nell’animo durante la giovinezza.
Il libro di von Salomon concede al lettore di avere accesso alla fucina emotiva ed intellettuale che animò Germania ed Europa dal 1914 alla caduta del Muro di Berlino. Consente, soprattutto, di comprendere le speranze e le cocenti illusioni cui si dette, con sublime generosità, un’intera generazione. Per questo, al momento della sua pubblicazione, pochi si occorsero della sua importanza. Il «lavaggio del carattere», stante la lezione di von Schrenck-Notzing, messo in atto dai vincitori, stava dando i propri frutti. Tutti volevano ormai dimenticare, con il destino tedesco, il destino d’Europa e dei suoi popoli. Oggi, abbiamo, al contrario, una grande necessità di recuperare l’identità culturale e la sovranità politica dei popoli d’Europa: una ragione in più per leggere e riflettere sulle pagine appassionate di von Salomon.
Il destino non te lo danno le lettere e neppure gli ideali e neppure eroismi personali… Il destino risiede nella vittoria o nella sconfitta militare della tua patria. Al tempo delle guerre dinastiche non era così, ma dalla ideologizzata WWI sì…
Uno splendido autore,un grande europeo, come molti altri all’interno del circuito della konservative revolution si mise ben presto ai margini del nazional-socialismo che pur nato per certi versi in quel crogiolo culturale non seppe interpretarne le istanze e le aspirazioni… Sembra molto interessante questa pubblicazione, Scianca e Malgieri una garanzia. Sicuramente un testo da avere.
Al massimo nazional conservatori socialmente sensibili…Lasciamo perdere ogni ‘rivoluzione’…che appartiene ad altra cultura politica…
Fu l’ascesa di Hitler al potere fece fallire la Rivoluzione Conservatrice in Germania. Una rivoluzione necessaria per quella nazione, che subì la sciagura della Repubblica di Weimar, di cui l’attuale Repubblica Federale Tedesca, quella uscita dalla IIGM, ne è una perfetta imitazione. Tutta colpa del kaiser Guglielmo II e della sua stupidità, che nel 1914 lo spinse ad una guerra di aggressione che portò l’Impero Tedesco verso la sconfitta nella IGM e alla sua caduta, permettendo così a USA, GB e Francia di attuare il loro piano di distruzione della Germania. La IGM fu la guerra che vide opposti gli Stati dell’Intesa, in cui il capitalismo speculativo dominava sulla politica, contro Germania e Austria-Ungheria, dove invece lo Stato (giustamente) controllava l’economia.
Werner. Guglielo II ebbe le sue colpe, ma la WWI non fu opera sua! Lui commise l’errore di spalleggiare l’alleato Austria-Ungheria e non si avvide che così forniva – alla pari del Giappone a Pearl Harbor nel 1941 – il desiderato casus belli a Russia, Francia, Inghilterra che, per diversi ma coincidenti motivi, volevano sconfiggere una Germania che ormai diventava dominante nel continente. Ma non diciamo che il capitalismo inglese era radicalmente distinto da quello tedesco o austriaco! Non è vero. Saluti!