Dalle grisaglie del pentapartito “prima repubblica” al torso nudo di Matteo Salvini, in tour da Milano Marittima a Sabaudia, si sta disegnando un percorso della politica dal “governo balneare” alla “crisi balneare”. Dopo il penultimatum del presidente Mattarella, che aveva preteso tempi ristretti dai protagonisti di questa fase e poi ha concesso loro ulteriori 24 ore, si sta delineando come ipotesi più probabile un esecutivo PD-M5S.
In queste ore di perdurante incertezza, vorremmo svolgere alcune considerazioni suggerite dai comportamenti di quegli stessi protagonisti, così, alla spicciolata, senza alcuna pretesa di completezza o di rigore teorico. Intanto, parliamo dei luoghi della politica: i “padri della Patria” li avevano indicati nelle sedi istituzionali, dal Quirinale al Parlamento, a Palazzo Chigi; ma ben presto altri indirizzi assumevano importanza: da piazza del Gesù a via delle Botteghe Oscure, sedi dei Partiti principali – soggetti privati, ricordiamolo – via via alle abitazioni di questo o quel leader, dove si sarebbero siglati “patti della crostata” o “accordi del caminetto”.
Su questa linea, veniva sancito simbolicamente il passaggio dalla democrazia parlamentare a quella partitocratica, in una sorta di deriva “privatistica” della politica, in apparenza vincolata dal consenso popolare, ma di fatto da esso solo in parte condizionata. In parallelo, andava in crisi un altro dei luoghi classici della politica: la piazza; e, si badi bene, non quella dei cortei di protesta, che bene o male ha avuto una sua continuità, sia pure alimentata da questo o quel partito, da questo o quel sindacato, bensì quella dei comizi, luogo eminente dell’incontro fra il popolo – ovviamente escluso dai Palazzi – e i suoi rappresentanti. E lasciamo stare il discorso sui luoghi virtuali, succedanei di quelli reali, che ci porterebbe lontano.
A proposito di luoghi simbolici, è di queste ore l’incontro fra gli esponenti del PD e quelli dei Cinque Stelle, dapprima in un appartamento privato, poi nell’Ufficio del Vice presidente Di Maio, a Palazzo Chigi, una scelta che suona foriera di un imminente accordo di governo. E’ stato detto e ripetuto che la scelta del Presidente Mattarella di evitare il ricorso anticipato alle urne e di esortare i leader a presentargli programmi e uomini da sottoporre al vaglio e alla fiducia del Parlamento non rappresenta certo un colpo di mano; e, in termini di ortodossia costituzionale, questo è vero. E’ però altrettanto indubbio che quei programmi e quegli uomini verranno portati alla Camera e al Senato in confezioni predisposte, appunto, fuori da quelle aule, dove saranno (saranno?) solo ratificati. Questo sotto il profilo formale. Quanto alla sostanza, sappiamo tutti che quei programmi – i quali con ogni probabilità, contempleranno la cancellazione dei principali provvedimenti scaturiti dal governo gialloverde – e quegli uomini (i Renzi, le Boschi, i Marcucci, gli Orlando, i Boccia etc…) sono stati bocciati dalla maggioranza degli italiani in tutte le elezioni – locali, nazionali, europee – a partire dal referendum del 2016 fino alle consultazioni per il Parlamento di Strasburgo. C’è da meravigliarsi – dopo anni di governi non conformi alla volontà popolare – se in Italia cresce costantemente il numero delle astensioni?
C’è poi un ulteriore dato negativo: i contatti PD M5S risalgono, con tutta evidenza, a mesi addietro, fino a sfociare nel voto – decisivo – dei pentastellati a favore della von der Leyen; il che significa che, aldilà dell’improvvida sortita di Salvini, foriera della crisi di cui parliamo, vi era e vi è una trama internazionale, per escludere la Lega dal governo italiano, in quanto potenzialmente eversiva dell’ordine europeo stabilito; un’emarginazione che rassicura Washington e Bruxelles, Parigi e Berlino. E i Mercati…
Va da sé che il continuismo ribaltonistico da un lato conforta deputati e senatori timorosi di perdere la poltrona (e ce ne sono soprattutto fra i Cinque Stelle, fra limite del doppio mandato e pretesa riduzione del numero di parlamentari); dall’altro, rassicura quanti si pongono l’obiettivo di far eleggere il prossimo Presidente della Repubblica da questo Parlamento. Di passata, facciamo notare come, ancora una volta nella nostra storia, si stia affermando il trasformismo, autentica degenerazione del parlamentarismo; tuttavia, mai come in questi frangenti, si era visto un così repentino capovolgimento di pareri e di visioni, finalizzato ad una “conventio ad exludendum” (Salvini) e ad alla riconquista di un potere negato dalla maggioranza degli elettori.
I tempi dei ripensamenti – in sé legittimi, a patto che venga salvaguardato un minimo di decenza – si sono peraltro molto ridotti: da Veltroni, che prometteva di dedicarsi all’Africa, a Renzi, che assicurava la sua fuoruscita non dal Partito, ma dalla politica, siamo arrivati a Zingaretti che pone come insormontabile il suo divieto ad accettare Conte Presidente del Consiglio (e vedremo come andrà a finire), a Calenda, che assicura le sue dimissioni dal partito, in caso di governo “giallorosso” (e anche, qui, vedremo). E tralasciamo la lunghissima catena di insulti reciproci che, in questi mesi, si sono scambiati piddini e pentastellati, ora “promessi sposi”.
Ci resta un’ultima, tenue speranza: che il Presidente Mattarella respinga l’ipotesi di una compagine, dove sarebbero chiamati a governare sostenitori e detrattori della TAV, critici e difensori delle Banche, fautori della “decrescita felice” e alfieri degli investimenti per le grandi opere, firmatari dei decreti sicurezza e delle misure di controllo dell’immigrazione e fieri oppositori dei medesimi, e così via. La piazza come alternativa alla democrazia – quella autentica, non quella posticcia delle oligarchie al potere – è sempre densa di incognite e di pericoli.
Ultime notizie parlano di trattative tra M5S e PD in salita, e speriamo si concludano con un nulla di fatto. L’ipotesi di un governo giallo-verde bis non mi piace neppure, è meglio andare a elezioni anticipate, in cui stando ai sondaggi, vinceranno Lega e FdI che così potranno formare da soli un governo politicamente omogeneo.