L’efferato e futile omicidio del carabiniere e il seguito di illazioni e polemiche -soprattutto sui social – offre il destro per alcune considerazioni di carattere generale sull’evoluzione del costume italiano e sullo stato del nostro apparato istituzionale. Così, alla spicciolata, vi ritroviamo la sana indignazione popolare, ma anche i sospetti diffusi che le cose non siano del tutto chiare e che – una volta di più nella nostra storia – anche in questo caso di cronaca possa esserci lo zampino dei “Servizi”; ritroviamo la solidarietà per le forze dell’ordine, ma anche i distinguo sul loro operato e perfino le proteste delle “anime belle” per la foto del sospettato in manette e con gli occhi bendati.
Il fatto è che nel comune sentire di questo paese sembra essere arrivata al punto di non ritorno l’insofferenza per un Sistema che non è più in grado non diciamo di mantenere l’ordine – anche se interi quartieri e notevoli porzioni di territorio sfuggono, di fatto, al controllo dello Stato, e non da oggi – ma di assicurare una giustizia “giusta” in tempi accettabili e, soprattutto, di affermare la certezza della pena. Si badi bene: un tempo si parlava di “certezza del diritto”, una prerogativa che via via e’ andata sfumando, da un lato per l’inadeguatezza delle norme, troppo spesso confuse e contraddittorie, dall’altro per l’incontrollabile discrezionalità e – dobbiamo dirlo – per la diffusa politicizzazione dei magistrati, sensibili alla cultura del garantismo, del perdonismo, della comprensione più nei confronti degli autori dei delitti che non delle vittime (le diatribe sulla riforma della legittima difesa ne costituiscono soltanto un esempio).
Tornando al caso del carabiniere ucciso a Roma, si sono levate voci indignate, anche sulla base di argomentazioni giuridiche non peregrine, a proposito della famigerata foto della benda. Quella indignazione non solo non tiene conto del giusto risentimento popolare di fronte a un delitto – e a un colpevole colto in flagrante – particolarmente feroce e originato da futili motivi, ma non considera il livello di sopportazione popolare ormai vicino al segnale di guardia per lo stato complessivo della giustizia, nei suoi aspetti legislativi, organizzativi, giudiziari e carcerari. Non c’e’ giorno che le cronache non segnalino il caso di questo o quel vigilato speciale, di questo o quel soggetto in permesso premio, di questo o quel detenuto in libertà provvisoria o agli arresti domiciliari, sorpreso a delinquere ancora oppure vittima di altri delinquenti.
Citare Cesare Beccaria e tessere le lodi dello Stato di Diritto sarà anche corretto e opportuno, ma non è in sintonia con quel comune sentire di cui dicevamo. Del resto, anche in tutte le democrazie dove sono in vigore i principi derivanti dall’”habeas corpus” e via via dalle elaborazioni dei giuristi illuministi e perfino di quelli appartenenti al filone del socialismo umanitario resiste – e non può essere altrimenti – una zona grigia dove si annidano gli ineliminabili “arcana imperi”, e con essi le operazioni, ai limiti della legalità, dei Servizi segreti e talune pratiche investigative che prevedono contatti con la malavita e interrogatori con le maniere “forti” (che non sono certo quelle di bendare l’arrestato: si pensi ai detenuti di Abu Graib…).
E qui arriviamo ad un corollario delle questioni innescate dal tragico episodio che ha coinvolto il carabiniere – in veste di vittima, non ce lo dimentichiamo – e i giovani americani, più che sospettati di omicidio. Non dobbiamo ricordare a nessuno i rapporti di alleanza/subordinazione che ci legano agli Stati Uniti, concretizzatisi, sul piano giudiziario, in episodi come quello della liberazione dei piloti responsabili della strage del Cermis o addirittura in sentenze discutibili di assoluzione della ragazza americana accusata, con altri, dell’omicidio di una studentessa britannica (si mosse a suo favore perfino Hillary Clinton, all’epoca Segretario di Stato).
L’Italia, con nessuno dei suoi governi, ha brillato per autorevolezza, quando si è trattato di dare attuazione a sentenze contro colpevoli rifugiati all’estero e di rispondere ad accuse internazionali contro il nostro stesso sistema giudiziario: basterà ricordare le diatribe sul caso Battisti e la persistenza della “dottrina Mitterrand”, in forza della quale ancor oggi in Francia godono della più ampia libertà soggetti condannati in Italia come terroristi (per tacere dei tanti che hanno trovato tranquillo riparo in America Latina, come i colpevoli della strage dei fratelli Mattei). D’altra parte, se si pensa che il fior fiore degli intellettuali si è schierato a favore di coloro che vollero colpire lo Stato, perfino contestando le sentenze della Corte di Cassazione; che il mainstream mediatico non ha perso l’occasione di attaccare le forze dell’ordine, a partire dalle reazioni alle violenze di piazza in occasione del G8 di Genova e fino al citato “caso della benda”; che anche in occasione delle recenti diatribe sui divieti di sbarco dei migranti illegali, sono piovuti insulti e critiche sulle autorità dello Stato, colpevoli di avere adottato – col consenso dei più – una linea di fermezza, anche nei confronti di altri paesi; che non sono state risparmiate lodi a chi aveva violato le leggi nazionali (lodi sublimate da una sentenza aberrante, che è valsa la libertà a chi aveva, fra l’altro, speronato un mezzo della Guardia di Finanza).
Da tutto questo, si evince che siamo di fronte a un paese spaccato in due, con una magistratura – ma anche altre Istituzioni – in crisi profonda, ma restia ad ogni tentativo di riforma. C’e’ solo da sperare che la Politica riesca riprendere il timone della nostra Patria, superando quelle divisioni che, fino ad oggi, non hanno fatto altro che accelerare il nostro declino.
Del Ninno è un altro poveretto : il web è pieno di dichiarazioni di solidarietà nei confronti dei politici Msi-An beccati con le mani nella marmellata; volete il giustizialismo , giusto incominciamo con i vari Alemanno, Scopelliti, Gramazio per finire ai consiglieri di Fdi arrestati per mafia a Milano, Piacenza, reggio Calabria.Introduciamo la pena di morte’ i primi a salire sul patibolo sarebbero (camerati che peraltro stimo) Tuti, Concutelli, Mambro, Cavallini ecc.
Le violenze poliziesche del G8 sono una vergogna che sempre graverà sui missini di governo, selo ricordi del Ninno.
Gallarò ha torto.
Gallarò manco d’estate ti calmi un poco, che palle tu e tutti i missini come te.