Ogni pagina di Flaubert è immortale, né ad alcuna sarebbe possibile aggiungere una virgola. Tranne una sua opera, il Dictionnaire des idées réçues, ossia il Dizionario dei luoghi comuni. Il Sommo era, più che fasciné, come dice, ossessionato par la bêtise, dalla cretinaggine. Anche il suo ultimo romanzo incompiuto, Bouvard et Pecuchet, è una sorta di catalogo della cretinaggine. Ma il Dizionario è superato perché i luoghi comuni e la cretinaggine hanno fatto tali passi avanti dai tempi del genio di Croisset che occorrerebbe una nuova loro enciclopedia. Purtroppo di Flaubert non ce ne sarà più un altro.
Il caso che commento non mi è chiaro. Nel senso che non capisco se il soggetto che l’ha scatenato sia una furbastra che vuol far parlare di sé grazie all’altrui e generalizzata bêtise, che nel caso di specie si chiama politically correct, ovvero una cretina in buona fede della serie golden. Il risultato non cambia.
Uno dei capolavori del teatro musicale di tutti i tempi è l’Aida di Verdi. La protagonista è una principessa etiope, dunque non di razza caucasica ma scura, a non dir negra, di pelle. Ciononostante, incarnando ella il fascino, la bellezza, la bontà, la dedizione, il condottiero Radamès, della nazione egizia che tiene a corte Aida, s’innamora di lei, e per lei perde l’amore della principessa figlia del Re, Amneris, trono e vita. Aida, schiava in quanto prigioniera di guerra, è a corte umanissimamente trattata; né – mi correggano gli egittologi – nell’Oriente antico esisteva alcuna forma di razzismo. Esso venne inventato dagli ebrei verso tutti gli altri popoli, e dai greci verso coloro che consideravano barbari.
Or un soprano americano, che in questi giorni interpreta Aida all’Arena di Verona, essendo di razza caucasica si rifiuta di dipingersi il volto di nero, come è costume da quasi centocinquant’anni. Per non praticare il razzismo, ella afferma. Se facessimo un elenco di Opere liriche sulle quali vi sono in scena negri andremmo lontano. Mozart, Meyerbeer, Bizet, Gomez, Reyer, Casavola, Phénelon, fino al bellissimo Mulatto di Jan Meyerowitz, un geniale ebreo che conobbi negli anni Settanta. E Porgy and Bess; e West side Story… Come metterla nel caso più delicato de La Juive di Halévy? occorrerebbe togliere ai protagonisti i simboli della loro religione e della loro stirpe?
Non vorrei essere nei panni di Cecilia Gasdia, un grande soprano che ora è sovraintendente dell’Arena di Verona. La legge e il buon senso le consentirebbero di “protestare” l’americana e sostituirla. Ma ne farebbe una martire del politically correct a favore della quale si schiererebbero i cretini di tutto il mondo. Fargliela passare liscia costituirebbe un precedente pericolosissimo. Ricordo, in via incidentale, che Elaine Ross, Shirley Verrett, Grace Bumbry, Martina Arroyo e Jessye Norman, negre, sono state fra le più grandi cantanti degli ultimi decennî. Pittarle di bianco quando interpretano Isolde, Valentine, Dalila, la principessa Eboli, Amneris stessa, etc?
Un titolo può esser aggiunto a quelli di Flaubert. Opera di due grandi amici il rapporto con i quali mi manca sempre più. Sono Fruttero e Lucentini. Il libro è, ovviamente, La prevalenza del cretino.
Alle tre e mezzo del pomeriggio “Il Fatto Quotidiano” mi rende edotto che il soprano statunitense ha presentato certificato medico onde non partecipare alla odierna recita. Da quale malattia sarà l’eletta artista affetta? Penso da una di quelle che rendono gialla la faccia, colore col quale ben potrebbe apparire in scena. È quello del manto indossato da Giuda negli affreschi padovani della Cappella degli Scrovegni.
*Da Il Fatto Quotidiano del 30.7.2019
Il soprano può benissimo abbandonare le oscillazioni di razza,ambedue,candidandosi con un trucco prismatico (emancipato) non saprei come perché è compito degli esperti, collimare e non eclissarsi.