La narrativa popolare italiana, comprendendo in essa anche i fumetti, pur avendo una lunghissima tradizione non ha mai goduto, come si suoi dire, di una buona stampa presso la critica letteraria, almeno sino agli anni Sessanta del secolo scorso. Bistrattata in quanto a stile e contenuti, non veniva affrontata in modo approfondito, analizzata, contestualizzata, e quindi messa in un angolo come non importante, inessenziale, banale, roba di serie B o peggio. Poi grazie a Umberto Eco con Diario minimo (Mondadori, 1963) e Apocalittici e integrati (Bompiani, 1964) venne fatto un decisivo passo avanti per una sua comprensione, interpretazione e valorizzazione. Ma Eco, pur essendo un apripista in questi studi e in quelli più generali dei mass media, ne aveva una visione semiologica dal punto di vista tecnico e sociologica in quanto ambito di indagine che ne limitavano in fondo gli orizzonti e la appiattiva in una visione per così dire “ideologica”, senza andare in fondo alla sua essenza, cioè il suo essere specchio deformato della realtà, ma espressione del recupero degli archetipi che essa riproponeva in modi suoi propri nel mondo moderno tra Ottocento e Novecento, ignorandone così il simbolismo tuttora persistente. Interpretazione che diveniva addirittura esplicitamente “politica” se si pensa al libro di cui Eco fu co-curatore, I fumetti di Mao (Laterza, 1971) dove contrapponeva positivamente le storie disegnate ai tempo della “rivoluzione culturale” con certi comics americani come Terry e i pirati (1934-1973) e Steve Canyon (1947-1988), entrambi di Milton Caniff. Ma certe idee fanno capolino anche ne Il superuomo di massa (Bompiani, 1978) dedicato al romanzo d’appendice.
Comunque, da allora sono trascorsi quasi sessant’anni e di strada ne è stata percorsa parecchia. Sulla scia di Eco altri critici si occuparono di fantascienza, fumetti, poliziesco, romanzi d’amore, feuilletons, e di saggi interpretativi di ogni tipo ne sono stati scritti a dozzine, occuparsi di narrativa “di genere” nei suoi diversi aspetti e di comics non è più, non dico disdicevole ma qualcosa di astruso e bizzarro.
Si è così scoperto alla fine che la letteratura popolare non è monocromatica bensì multicolore. Giallo, nero, rosso, verde, bianco, blu, rosa, viola. La letteratura popolare ha molti colori che la contraddistinguono e identificano i vari filoni o generi in cui si articola: il poliziesco, l’avventura, il fantastico, il sentimentale, l’orrore, il western, l’erotico, la fantascienza, il sanguinario, il macabro, la fantasia eroica, il cavalleresco o cappa e spada, la storia alto-borghese tipica degli anni Veni e Trenta. Spesso i suoi appassionati sono interscambiabili, ma riescono con difficoltà a trovare libi, collane, periodici di questo loro interesse del passato lontano e lontanissimo, spesso anche vicino: bancarelle e librerie dell’usato rimediano sino ad un certo punto, anche perché stanno attraversando un periodo di crisi della carta stampata. Eppure esiste in Italia, a parte alcune piccole biblioteche comunali specializzate, un luogo specifico deputato all’argomento, che riunisce tutto ciò. Possibile? Possibilissimo. Incredibile ma vero, in quel di Senigallia (Via Manni 27) ha sede da vent’anni la Fondazione Rosellini per la Letteratura Popolare, un istituto privato senza scopo di lucro, che possiede e mette a disposizione del pubblico e degli studiosi un fantasmagorico patrimonio di oltre 60.000 (sessantamila) fra libri, fumetti e riviste, oltre centinaia e centinaia di disegni spesso in originale, frutto di munifiche donazioni, come quella della famiglia di Carlo Jacono, storico illustratore delle collane da edicola della Mondadori.
Fra questa enorme massa di collane e periodici accuratamente classificati sono innumerevoli i pezzi pregiati e praticamente introvabili altrove. Tanto per fare qualche esempio fra i più allettanti e curiosi possiamo segnalare:
il primo Diabolic (col “c”), comparso in un giallo dell’autore italiano allora sconosciuto, Italo Fasan, con il titolo Uccidevano di notte (1957), cinque anni prima che le sorelle Giussani lo adottassero definitivamente (sostituendo la “c” col “k” finale);
la prima collana italiana dedicata a Maigret (dodici titoli), pubblicata da Mondadori nel 1932, con altettante copertine fotografiche (a quanto par, primo esperimento del genere);
la prima collana di gialli italiani, diretta da Augusto de Angelis nel 1936, la “Collana poliziesca” della Minerva di Milano (13 titoli);
la prima traduzione italiana del celebre libro di Boris Vian “…e i mostri saranno uccisi” (1949), De Carlo Editore;
il volume Harlem di Giuseppe Achille, Edizioni Emes, datato Roma 7 agosto 1943, da cui è stato tratto un film e su cui è in corso una tesi di dottorato (a quanto si sa unico nel sistema bibliotecario italiano);
in generale, i gialli di epoca fascista e “in clandestinità” (1941–1945), e in particolare la “terza serie” che si riteneva inesistente del Giornale illustrato dei viaggi e delle avventure 1941–1943.
La Fondazione ha però anche una sua attività editoriale di testi rari, dimenticati o di novità, e che in venti anni dal 1998 al 2018 ha pubblicato 31 titoli. Iniziata con i romanzi di Luciano Anselmi e Mario Puccini (due romanzieri marchigiani, il primo di Fano, il secondo proprio di Senigallia), ha poi continuato con i cataloghi delle copertine di Carlo Iacono per Segretissimo, i Gialli Mondadori e Urania, quelli di Giuseppe Festino, Kurt Caesar, Karel Thole e Oscar Cichoni, quindi con i fumetti di Jeff Hawke, con il catalogo di una mostra di Dylan Dog, con la riproposizione critica dei romanzi avveniristici di Albert Robida e Ciro Kahn, e da ultimo pubblicando un fondamentale album dedicato ala protofantascienza italiana, letteraria e fumettistica, dall’evocativo titolo Dall’Italia alle stelle. Il tutto acquistabile scrivendo a ordini@fondaziomnerosellini.eu.
Il materiale della Fondazione è a disposizione dei visitatori ogni sabato mattina, ma si può chiedere un appuntamento per motivi di studio e ricerca in un giorno diverso per posta elettronica: info@fondazionerosellini.eu.
La Fondazione non svolge soltanto un’opera archivistica e di salvaguardia della narrativa popolare italiana, ma ha anche un aspetto per così dire “operativo”. Infatti promuove attività di ricerca, comunicazione e valorizzazione anche attraverso la proposta di percorsi di sintesi ed approfondimento grazie a laboratori, conferenze e convegni con una particolare attenzione per i progetti che possono coinvolgere scuole, università e in generale giovani e studenti. In tal modo le sue collezioni e i suoi archivi forniscono collaborazione e supporto a ricerche e percorsi di studio sia individuali, sia della comunità accademica e di tutti gli interessati ai molteplici filoni della letteratura popolare.
Ha creato ventidue anni fa questa straordinaria iniziativa unica nel suo genere in Italia, Adriano Rosellini.
Dottor Rosellini, come mai ad un ex magistrato è venuta in mente una idea così fuori dell’ordinario?
“Lettore vorace da sempre, a 18 anni, “impastato” di letteratura, con la maturità classica in una tasca e una borsa di studio per la romana Sapienza nell’altra, mentre tutto mi spingeva all’iscrizione a Lettere e Filosofia, presi invece la decisione in un certo senso opposta, quella di andare ad occuparmi delle contraddizioni e delle ire loquaci degli uomini, iscrivendomi a Giurisprudenza. Fu una scelta per la “vita vera” – così spiegai a me stesso –, dettata dal convincimento che altrimenti mai e poi mai sarei sfuggito al mio già chiaro destino di essere… un topo d biblioteca. Così, superata una quantità inverosimile di esami, fui giudice, nelle più varie funzioni, per quasi mezzo secolo (che il Cielo me lo perdoni). Ma la Letteratura non mi abbandonò: ad essa sempre tornavo nei tempi liberi da impegni di lavoro e famiglia: in quei tempi maturai l’“idea così fuori dall’ordinario””.
Secondo lei la narrativa popolare, nei suoi diversi aspetti, perché è tanto importante?
“Senza pregiudizio alcuno verso la letteratura “alta”, il mio interesse per quella “popolare” nasce dal convincimento che quest’ultima è quella che incide direttamente, per così dire “in presa immediata”, sull’immaginario collettivo di una nazione, di un popolo, di una generazione. Questo nesso fortissimo va preservato, anche conservandone con scrupolo e amore le testimonianze (nel XX secolo ancora cartacee): alla Fondazione e a me interessa mettere al sicuro tante (possibilmente tutte) le grandi riviste e collane popolari del XX secolo: che è l’opera intrapresa”.
Gli scopi della Fondazione sono soltanto quelli di creare un archivio della letteratura popolare italiana?
“Assolutamente no: gli scopi, ben oltre quello della conservazione sono quelli della valorizzazione: mi esprimo con un solo esempio: negli anni abbiamo riportato all’attenzione di tanti un grande illustratore italiano, Carlo Jacono, con tre mostre e altrettanti cataloghi: quelli che restano”.
L’ultimo volume da voi pubblicato è Protofantascienza italiana. Mi ha colpito la specificazione: “Dall’Italia alle stelle”. Quindi il nostro Paese non ha nulla da invidiare alle altre nazioni anche in questo settore? Nella bibliografia finale si riportano 150 titoli di 90 autori diversi…
“Scusi, ma devo citarla per forza: dopo la sua antologia Le astronavi dei Savoia (Nord, 2001) non è più lecito ritenere che la letteratura popolare italiana abbia qualcosa da invidiare a quella di altre lingue e nazioni in materia di “protofantascienza”: senza inutili classifiche, la nostra letteratura popolare è straordinariamente ricca in questo campo di estrapolazione futurista e di immaginario scientifico-tecnologico. Col suo più recente volume la Fondazione ha voluto dare un suo contributo alla comune ricerca, approfondendo in modo particolare alcune figure di scrittori (Yambo, Salgari, Motta, Ciancimino…) attivi in questo ambito, e riservando una particolarissima attenzione ad un tema fin qui non specificamente esplorato: la protofantascienza a fumetti”.
Mi pare che la Fondazione sia molto attenta alla fantascienza. E’ una passione del suo fondatore?
“Ebbene sì, lo confesso: è, soprattutto è stata, una mia passione, rivolta soprattutto a quella che – negli anni 60 e 70 – veniva indicata come “fantascienza sociologica”. Oggi, forse, dominano altri interessi e temi: ai quali restiamo aperti, naturalmente”.