Il valore della Cultura è calcolabile? Finanziare la realizzazione e la tutela di beni culturali o esserne l’autore deve essere remunerante? Certamente sì. Ma il punto non è (solo) questo.
Se l’economicità e la redditività fossero stati i criteri da seguire Papa Sisto avrebbe davvero ordinato la costruzione della Cappella che porta il suo nome, magari prevedendo le frotte di turisti pronti ad acquistare il biglietto per la visita ai Musei Vaticani? E i sacrifici e le fatiche di Michelangelo, quanto avrebbero dovuto essere pagate?
La vera questione non è se di Cultura si mangi; il suo compito è un altro: creare un orizzonte di senso per la collettività, fatto di valori etici ed estetici in grado di orientarla, magari rendendo gradevole l’esistenza.
Proprio questa declinazione pedagogica propria del Giusto e del Bello (e perché no, del Sacro), spiega perchè la Grande Cultura sia sempre stata ancillare al Potere, fosse esso politico o economico, eppure ad esso necessaria: è la Cultura, infatti, a fornire legittimazione storica al Potere. Cosa sarebbero per noi i faraoni o gli imperatori romani senza le vestigia che ci hanno lasciato? Poco più che intollerabili sfruttatori di masse di esseri umani. E invece, ecco che la loro potenza acquisisce uno scopo che sfida il tempo grazie alla monumentalità delle opere che hanno voluto.
Non è un caso che Mecenate fosse un ricchissimo uomo d’affari vicino all’imperatore e che il suo nome stia a indicare chi fornisce a intellettuali e artisti le risorse indispensabili alla realizzazione delle loro opere. L’amico di Augusto racchiudeva in sé tutte le caratteristiche del nostro ragionamento: ricchezza, forza politica e amore per la bellezza e l’intelligenza.
Nel corso dei secoli il mecenatismo ha assunto molteplici forme: mecenati erano i principi rinascimentali, ma mecenatesco fu anche lo sforzo collettivo delle comunità medioevali che, volendo glorificare sé stesse e il Signore, edificarono le cattedrali che ancora oggi risplendono in tutta Europa.
Dunque il mecenate può essere un singolo o un popolo, un soggetto privato o un soggetto pubblico. Nell’età moderna la funzione di promozione culturale è stata assunta soprattutto dallo Stato, che attraverso Università, Sovrintendenze, grandi opere ha curato la produzione e la conservazione dei beni culturali con una quantità di risorse inimmaginabili per l’antichità, rendendo possibile la dimensione di massa della Cultura.
Gramsci, da uomo fazioso quale era, ritenne che il Partito potesse svolgere le stesse funzioni dello Stato quale moderno Principe rinascimentale, e teorizzò la funzione degli intellettuali organici, che ha consentito alla Sinistra di costruire la propria egemonia, occupando le filiere preposte alla costruzione di idee, forme e pensiero.
Oggi, però, l’ampia disponibilità delle amministrazioni è venuta meno ed occorre elaborare un nuovo modello di mecenatismo. Un paradigma possibile è quello della Responsabilità Sociale Condivisa (CSR nelle direttive dell’UE), ispirato al principio di sussidiarietà, secondo cui tutti gli stakeholders presenti su un territorio (imprenditori, enti locali, associazioni, semplici cittadini), debbano contribuire, ognuno secondo le proprie caratteristiche, allo sviluppo sociale e culturale della comunità: le istituzioni coordinando e monitorando, gli imprenditori finanziando, gli operatori e i cittadini agendo. Un mix di pubblico e privato dunque, in cui, consapevole dell’importanza di costruire e conservare la propria identità, ognuno si adopera.
Tutto questo nel Nord Europa è già realtà, soprattutto grazie a politiche di defiscalizzazione degli investimenti in cultura e solidarietà. Restiamo in attesa che anche l’Italia abbandoni il paradigma del mecenatismo novecentesco ed entri finalmente nel XXI secolo.
*Da CulturaIdentità di Luglio 2019