A quanto pare quella parte di popolazione italiana, di età compresa tra i trenta e i quarantanove anni, disoccupata, precaria, che lotta e annaspa quotidianamente nel tentativo di sopravvivere in una società che sembra non aver bisogno del suo capitale professionale e umano non interessa minimamente ai cervelloni del Governo Letta.
Che cos’altro si dovrebbe pensare, sennò, del Decreto-lavoro partorito ieri dall’esecutivo di larghe intese? È troppo malevolo il pensiero che la politica – sempre più in crisi e sempre più incapace (colpevolmente?) di riconoscere i reali problemi del Paese e di fornire risposte concrete e davvero efficaci – preferisca temporeggiare, se non ingannare l’opinione pubblica gettando fumo negli occhi con provvedimenti di distrazione di massa che hanno tutta l’aria di essere specchietti per le allodole, per creduloni cittadini poco attenti, ma non per chi non accetta di fermarsi alla superficie delle cose, dei proclami e degli slogan?
No, non basta il titolone spot secondo cui in tal modo saranno favorite duecentomila assunzioni. Scorrendo i punti del decreto, si è colti da un attacco di ilarità, se non di bile. Tra i principali beneficiari dello stanziamento complessivo di 1,5 miliardi ci sono giovani di età compresa fra i 18 e i 29 anni in possesso di almeno una delle seguenti condizioni: la mancanza di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi, l’assenza di un diploma di scuola media superiore o professionale e l’avere da soli a carico una o più persone.
Ma quanti giovani ci sono in Italia che corrispondono a questi requisiti? A occhio e croce non crediamo che siano proprio una piaga sociale quanto lo è, invece, l’alto tasso di disoccupazione e di precariato di una fascia di età, quella dei trentenni di oggi e dei trentenni di ieri, ormai quarantenni, da anni bistrattata e vituperata, apostrofata di volta in volta come bambocciona, schizzinosa e sfigata. A questo punto, verrebbe da pensare che forse un po’ sfigata lo sia davvero, per il fatto di appartenere sempre alla categoria sbagliata, come dimostra anche questo decreto che si rivolge agli under trenta e agli over cinquanta – per questi ultimi la bozza del disegno di legge prevede agevolazioni per i disoccupati da oltre dodici mesi – come se tra i ventinove e i quarantanove anni in Italia non ci fosse nessun esemplare vivente. E invece ce ne sono tanti e più di due milioni sono precari o disoccupati.
Loro sì una vera emergenza sociale che aspetta ancora che qualcuno se ne ricordi. Persone – persone prima che numeri – che hanno investito sulla cultura e sulla formazione, che non si sono accontentate del diploma e spesso neanche della laurea, che si sono specializzate, che ha conseguito master, che hanno accettato condizioni lavorative frustranti e senza tutele, ma sempre con determinazione e fiducia nel futuro. Persone che da quando sono entrate a far parte della popolazione attiva hanno ricevuto il battesimo e la condanna della precarietà, sin dai tempi della pacchetto Treu. Persone che ieri sono state ignorate e messe in competizione con la generazione dei genitori e dei nonni e oggi si trovano a essere scavalcate nelle priorità del governo da quella dei fratelli minori e talvolta dei figli. A questa gente chi si degnerà di pensare e con quali risposte? Ora, in mancanza di soluzioni, si preferisce rimuovere il problema.
Così, ai trentenni e quarantenni toccherà, dopo il danno della precarietà, anche la beffa della condanna all’oblio. Mentre ai quasi ventenni arriva un messaggio fuorviante: studiate e preparatevi il meno possibile, fate figli a 19 anni e troverete uno straccio di lavoro.