Nel mese di marzo è stata diffusa la notizia che il sito archeologico di Gobekli Tepe, del quale si temeva fosse per essere chiuso o distrutto, sarà invece aperto alle pubbliche visite. È uno dei luoghi che più desidero visitare. Si trova in quella che attualmente è la parte sud-orientale della Turchia; secondo la geografia del mondo antico, apparteneva alla regione mesopotamica. E non deve meravigliare. La scoperta del tempio al centro dell’area è, per i tempi dell’archeologia, relativamente recente. Si deve all’archeologo tedesco Klaus Schmidt e risale al 1993. La storia, insieme con le sue dotte teorie cultuali, è raccontata dallo Schmidt, nel frattempo scomparso, in uno straordinario libro del 2007 che una piccola e benemerita casa editrice, “Oltre Edizioni”, ha tradotto nel 2011, Costruirono i primi templi. E il tempio al centro dell’area ha completamente cambiato le nostre nozioni non solo sull’archeologia, ma sulla stessa storia dell’uomo.
La città organizzata in quanto tale, con “nozze, tribunali ed are”, nasce sempre in Mesopotamia attorno al 4000 a. Ch. Si deve alla civiltà dei Sumeri, dei quali sappiamo non essere di stirpe semitica, come i loro successori Assiri, ma provenire dalla valle dell’Indo prima della discesa degli Indoeuropei. Erano astronomi, ingegneri idraulici, legislatori e inventori della scrittura cuneiforme; e furono i primi a praticare scientificamente l’agopuntura. Ma il tempio di Gobekli Tepe è sicuramente datato al 9500 a. Ch. È una struttura di 300 metri quadrati con enormi blocchi di pietra scolpiti con arte raffinata e persino delicata. Il primo mistero è sulla tecnica della costruzione: come facevano quegli uomini, i quali giusta la storia “normale” erano ancora cacciatori nomadi, a tagliare, trasportare ed erigere massi di tale grandezza? Eppure sono lì. A questo si aggiunge la tesi, avanzata dallo stesso Schmidt, che le sculture di animali non abbiano una funzione ornamentale, ma siano simboli astronomici – dico astronomici, non astrologici. Più di recente, un astrofisico del politecnico di Milano, Giulio Magli, ha compiuto uno studio affascinante. La posizione delle stelle varia, dalla nostra prospettiva, per i moti dell’asse terrestre. Egli ha ricostruito quale doveva essere la visione del cielo da quel luogo e, appunto, verso il 9500 prima della nostra era. E si è accorto che la stella Sirio, la più brillante di tutto il cielo, è divenuta visibile proprio allora. Poi è scomparsa, e due volte è tornata nella prospettiva. Il tempio era dunque dedicato al culto di Sirio. Verso l’anno 8000 venne ricoperto di terra, evidentemente dagli stessi che l’avevano costruito, erigendo una collina alta 150 metri.
La storia della civiltà, sempre rinnovantesi, ci costringe a spostare sempre più indietro l’epoca dell’origine; o delle origini. Pensiamo che l’Anatolia è anche il luogo di una delle più grandi civiltà antiche, quella degli Ittiti, indoeuropei, dei quali fino a cento anni fa non si sospettava nemmeno l’esistenza. Ebbero relazioni diplomatiche e guerre con l’Egitto, e nei loro archivi leggiamo anche ch’erano in rapporti diplomatici con la città-stato di Ilio, ossia la Troia donde proviene Enea. La cosa terribile è che l’avanzare della scienza, specie grazie alla libertà di blaterare creata da internet, fornisce argomenti a quelli sicuri che noi discendiamo dagli “alieni”: e si danno la mano con i fedeli dell’idea che la terra sia piatta. In fondo, negli Stati Uniti milioni di persone credono alla Bibbia e quindi situano la “Creazione” seimila anni fa. Il cardinale Federico Borromeo, tanto caro a Manzoni, era certo che la peste fosse operazione diabolica degli untori; e si urtava con Don Ferrante, che la attribuiva alla congiunzione di Giove e Saturno. L’accanimento nella follia è una delle forze dell’umanità.
*Da Il Fatto Quotidiano del 27.4.2019