In qualità di studiosi, nonché traduttori, dello scrittore americano Howard Phillips Lovecraft (1890 – 1937), con una impostazione dichiaratamente se non proprio conservatrice, ma di sicuro antimoderna, temevamo che nell’affrontare il volume Cthulhu & Rivoluzione. Il pensiero politico del Solitario di Providence, curato da Massimo Spiga, potessimo cedere a un qualcosa che non ci appartiene, ossia, la tendenziosità, quella stessa che nella cultura ufficiale italiana è da decenni una sciagurata prassi. Invero, se nei nostri scritti sono spesso presenti delle opinioni il più delle volte abbastanza nette, queste sono la espressione di un “ragionamento ingenuo”, nel senso della sua onestà. Alla fine crediamo di aver evitato – poi spetterà al lettore giudicare – una radicalizzazione nella analisi che seguirà, concentrandoci esclusivamente sui contenuti, validi e non, nella pubblicazione di Spiga. Tale “premessa” l’abbiamo sentita doverosa, giacché non mancheremo in diversi passaggi di questo scritto di marcare la nostra distanza dalle opinioni presenti nel volume. E non lo faremo, vogliamo reiterarlo, per partigianeria, bensì perché effettivamente quello che pensiamo della figura intellettuale di Lovecraft è molto diverso dalle considerazioni avanzate nel libro dal curatore. Ciò malgrado, di cose interessanti in questa pubblicazione ce ne sono alcune, forse non molte, ma quelle presenti sono sufficientemente stimolanti, segnatamente per gli studiosi lovecraftiani. Tra tutte, un lungo scritto di HPL, sinora inedito in Italia, dal titolo: Lo sguardo di un profano sul Governo (“A Layman Looks at the Government”, 1933), rinvenuto da August Derleth (1909 – 1971), storico collaboratore di Lovecraft. A impreziosire il tutto, segnaliamo il testo in inglese del saggio di Lovecraft. Qui troviamo un aspetto positivo di questa pubblicazione, considerato che Spiga ha mostrato un certo coraggio nell’aver voluto accostare alla sua traduzione lo scritto originale, offrendosi a un immediato confronto sulla qualità del suo operato di traduttore. Su questo, ci sentiamo di dire che il livello della versione di Spiga dell’opera di Lovecraft è abbastanza buono, sia dal punto di vista linguistico che stilistico.
Nondimeno, è il saggio di HPL in sé che ha destato la nostra curiosità. In esso, il grande scrittore e intellettuale del New England – per noi questo ultimo aspetto è cruciale, visto che da tempo sosteniamo che gli studi lovecraftiani dovrebbero almeno in parte sganciarsi da una prospettiva strettamente legata al genere horror, per abbracciare una più articolata chiave americanistica – illustra con l’acume che gli era proprio le conseguenze esiziali sulla società e sulla economia del suo Paese a causa della trasformazione del pensiero politico dei governanti americani in seguito alla Grande Depressione del 1929. In queste pagine, che non esitiamo a definire illuminate, Lovecraft non fa sconti alla classe dirigente a stelle e strisce, discutendo di lotta di classe, del potere dei monopoli, della impellente necessità di un nuovo sistema di welfare, arrivando, pertanto, a formulare un giudizio assai negativo e del tutto controcorrente sul New Deal rooseveltiano, sollevando interrogativi scomodi, ma avanzando nel contempo soluzioni a problemi che ancora oggi vessano tutto l’Occidente.
Un apparato critico non sempre condivisibile
Fermiamoci un attimo qui, ritorneremo al saggio del Maestro di Providence a breve, e prendiamo ora in considerazione gli altri contributi inclusi in questo libro e a firma del curatore. Nella Appendice I. Il culto dei nomi barbari (49-73), troviamo una disamina delle etimologie lovecraftiane in fatto di divinità aliene, libri maledetti, luoghi e personaggi. Malgrado non sempre si riesca a seguire i vari collegamenti storico-linguistici citati da Spiga, sono presenti comunque degli spunti che possono tornare utili per gli studiosi di HPL. Indichiamo in particolare il capitoletto dal provocatorio titolo, Esecrabili blasfemie, in cui vengono formulate delle suggestive ipotesi sulla genesi dei nomi delle divinità che formano il Pantheon Lovecraftiano, dove però si fanno anche delle considerazioni che non corrispondono affatto a verità, sostenendo che HPL “pasticciasse” con le lingue straniere, come ancor più inesatta è l’affermazione che la sua biblioteca personale non fosse adeguatamente fornita (60).
In effetti, il libro patisce l’essere vittima di alcuni perniciosi cliché che stanno negli ultimi anni oscurando la reputazione di questo raffinato autore. Proprio a inizio testo incontriamo quella che sa troppo di una sentenza di e da sinistra sullo scrittore: “Secondo la vulgata, non c’è dubbio che Lovecraft fosse un fascista. Era un conservatore nazionalista, misogino, antisemita, xenofobo, omofobo e classista, convinto che la democrazia fosse una tragica farsa” (5). Ci chiediamo, a quale “vulgata” si riferisce Spiga? Non crediamo proprio a voci accreditate come S.T. Joshi o Kenneth W. Faig Jr., che di Lovecraft sanno tutto quello che sinora è stato scoperto. Se, invece, egli dà credito a “certa” stampa buonista, allora è scontato uscirsene con affermazioni distorte sulla figura di Lovecraft. Purtroppo, specialmente negli Stati Uniti, è montata una campagna contro il principale esponente nella storia della narrativa weird e che ha spinto persino a far sostituire nel 2016 la statuetta del celebre World Fantasy Award, la quale raffigurava per l’appunto la testa di HPL, con una piccola scultura a forma di un albero essiccato che abbraccia minacciosamente quella che parrebbe una luna piena.
Opinioni interessanti, ma espresse male
Un altro aspetto che desta perplessità sta nel linguaggio, talora fuori luogo, dell’apparato saggistico, ove si riscontrano pure varie forzature, sempre a causa di quella visione politicizzata di Lovecraft di cui sopra. Nondimeno, riteniamo interessante il tentativo da parte di Spiga di indagare una possibile prossimità dell’ultimo HPL col socialismo. Va da sé, che, considerando quello detto in apertura di questo scritto, non affermiamo ciò per via di una qualche nostra simpatia verso tale ambito politico; anzi, la verità è esattamente il contrario. Eppure, il valore scientifico di una analisi sta nella ricerca del dato, il quale può o meno avvalorare una determinata tesi, e nel caso di questo libro, esso lo si ritrova nelle parole, piuttosto sorprendenti, del Maestro di Providence: “I pensatori di sinistra, di cui prima ridevo, avevano ragione – perché loro vivevano nel presente, mentre io vivevo nel passato. Loro usavano la scienza, mentre io avevo fino a quel momento guardato gli eventi attraverso un filtro antiquario e romantico” (6). Per chi ha almeno una sufficiente conoscenza del pensiero di Lovecraft è ovvio che una affermazione di tal genere risulti spiazzante. Una risposta che possiamo cercare di abbozzare in questa sede, considerato che il tema richiederebbe per lo meno un lungo articolo di natura accademica per essere snocciolato in profondità, è che HPL, in seguito alla Grande Depressione, maturò un profondo sentimento di rigetto per il crescente capitalismo rapace americano di quegli anni, facendolo spostare intellettualmente su posizioni critiche e anti-industriali, le quali, parimenti a quello che avvenne al grande studioso inglese John Ruskin (1819 – 1900) tempo prima, non confliggevano, né tantomeno andavano a “tradire” un suo innato conservatorismo. Ragion per cui, ben venga che in questo testo si sia affrontato un argomento poco noto in HPL; male, invece, che non si sia debitamente sottolineata una difficile, seppur compiuta, armonizzazione che il Lovecraft intellettuale riuscì a creare nella sua visione del mondo.
Invero, Lovecraft potrà anche essere diventato scettico verso la classe dirigente repubblicana del periodo, ma in alcun caso, come per converso sostiene Spiga, egli può essere considerato un socialdemocratico, giacché in lui mancavano – e aggiungiamo noi, per fortuna – tutti i presupposti mentali per sposare una siffatta inclinazione politica. In questo, è proprio Spiga a cadere in contraddizione, altro che HPL! D’altronde, il curatore, nello stigmatizzare una presunta posizione ambivalente nell’autore americano, descrivendolo come semplicemente “affezionato” alla idea di considerarsi un conservatore, ma in sostanza attratto da poco identificabili influenze “comunitarie”, non riesce a comprovare (substantiate) le sue ardite e provocatorie teorie.
Del resto, la lettera che viene citata quale esempio delle “piroette” speculative di Lovecraft è tutt’altro che il frutto di una mente ideologicamente confusa, anzi, in essa, come avremo adesso modo di leggere, egli dà prova di una capacità di anticipazione quasi “evoliana” del dibattito sulla inefficacia di quella medesima democrazia al centro della riflessione teorico-politica nella nostra odierna società: “La democrazia (distinta dall’offerta di opportunità ed un trattamento equo per tutti) è oggi una fallacia e un’impossibilità così grande che ogni serio tentativo di applicarla non può essere interpretato in altro modo se non come uno scherzo o una presa in giro. Un governo ‘eletto dal voto popolare’ significa soltanto la nomina di uomini dalle dubbie qualifiche da parte di claque (dalla dubbia autorità e dalla dubbia competenza) composte da politici professionisti che rappresentano interessi nascosti” (7-8). Per correttezza intellettuale, dobbiamo comunque evidenziare il fatto che il curatore recupera parzialmente una certa sobrietà analitica poche pagine dopo, affermando che: “[…] i suoi [di Lovecraft] principali motivi di repulsione verso il comunismo sovietico, alimentati certo dalla stampa, avevano un carattere eminentemente non politico, ma si ancoravano alla sua ammirazione per l’antica tradizione culturale europea” (9).
Pertanto, sottolineare una confusione ideologia in Lovecraft, nonché accusarlo di essere disinformato sulla politica europea (sul comunismo e il fascismo, 9), non solo è francamente una conclusione errata, ma ci lascia inoltre perplessi che per giustificare una affermazione di questo tipo si utilizzino argomentazioni dal sapore fin troppo giornalistico: “Il fatto che HPL non avesse una chiara idea di cosa fosse il fascismo emerge anche da un suo aneddoto personale: un giorno, si trovò a commentare sul carisma di Hitler – da lui visto come una sorta di eroe romantico anti-borghese – in casa dei suoi vicini. La domestica, un’immigrata tedesca, reagì d’impeto e gli spiegò come si viveva sotto il regime nazionalsocialista; la delineazione di quel panorama d’abiezione lasciò sgomento il Solitario di Providence” (10). In aggiunta, cosa di cui andremo ora a parlare, se, come sembra evidente a qualsiasi lettore minimamente erudito, lo scritto politico del ’33 di Lovecraft si attesta quale una perla nella interpretazione degli aspetti deteriori della economia e società statunitensi di quel periodo, come si può sostenere contemporaneamente che un cervello tanto lucido avesse le idee politiche confuse? Sia come sia, Spiga ha ragione nel considerare il nazionalismo in Lovecraft come una forma per preservare l’anima autentica del New England (11). In sostanza, gli scritti critici di Spiga alternano alti e bassi, purtroppo un po’ più frequenti i secondi, e diciamo ciò senza la minima intenzione di svilire il suo lavoro curatoriale.
Lovecraft ed Evola, due menti scomode
Veniamo dunque a Lo sguardo di un profano sul governo (13-47). Questo lungo articolo socio-politico è una opera magistrale per due motivi. Il primo poiché è da considerarsi un documento preziosissimo per quanto concerne gli studi in ambito americanistico: non sono state molte le riflessioni di così alta qualità ed esattezza sulla natura problematica di questa Nazione che abbiamo avuto modo di leggere nei lunghi anni che ci hanno visto coinvolti in questo campo di ricerca. Il secondo, forse addirittura più rilevante, è che lo scritto lovecraftiano è attualissimo, visto che in esso si “fotografano” gli stessi mali insiti nella Globalizzazione di oggi, proponendo pure delle soluzioni tuttora valide.
Tornando alla tesi cara a Spiga, è parzialmente vero che in queste pagine troviamo un Lovecraft sorprendentemente a favore della “socializzazione” delle risorse produttive (19-20). HPL arriva a discettare con grande competenza – e questa non è certo una novità per chi conosce la brillantezza dell’autore – di “economia pianificata”. Purtuttavia, va considerata, per quanto in buona fede, una manipolazione il proporre le idee espresse dall’intellettuale americano come riconducibili a una qualche forma di socialismo. Insomma, ed è necessario ribadirlo, Lovecraft era ostile a quel capitalismo equivoco che stava gradualmente distruggendo sia la classe dei lavoratori sia la borghesia di provincia bianche del suo Paese. Il tutto, però, va immancabilmente contestualizzato entro una esatta prospettiva storica. Ovviamente, se Lovecraft fosse oggi in vita, si opporrebbe a quel processo di creazione di un meticciato culturale ed etnico, che negli USA da diverso tempo è descritto col verbo: “to mongrelize”, e che in italiano si potrebbe tradurre con “imbastardire”. È scontato che nel presente canone culturale progressista, ciò farebbe di lui un “imperdonabile” razzista. Una interpretazione, questa, mendace quanto incolta, poiché non dobbiamo dimenticarci che persino negli anni della ascesa della discussa dinastia dei Kennedy, negli Stati del Sud il segregazionismo era la parte nodale delle politiche di molti Governatori, per di più membri del Partito Democratico e non, come molti automaticamente potrebbero pensare, di quello repubblicano.
Lovecraft era semplicemente figlio dei suoi tempi e della sua terra: quel New England WASP che tentava, mal riuscendoci, di scimmiottare l’aristocrazia europea. Ecco perché quella dello scrittore non è affatto una posizione di stampo socialista, semmai lo è di una Destra popolare, poco amante dei grandi capitani d’industria e attenta alla protezione della identità della propria gente. Non per niente, è lo stesso Lovecraft a venirci in aiuto per risolvere tale questione, definendo, come suo solito, se stesso. Gli bastano due parole, per sintetizzare il suo pensiero politico come un conservatorismo fondamentale, ovvero un tentativo che: “[…] cerca di preservare il flusso ininterrotto dell’imponente tradizione culturale europea, che continua ad essere valida sotto qualsiasi regime concepibile di normale evoluzione” (17). A tal proposito, le posizioni politiche di HPL ci hanno ricordato non poco quelle del nostro Julius Evola su americanismo e bolscevismo… una folgorante consonanza di vedute tra due “menti scomode”, come quando Lovecraft afferma che i capitalisti: “Per ironia della sorte, stanno inconsciamente replicando l’atteggiamento fideistico in un perfetto determinismo economico che ha avuto origine nelle stesse teorie di Karl Marx, da loro odiate e temute” (22). Evola “scomodo” lo è sempre stato; ora invece che si va man mano scoprendo il Lovecraft intellettuale, anche costui inizia a essere messo all’indice dal buonismo globale, giacché col filosofo italiano HPL condivide una sublime aristocrazia del pensiero.
Un passaggio fondamentale negli studi americani
Tirando le somme, leggere di Lovecraft che lui è stato un “razzista conclamato” (61), perché chiamò il suo gattino preferito “Nigger-Man”, ci ha disturbato, e non solo per la avventatezza di tali semplificazioni, ma pure per la cecità analitica del curatore. Nella fattispecie, HPL soprannominò così il suo micio del cuore, riferendosi al pelo scuro dell’animaletto. Il Maestro di Providence mai fece mistero del suo essere un devoto “ailurofilo”; quindi era sua abitudine considerare i felini alla pari degli esseri umani, dandogli perciò nomignoli che potevano andare bene anche per gli uomini.
Ci dispiace dire che Spiga si inserisce nella corrente critica militante anti-HPL, e lo dimostra con le varie forzature presenti nella sua analisi, la quale, comunque, non è priva di qualche spunto intrigante e che avrebbe dovuto essere approfondito con maggiore sobrietà. Peccato, poiché così facendo egli ha in una buona parte svalutato i suoi ragionamenti, concedendosi a sentenze categoriche troppo impulsive.
Nostre perplessità a parte, consigliamo lo stesso caldamente la lettura di Cthulhu & Rivoluzione, non fosse altro che per lo scritto lovecraftiano. Un pezzo di abbacinante americanistica è quello che venne elaborato da HPL, quando già nel ’33, fu capace di enucleare esattamente la malevole essenza del “politicamente corretto”, ridicolizzandolo, nell’apostrofarlo come il mondo dei “circoli educati” (“polite circles”, 24).
* Cthulhu & Rivoluzione. Il pensiero politico del Solitario di Providence di Massimo Spiga (a cura di) Heisenb3rgStudio, 2017
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